Kant, come è noto, si propose di delineare i principi costitutivi della morale che, secondo i suoi propositi, doveva essere universale ed assoluta. Il carattere di universalità della morale ne avrebbe salvaguardato la sua efficacia nei confronti dell'uomo, di ogni uomo e la sua assolutezza l'avrebbe dovuta svincolare da ogni condizione. Nella Critica della ragion pratica Kant espone la sua teoria, mantenendo sempre un rigore logico che ci può fare affermare che i propositi su menzionati siano stati da lui raggiunti, tuttavia non poche perplessità sorgono quando Kant spinge sull'aspetto formale della legge morale prescindendo dal contenuto. Secondo il ragionamento del filosofo tedesco la legge morale per essere universale deve presentarsi come un imperativo categorico, imperativo indica un comando e categorico ne sottolinea il carattere incondizionato, pertanto la legge morale secondo la prospettiva kantiana è la legge del dovere assoluto, una legge che non può mutare e che vale per tutti.
La prima obiezione che si potrebbe avanzare è la seguente: chi stabilisce la validità della legge morale? Inoltre dato il carattere di immutabilità della legge morale si dovrebbe presupporre che in ogni tempo (e in ogni luogo) l'uomo ha rispettato una sola legge morale. Kant non dice questo e la sua definizione prospettica è rivolta al presente, tuttavia anche attualizzando tale definizione nel presente, risulta evidente che non solo la legge morale non è universale ma che esistono tante leggi morali quanti sono le individualità umane. Un altro aspetto riguarda il contenuto della legge morale ossia ciò che viene comandato, egli ritiene che non bisogna occuparsi del contenuto, prescindere dal contenuto di una legge morale significa però svuotare la norma di condotta dalle circostanze, non definirla. Ammesso che questo fosse l'intendimento di Kant, resta il fatto che egli volle legittimare il valore della legge morale dando valore al solo aspetto puramente formale ossia a quello che si basa sul fatto che bisogna rispettare una sola legge: la legge di obbedire alla legge a prescindere del contenuto. Eppure non può esistere un edificio morale che si basi solo sulla facciata, nessuna legge morale può dettare una norma di condotta se non si basa su un insieme di valori condivisi e convissuti. In questo modo la legge morale diventa qualcosa di inapplicabile e di poco comprensibile, agire per il dovere di rispettare una legge sembrerebbe valorizzare l'aspetto morale di questo obbligo a discapito di quello legale ma praticamente questo confine non è facilmente circoscrivibile in quanto il potere coattivo della legge, compresa quella morale, è uno degli elementi che ne permette l'esistenza. Non solo leggi ordinarie ricorrono alla coazione e all'uso della forza ma anche le norme religiose prevedono sempre una pena per coloro che non le rispettano.
Kant ritiene che nella vita morale niente si può definire buono se non è volontà buona volendo intendere con tale espressione la stessa ragion pratica in quanto legislatrice della morale da qui il carattere di autonomia della ragione pratica che pone da sé la legge morale. Anche su questo punto sorgono non poche perplessità: Kant quando afferma che la morale dipende solo dalla volontà buona e ribadisce che è essenziale il suo carattere di autonomia, rende la ragion pratica completamente svincolata dalla realtà esterna, come si possono stabilire delle norme di condotta condivise e convissute senza determinarne il contenuto.
Kant stabilisce tre massime per regolare l'azione: la prima di queste massime recita: "Agisci in modo che tu possa volere che la massima della tua azione divenga universale": si tratta di parole che non possono fare presa ma l'azione di quell'individuo che ritiene la sua condotta moralmente ineccepibile può valere universalmente? La condotta dell'uomo ispirato da valori religiosi può valere per tutti coloro che non li riconoscono? La domanda è retorica ma nessuna morale può pretendere di raggiungere l'universalità perché non esiste la morale ma coesistono tante morali che spesso sono in conflitto tra di loro. Ipotizziamo che il valore della pace sia una legittima aspirazione di tutti gli uomini e che questa aspirazione sia universalmente riconosciuta come valore fondante della convivenza pacifica tra i popoli; dal punto di vista pratico bisognerebbe eliminare le cause di ogni conflitto e di fatto sostenere una tesi utopica che la storia ha sempre contraddetto.
La seconda massima dice: "Agisci in modo da considerare l'umanità, in te come negli altri sempre come fine e mai come mezzo"; questa massima è stata definita come massima del finalismo e può essere interpretata come la difesa di una concezione in cui l'uomo sia fine di fronte a tutto. Dal punto di vista antropologico l'uomo viene a collocarsi al centro di tutto e ogni scelta deve essere fatta tenendo in considerazione l'uomo come fine. Paradossalmente sempre attualizzando la massima kantiana, l'idea di mettere al centro di ogni scelta l'uomo può significare mettere al centro gli interessi dell'uomo. Questa concezione può anche diventare la legittimazione di molte ingiustizie. Prendiamo per esempio il tema dell'ambiente e a quante scelte che, tenendo in considerazione esclusivamente le esigenze umane. hanno non solo modificato l'ambiente ma hanno distrutto la vita di molti altri esseri umani. Se invece la massima kantiana si riferisce alla salvaguardia della dignità dell'uomo come persona, tale principio dovrebbe essere specificato.Cosa vuole dire Kant che non bisogna considerare ogni uomo come mezzo? L'uomo ogni uomo è anche un tramite e la sua corporeità è imprescindibile, si pensi all'eros o alla procreazione dove il corpo è tramite ma anche finalità.
La terza massima è stata così formulata: "Agisci in modo che la tua volontà possa essere considerata come istituente una legislazione universale", Kant sottolinea l'importanza dell'autonomia della morale che non dipende da niente di esterno se non dalla razionalità umana. Eppure non vi è terreno come la morale nel quale una molteplicità di fattori esterni non siano condizionanti quando si tratta di determinare le norme di condotta.
Alla razionalità metafisica Kant fa subentrare la fede nella razionalità dei postulati non riuscendo poi a svincolare il suo ragionamento dal ricorso a Dio che la legge morale esige per potere realizzare il regno dei fini: la metafisica rientra dalla finestra seppur sotto la veste della fede e non della ragione.