PREMESSA
Durante l'estate siamo soliti accompagnare un amico che si diletta a pescare per passione, quando esce con il buio verso le quattro del mattino, mentre si procede verso il largo del mare riflettiamo su noi stessi e sul mondo; è nel fondo dell'anima che nascono gli interrogativi che da sempre accompagnano l'uomo di ogni epoca, tutti questi interrogativi non hanno mai avuto una risposta, ma nessun uomo può avere la protervia di comprendere il senso della propria vita in modo compiuto, ciò non toglie che la ricerca continui.
Quegli interrogativi stanno alle origini del pensiero filosofico greco ed è da lì che nasce la "cura del sapere" perché questo letteralmente vuol dire filosofia. Esiste quindi secondo i "primi" filosofi un rapporto tra sapere e illuminazione e il compito della filosofia è quello di ridurre le distanze tra noi (esseri umani) e il cielo. La filosofia ha preso poi altre strade e allontanandosi dall'obiettivo iniziale è diventata sempre più rivolta all'uomo (Marx) e meno al cielo (i metafisici).
Questo modo di intendere la filosofia oggi si pone, in modo crescente, di fronte alla cultura radicata nella tecnica, incentrata sulla univoca e comunemente recepita valenza che non esiste risposta a certi interrogativi. Anche per queste ragioni la filosofia ha cessato di essere la madre di tutte le scienze che da lei si sono distaccate iniziando un percorso che ha privato le scienze da qualsiasi anima spirituale.
IL LIBRO
In questo senso crediamo che sia da ripensare tutto il discorso, oggi molto comune, sulla utilità della cultura e in particolare della filosofia. Riteniamo che sia impossibile tornare indietro allo spirito che animava i primi filosofi, il rapporto con la cultura e con il pensiero è mutato: il 99 per cento delle persone intelligenti ritiene che la preparazione scolastica debba essere finalizzata al lavoro, non è sbagliato ma è fuorviante l'idea che esistano delle discipline di serie A e altre di serie B, anche per queste ragione emerge la necessità di una valutazione morale della cultura e in particolare della filosofia.
Ci è capitato di incontrare laureati in filosofia che svolgono i lavori più disparati: dal ristoratore allo scrittore, dall'operaio all'impiegato, pochissimi di loro fanno gli insegnanti, notiamo che però esiste un filo comune che li lega: la filosofia li ha aiutati ad adattarsi al mondo e a superare le difficoltà.
Non abbiamo alcun pregiudizio verso chi vuole divulgare la filosofia in ambienti che tradizionalmente nulla hanno a che fare con il "pensatoio sacramentale" dei filosofi di professione, anzi penso che sia un'opera meritoria, il problema è di come si svolgono le modalità di diffusione. Prima di leggere "Colazione da Socrate" di Robert Rowland Smith, non sapevamo niente dell'autore, dalle note biografiche pubbliche si apprende che il professor Rowland Smith è anche un impegnato conferenziere che spazia oltre che nella filosofia anche nella letteratura e nella psicologia. Sinceramente non ne avevamo sentito mai parlare, ma non è la notorietà che dà valore ad una persona, pertanto senza alcun pregiudizio ho affrontato la lettura del libro.
Nella letteratura filosofica vi sono stati innumerevoli tentativi di divulgare la filosofia, in Italia sono note le opere di Luciano De Crescenzo, bisogna ammettere che alcuni di questi tentativi si sono trasformati in un successo editoriale, tuttavia bisogna anche fare un appunto: questi libri spesso banalizzano la filosofia e contribuiscono in un certo senso a diffondere l'idea che essa sia una disciplina fuori dal mondo.
L'idea del professor Rowland Smith è quella di prendere una persona assolutamente normale e di accompagnarla con delle "idee filosofiche" lungo il percorso di una giornata banalissima che tra l'altro -a mio parere- solo alcuni vivono secondo le modalità descritte.
L'idea che al momento del risveglio si possa filosofare sullo stato di veglia cosciente e di sogno ricorrendo al "cogito ergo sum" cartesiano mi sembra del tutto fuorviante; come è noto, infatti, René Descartes (Cartesio) con quella famosa espressione voleva dire che "tutto ciò che pensa è, io penso, dunque sono" ossia voleva affermare la verità dell'io che pensa, per Cartesio quella affermazione serviva da ponte verso il concetto di "res cogitans" e per arrivare all'idea che "le cose che noi concepiamo molto chiaramente e molto distintamente sono tutte vere". Non esiste quindi nessun probabilmente come si evince dal libro, il cogito è per Cartesio la prima verità.
Ma è il prima che conta perché con lo stato di sonno, prima del risveglio, bisognerebbe scomodare Freud e tutta la psicoanalisi e il "pensiero in stato di sonno" è vero quanto il risveglio!!!!
Naturalmente non è possibile confutare in questo spazio tutte le affermazioni contenute nel libro in quanto bisognerebbe scrivere un altro libro che ribatte (laddove è necessario punto su punto le affermazioni del professore.
ALTRI ESEMPI, MA LA SCIENZA VA PREMIATA
Il professore scrive ad un certo punto "In ufficio Karl Marx vi sussurrerà all'orecchio come liberarvi dalla schiavitù del salario" (pag. 11). Davvero singolare l'approccio proposto da Rowland Smith, crediamo invece che Marx anche oggi non avrebbe sussurrato niente all'orecchio ma avrebbe gridato il modo in cui avviene lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo e probabilmente sarebbe dentro qualche prigione per le sue idee. Insomma l'idea di un Marx sussurratore mi sembra alquanto bislacca, piuttosto Marx oggi sarebbe in prima fila con gli studenti e i senza diritti e ricorderebbe a tutti quelli che per mantenere il loro posto di lavoro rinunciano a tutti i loro diritti che è invece lecito ribellarsi quando non si hanno che da perdere le proprie catene.
Anzi aggiungiamo che Marx oggi avrebbe ricordato a questo impiegato il carattere feticcio delle merce, e dove li mettiamo A Smith e Ricardo e la critica verso tutti gli economisti che per Marx assomigliavano ai teologi?
Insomma una banalizzazione e una riduzione di Marx a collega d'ufficio ci sembra davvero troppo.
Anche la "riduzione" del pensiero dell'immenso Hobbes a una banale idea dello stato di natura che ritornerebbe ogni qual volta ci si sposta per andare al lavoro la mattina, meriterebbe di essere trattato come "il pimice pomice" della famosa scena del "Picassò" di "Totò a colori" (vedi:www.youtube.com/watch?v=tvQd5s-R_1c).
Il libro è ben scritto ed è di facile lettura, ma non è un'opera di filosofia, qualcuno potrebbe obiettare che questo non era lo scopo dell'autore e che il nostro è un fraintendimento ma senza essere astratti si può evitare di mischiare Socrate con cappuccino e brioche; con l'ironia Socrate mise alle corde i suoi avversari ed era poco accomodante, forse non avrebbe approvato
"Totò a colori: A me piace premiare il talento.Mi dia le manine.Gli tenga la testa così. Ferma.....Lei col pimice e pomice, mi fa la cortesia, mi allarga quest'occhio?"
Articolo dell'autore presente in forma modificata anche altrove.