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13 luglio 2012 5 13 /07 /luglio /2012 04:54

 

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CESARE MORI: UN RITRATTO CHE RENDE GIUSTIZIA 

Arrigo Petacco è un autore prolifico che ha scritto numerose opere di interesse storico e quello che contraddistingue il suo scrivere di personaggi, fatti e vicende è che le sue opere pur non essendo storiche sono sempre rigorosamente documentate. 
Quello di Petacco è un pregio che possedeva un altro grande del giornalismo come Indro Montanelli quando raccontava di storia, non c'è dubbio che gli storici di professione storceranno il naso sul fatto che possa definirsi storica, l'opera scritta con intento divulgativo e che quell'indulgere alla storia romanzata non sia da tenere in considerazione, ma l'eccessiva severità degli accademici ignora che il genere divulgativo può essere altrettanto rigoroso e onesto quanto un libro di storia e che in più ha il vantaggio di non essere mai noioso. Petacco nel suo libro dedicato alla figura di Cesare Mori è riuscito a coniugare rigore e gradevolezza con la capacità di suscitare interesse , caratteristica questa che solo i grandi biografi riescono a realizzare. 


Il prefetto di ferro. L'uomo di Mussolini che mise in ginocchio la mafia di Arrigo Petacco è prima di tutto un libro interessantissimo perché costituisce l'occasione per ristabilire delle verità volutamente ignorate sul fenomeno mafia, su come il fascismo cercò di combatterla e sulla figura di Cesare Mori che il 23 ottobre 1925 venne nominato prefetto di Palermo. 

Chi era Cesare Mori? Cesare Mori era un uomo delle istituzioni, non era un fascista ma era un uomo integerrimo e onesto. 
Piccolo di statura era un duro, ma un duro intelligente che sapeva destreggiarsi di volta in volta in tutte le situazioni in cui veniva minacciato l'ordine dello stato, un grande poliziotto con una visione ampia comunque non un repressore buono per tutte le stagioni ma un uomo attentissimo alla società e ai suoi risvolti culturali. 
La mafia ha sempre avuto come caratteristica distintiva un preponderante aspetto delinquenziale i cui codici di iniziazione erano e sono quelli di una cultura contadina in cui la forza è concepita come l'unico modo per risolvere le controversie. 
Mori aveva capito che la mafia ha il consenso e che il modo migliore per combatterla era "togliere l'acqua ai pesci", per cui se i capomafia e i mafiosi erano spazzati via senza pietà, dall'altra parte solo ragionando con la mentalità dei siciliani poteva sottrarre alla mafia quel terreno in cui era facile reclutare nuovi aderenti. 
Sicuramente un metodo primitivo ma efficace che lo stesso Mussolini condivideva al punto da dare carta bianca a Mori che non deluderà le attese del governo fascista. 
Mori faceva terra bruciata intormo ai capimafiosi colpendo quel reticolo di connivenze familistiche che da sempre permette ai mafiosi di operare nel loro territorio che costituisce la base logistica da cui vengono prese tutte le decisioni, oggi forse sarebbe inconcepibile arrestare tutti i parenti di un mafioso per constringerlo a consegnarsi, ma Mori non badava troppo per il sottile quando si trattava di raggiungere un risultato. 

Ieri come oggi però la mafia ha sempre usato il potere politico per raggiungere i suoi scopi sia attraverso il ricatto sia attraverso la correità di esponenti politici collusi. 
Noto è il contrasto che Mori ebbe con il numero uno del fascismo palermitano, Alfredo Cucco, mafioso corrotto e colluso il quale venne espulso dal PNF quando sul tavolo di Mussolini arrivò il dossier di Mori che riguardava gli illeciti dello stesso Cucco.

Mori non era fascista ma il Fascismo lo riteneva la persona migliore per combattere la mafia che avrebbe potuto destabilizzare il potere stesso di Mussolini, quindi l'azione del prefetto di ferro non era una semplice lotta alla criminalità organizzata ma una lotta senza quartiere a tutti coloro che avevano costituito un potere all'interno dello stato e che se ne servivano. 
Se la lotta alla criminalità organizzata per riuscire deve essere prima di tutto lotta politica, questo accadde con l'attività prefettizia di Mori, la mafia era vista allora come una setta di iniziati sostenuta dai circoli di potere dei notabili siciliani, quindi colpire la mafia significava colpire ogni possibile forma di concorrenza. 
Mori di questo si fece interprete utilizzando sistematicamente la retata e il ricatto nei confronti di tutti coloro che, in un modo o nell'altro erano collusi con i mafiosi. 

Ed è proprio di questo periodo l'istituzione di maxiprocessi, del ricorso sistematico al confino che si scontava in un'isola, delle retate e del ricatto quale strumento di pressione nei confronti dei mafiosi, tutte questi mezzi risultarono efficaci e in quattro anni di attività prefettizia (1925-1929) Cesare Mori aveva inferto dei colpi micidiali alla mafia che ne uscì fuori prostrata e comunque, è un dato storico che non può essere messo in discussione rialzò la testa a partire dallo sbarco angloamericano in Sicilia, molti mafiosi tra cui Lucky Luciano collaborarono con i servizi segreti americani da quali ebbero protezione e grazie ai quali poterono riprendere quella forza che il prefetto di ferro aveva smorzato. 

Petacco sviluppa la storia dell'epopea di Mori arricchendola di aneddoti, facendo conoscere molti episodi di microstoria e soprattutto pennellando un ritratto psicologico del personaggio che era un duro ma un duro onesto ed integerrimo, un incorruttibile temuto dai mafiosi che non conosceva la parola pietà, la sua azione venne favorita dallo Stato perchè possono cambiare i regimi ma se c'è uno Stato che ha pezzi deviati che scendono a compromessi con la mafia, nessuna azione risulterà veramente efficace. 




 


 

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Published by Caiomario - in Storia

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