Bella, zovene, galante,
leterata, ogni matina
la Marchesa Bellaspina
core subito a taolin.
Là mo a caso ghe xe un spechio
e con lu da quela via
la fa scola de magia
ai so ochi, al so bochin.
Mentre un dì cussì la studia,
vien un'ava da de fora
che tornava forsi alora
de la fabrica del miel.
La la sente, la la vede,
spaventada, povereta
la tra' un zigo «Aiuto, Betta!
presto, Brigida, Michiel! ».
Core tuti:
«Go qua un mostro
co le ale, co la bava».
Tutti core: ma za l'ava
già un lavreto, oh Dio becà.
La Marchesa casca morta,
per non dir in svenimento.
Betta lesta come un vento
s'ha quell'empia zà cucà.
La voleva la schizzarla,
vendicar la so parona
ma la birba in man ghe intona
in bemol un dolce «Ohimè!
Mi ho credesto (chi sa a quante
che sta burla ogni dì toca)
quei bei lavri, quela boca
do rosete in un bochè.
Me pareva...» A ste parole
la Marchesa se destira,
l'avre i ochi, la sospira,
e la dise: « Ah, no schizzar.
No me dol po miga tanto
le ferida xe leziera
poverazza! l'è sinciera
lassa, Betta, lassa andar».
Se la lode piase ai savi
figureve po alle done!
le voleu cortesi, e bone?
Carezete, adulazion.
Bella, giovane, galante,
colta, ogni mattina,
la Marchesa Bellaspina
corre subito al bagno.
Lì per caso, c'è uno specchio
e contemplando se stessa
ella esercita i suoi occhi,
la sua boccuccia
a una scuola di magiche seduzioni.
Un giorno mentre è indaffarata
in questa attvità, viene da fuori un'ape,
che stava tornando forse
proprio in quel momento
dalla fabbrica del miele.
La poveretta, intimorita,
la sente, poi la vede e si mette ad urlare:
«Aiuto Betta, presto accorrete,
Brigida, Michele».
Tutti si precipitano correndo:
« C'è qui un mostro con le ali e con la bava».
Tutti corrono la l'ape
oh Dio, le ha già punto un labbro.
La marchesa cade per terra
come morta (per non dire svenuta).
Betta, veloce come il vento,
ha già preso la colpevole;
e avrebbe voluto subito
schiacciarla e vendicare la sua padrona,
ma quella furba, standole in mano,
le intona una canzone in bemolle:
« Ohimè!
Io pensavo ( e chissà a quante
altre è capitato di sbagliarsi in questo modo)
che quelle belle labbra, quella bocca
fossero delle roselline». A queste parole
la marchesa si distende,
apre gli occhi, sospira
e dice: « Ah non schiacciarla.
Non mi fa poi così male
la ferita è leggera,
poveraccia! È sincera
lasciala, Betta, lasciala andare».
Se le lodi piacciono ai saggi,
figuratevi alle donne!
Le volete gentili e ben disposte?
Carezzatele e adulatele.
IL COMMENTO DI CAIOMARIO
Scritta in dialetto veneziano nella seconda metà del Settecento da Francesco Gritti (1740-1811) è un esempio gustoso di satira che favorì in quell'epoca ispirandosi al filone favolistico di Jean de la Fontaine.
Lo stile delicato e bonario tuttavia non è fine a se stesso, l' intento chiaramente moralistico ci fa riflettere sulla funzione delle adulazioni a cui le donne (secondo il Gritti) sono particolarmente sensibili:
Se le lodi piacciono ai saggi,
figuratevi alle donne!
Le volete gentili e ben disposte?
Carezzatele e adulatele.
Al di là della questione di genere che oggi verrebbe definita "sessista" (bruttissimo termine utilizzato spesso a sproposito), ci viene in mente quanto disse Arthur Schopenhauer sull'importanza che ciascuno attribuisce al giudizio degli altri:
"A causa di una particolare debolezza della natura umana si attribuisce, in genere, soverchia importanza a ciò che uno rappresenta, vale a dire a ciò che noi siamo nell'opinione altrui; anche se, per poco che riflettessimo, comprenderemmo che ciò non è, in sè rilevante ai fini della nostra felicità. Perciò è difficile spiegarsi come mai ognuno si rallegri entro sé ogni volta che avverte negli altri qualche segno di un'opinione favorevole, e che la sua vanità si sente, in un modo o nell'altro lusingata".
(Arthur Schopenhauer - Aforismi per una vita saggia)
Fonte immagine: http://www.flickr.com/photos/12227067@N02/2805680882 (Album di Darzann)