Il tema del lavoro è stato sempre di attualità ed è sicuramente quello più lacerante perché colpisce in pieno la vita delle persone. E' innegabile negarlo ma in nome del lavoro si è pronti a fare qualsiasi cosa ed è altrettanto amaro constatare che per avere uno stipendio anche gli stessi lavoratori sono pronti a produrre qualsiasi cosa, comprese le mine antiuomo. Non credo pertanto nelle ragioni di chi antepone il proprio "tengo famiglia" a ragioni che stanno alla base della coesione sociale e sono l'essenza stessa di uno Stato e di una società. Se così non fosse verrebbe meno il patto sociale che spinge gli uomini a stare insieme per ragioni egoistiche ma sempre funzionali alla loro stessa sopravvivenza.
Oggi che si parla di "Riforma del mercato del lavoro" diventa illuminante fare riferimento alle opere di Jeremy Rifkin, il più dissacrante e lucido pensatore di economia da almeno vent'anni a questa parte. Definire Rifkin un economista è alquanto riduttivo, a mio parere le sue riflessioni fanno già parte di quel filone del pensiero che fa tutt'uno con la riflessione filosofica. Basti pensare all'economia politica inglese, e sopratutto a Smith che ebbero un ruolo fondamentale nella formazione culturale del giovane Hegel. Esiste quindi un'influenza dell'economia politica sulla filosofia e viceversa.
"La fine del lavoro. Il declino della forza lavoro globale e l'avvento dell'era post mercato" si inscrive pertanto nel filone delle opere classiche di economia politica. In un certo qual modo il dissacrante Rifkin nella sua lucidità riprende alcuni motivi smithiani come quello del lavoro come punto centrale e fondamentale dello sviluppo umano.
L'idea del carattere contraddittorio del lavoro è stato un tema tipicamente hegeliano e oggi più che mai anche in quella che Rifkin definisce l'era post mercato assume un rilievo caratterizzante ed essenziale per le economie globalizzate.
Hegel fu un profeta che aveva intravisto la possibilità della sostituibilità del lavoro da parte della macchina, Rifkin analizza il problema della disoccupazione proprio partendo dalla rivoluzione tecnologica ed informatica diffusasi a partire dagli anni '80.
Nel libro quindi emerge una prospettiva radicalmente diversa della condizione umana, ma che presenta delle analogie con quanto è accaduto ai tempi della prima rivoluzione industriale quando l'introduzione delle macchine, ridusse in modo sensibile l'impiego della forza lavoro.
Dinanzi a questa situazione è quindi pensabile dialetticamente una diversa condizione umana? E' un interrogativo che Rifkin si pose sin dal 1995 quando profetizzò la precarietà del lavoro come condizione permanente delle nuove generazioni. La critica del concetto di lavoro post moderno si incentra pertanto su quello che è il più grande cambiamento epocale che riguarda l'attività lavorativa; se rispetto al passato avevamo bisogno di molte braccia e di poche menti, oggi al contrario abbiamo necessità di molte menti e poche braccia.
La situazione delineata da Rifkin è quindi solo l'estrema conseguenza della razionalizzazione della società mercantile che oggi non parla più di macchine e vapore, ma di nanotecnologie ed elettronica miniaturizzata. Anche quelli che sono i cosiddetti paesi emergenti dove il costo del lavoro è basso, si stanno spostando verso questa direzione, il lavoro è diventato quindi un oggetto, una sorta di meccanismo impersonale dentro il quale la maggior parte degli individui vengono schiacciati.
Rifkin in questo bellissimo saggio delinea un'analisi della società attuale che non si limita a "fotografare" la situazione di fatto, ma a proporre delle soluzioni che vanno in netta controtendenza rispetto alle "magnifiche" idee dei geni dell'economia che ci stanno portando letteralmente alla rovina.
Una delle soluzioni proposte da Rifkin è quella della riduzione dell'orario del lavoro; un'idea che sembra un'utopia ma che è l'unica strada percorribile nel momento in cui vi è la necessità di non escludere la maggior parte delle persone dal processo produttivo. Basti pensare che l'idea stessa dei contratti di solidarietà si basa sul concetto che per guadagnare tutti, bisogna che ognuno rinunci a una piccola parte del proprio salario per salvaguardare quanti più posti di lavoro possibili.
I nemici del lavoro nell'era post mercato non sono quindi le tecnologie, ma le politiche dei governi, abbiamo visto come in Germania la situazione occupazionale sia in netta controtendenza rispetto al resto dei paesi europei, anche se molti dubbi sorgono sulle soluzioni adottate come quella dei cosiddetti "minijob". C'è comunqueda fare molto anche nel settore delle energie alternative e del no profit, si potrebbero creare milioni di posti di lavoro, in tutto il mondo. Rifkin indica questa strada, è un peccato che chi ci governa si muova esattamente nella direzione contraria.
Libro consigliato.