La concezione gramsciana del folklore visto come una conseguenza dei rapporti tra le classi trovò ampio consenso in molti studiosi del secondo dopoguerra, la figura più rappresentativa di questo indirizzo di studi che riprese anche le indicazioni di Gramsci fu Ernesto de Martino che si dedicò ad un puntuale e metodico studio di classificazione della cultura magico-religiosa diffusa tra i ceti subalterni del Sud Italia. Il retroterra ideologico dell'attività di de Martino non fu però solo Gramsci, un ruolo non secondario ebbe nella sua attività di studioso la filosofia storicista di Croce che come è noto aveva espresso un giudizio negativo nei confronti delle scienze sociali viste come false scienze i cui dati raccolti potevano essere interpretati correttamente solo nella Storia. Se Croce però non era interessato alla cultura dei ceti popolari, de Martino, pur in dissenso con l'impostazione crociana ne accoglie un presupposto fondamentale: il giudizio critico che viene utilizzato come strumento utile a sottrarre gli studi sul folklore da una visione meramente naturalistica e per ricondurli entro l'alveo del processo storico e delle sue dinamiche intese in senso gramsciano. Se Croce e Gramsci, seppur in modo diverso hanno costituito il retroterra ideologico di de Martino, altrettanto influente fu Heidegger a partire dal concetto di presenza inteso come esserci , concetto che riveste un ruolo centrale nella sua interpretazione del mondo magico-religioso dei contadini meridionali.
Secondo l'interpretazione di de Martino la cultura magico-religiosa delle classi popolari dell'Italia meridionale è una risposta alla loro condizione di subalternità nei confronti dei ceti dominanti. La persistenza di pratiche magico religiose (magismo) è vista come un momento storico nel quale si trova quella che lo stesso de Martino definì presenza, la presenza è un'attitudine che permette di conservare nella propria coscienza una serie di ricordi e di esperienze che vengono ritenute funzionali per dare una risposta adeguata alle condizioni contingenti in cui ognuno si trova a vivere in altri termini gli individui delle classi popolari. La presenza è vista da de Martino anche come un elemento di resistenza che svolge una funzione di opposizione alla penetrazione della cultura dominante, un esempio può venire dalle diffuse pratiche religiose in cui elementi provenienti dal paganesimo coesistono e si fondono con le pratiche cultuali cristiane. de Martino definisce la presenza come un "esserci" in senso heideggeriano all'interno di un ambiente ricco di significati, ambiente che rivela inoltre un profondo radicamento dove il senso dell'esistenza individuale e collettiva è dato proprio dal momento religioso e magico. In un mondo minacciato dall'insicurezza, le pratiche magico religiose svolgono un ruolo di difesa proiettando l'individuo in una dimensione metastorica nel senso che vive in una condizione come se fosse fuori della storia; in questo senso la "presenza" svolge un ruolo di fuga dalla realtà, dalla propria realtà individuale e collettiva ma questo ruolo entra in crisi nel momento in cui avvengono degli eventi traumatici e subentra il sentimento della paura, paura di perdere proprio quegli elementi che danno un significato al proprio vivere consentendo in tal modo che abbia il sopravvento lo smarrimento e l'insicurezza.