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1 giugno 2017 4 01 /06 /giugno /2017 16:30
Ossi di seppia - Eugenio Montale

Leggere Montale svincolandosi dai residui della cultura scolastica

È  un peccato che i migliori talenti della nostra letteratura vengano affrontati durante il periodo scolastico e poi vengano dimenticati, in realtà a scuola si lambisce un autore e gli insegnanti  stretti dal programma che deve avanzare, salvo qualche rara eccezione,  non fanno nulla per suscitare un interesse che vada al di là di una preparazione da Bignami stile ultimi giorni prima dell'esame.
Esiste una differenza tra il professore e l'insegnante, il primo professa senza preoccuparsi della didattica, il secondo insegna preoccupandosi che lo studente abbia compreso e siccome tutti ( salvo rare eccezioni) si autodefiniscono professori in realtà finiscono per non essere né l'uno né l'altro.....pochi e rari sono i maestri, Montale è da collocare tra i maestri immortali eppure non fu mai professore e l'invito prima di addentrarmi nella critica dell'opera, è di abbandonare qualsiasi residuo di cultura scolastica con tutto il suo ciarpame da programma ministeriale che non serve assolutamente a nulla e finisce per condizionare anche il giudizio su un approccio alla lettura del grande poeta genovese.
Credo che siano pochi quelli  che da adulti rileggano Montale dopo il periodo scolastico, eppure la lettura delle  sue poesie può essere una  continua scoperta che provoca emozione soprattutto quando si riesce a vivere le emozioni del poeta come se fossero le proprie.



Ossi di Seppia è un libro che per stile e carattere presenta una varietà di elementi, di manifestazioni e di influssi in cui si ritrovano diverse espressioni di orientamento poetico che fanno si che l'opera possa essere definita il libro del percorso, possiamo così individuare tre grandi correnti che influiscono sia sul piano stilistico che linguistico:

  1.  quella della poesia crepuscolare ed espressionista che caratterizzò buona parte del primo Novecento letterario e che fu una tendenza innovatrice e di rottura con la tradizione e la sensibilità contemporanea ed immediatamente precedente;
  2.  quella del simbolismo che ebbe i suoi maggiori rappresentanti in Mallarmè, Rimbaud, Verlaine e Baudelaire e in Italia Pascoli e D'Annunzio;
  3.  quella del ritorno a posizioni antecedenti all'avanguardismo letterario e al classicismo poetico.

Questo percorso che porta anche ad un ritorno potrebbe apparire contradditorio (e in parte lo è) le ragioni delle apparenti contraddizioni "letterarie" stanno prima di tutto nell'impossibilità di trovare una coerenza nell'animo del poeta, poi anche nel fatto che quando venne pubblicata l'opera nel 1925 si stava assistendo ad un mutamento culturale e politico che ne influenzò il percorso stesso.


LE EDIZIONI...IL TITOLO

La prima edizione di Ossi di Seppia è del 1925 ed è un'edizione di grande valore, non solo perché è la prima ma anche perché non è quella definitiva, la possiamo definire un'opera provvisoria perché contiene le liriche scritte tra il 1921 e il 1924; nel 1928 venne pubblicata una seconda edizione che si differenzia dalla prima perché ha sei poesie in più e anche per il fatto che la struttura interna del libro viene modificata assumendo la veste che conosciamo nelle versioni odierne.
Moltissimo si è detto sul titolo scelto per la raccolta, giova conoscerne le ragioni che possiamo desumere anche dalla biografia di Montale che è stata ricostruita dettagliatamente e che aiuta a comprenderne il percorso letterario; senza dubbio la frequentazione dei luoghi del ponente ligure influì in maniera determinante nella scelta delle tematiche presenti nell'opera ed influì anche, in parte sul titolo che tuttavia non appare del tutto originale perché l'immagine marina degli ossi di seppia, come è noto, richiama quella già utilizzata da D'Annunzio nell'Alcyone, ma questa apparente non originalità è voluta, il Montale delle estati di Monterosso si confronta a distanza con il D'Annunzio delle Madrigali d'estate.
Sul significato del titolo si ripetono scolasticamente interpretazioni trite e ritrite e quella più comune fa riferimento all'osso di seppia che sbattuto sulla riva del mare si ritrova solitario e abbandonato lungo la battigia da qui il loro essere relitti, avanzi ma non tutti gli ossi di seppia arrivano sulla spiaggia, alcuni galleggiano nel mare dal quale si lasciano trasportare perchè il mare è il simbolo stesso della felicità: nell'osso di seppia che galleggia nel mare c'è tutto D'Annunzio con il suo simbolismo panico, nell'osso di seppia scagliato sulla spiaggia e abbandonato a se stesso c'è il simbolismo negativo di Montale che si caratterizza per la sua disarmonia con il mondo.
Nessuna opera poetica potrà dirsi immune dall'influenza di D'Annunzio anche quando, come nel caso di Montale, vuole procedere simmetricamente in una direzione opposta, è come se ci trovassimo ad osservare il flusso che procede su due rette parallele ma in senso contrario, tutti i punti si toccano ma ognuno procede in direzione contraria all'altro.

LA TEMATICA

E così il percorso delineato in Ossi di Seppia è un percorso che ha due fasi:

  1.  la prima è quella dell'incoscienza, dell'adesione panica alla natura in cui il soggetto vive la sua inconsapevolezza come l'osso di seppia che si lascia trasportare dal mare, sottratto al controllo razionale della coscienza, vive una situazione provvisoria di felicità.
  2.  la seconda è quella del disincanto, caratterizzata da una chiara presa di coscienza della realtà così com'è, fuori da ogni illusione, è l'età della maturità come l'osso di seppia scagliato sulla terra che diventa il luogo emblematico di tutti i limiti della condizione umana impossibilitata a ritornare indietro nella condizione di felicità preesistente e che vive come un relitto in attesa della sua fine.


Un commento di tutte le poesie richiederebbe uno spazio che, quì non sarebbe opportuno ma vale la pena ( cosa che può interessare tutti gli amanti della letteratura e in particolare della poesia) prendere a titolo esemplificativo due poesie, a parere mio emblematiche e rappresentative dell'intera opera.
La prima è Corno inglese, la seconda è una lirica senza titolo, secondo me una delle più belle poesie del Novecento letterario:
Corno inglese è una delle poesie giovanili di Montale che venne inserita in Ossi di seppia e che esprime il desiderio di un "accordo" con la natura, desiderio che rimane frustrato per l'impossibilità del cuore di accordarsi con il mondo naturale.

Il vento che stasera suona attento
-ricorda un forte scotere di lame-
gli strumenti dei fitti alberi e spazza
l'orizzonte di rame
dove strisce di luce si protendono
come aquiloni al cielo che rimbomba
(nuvole in viaggio, chiari
reami di lassù! D'alti Eldoradi
malchiuse porte!)
e il mare che scaglia a scaglia,
livido, muta colore,
lancia a terra una tromba
di schiume intorte;
il vento che nasce e muore
nell'ora che lenta s'annera
scordato strumento cuore.


Ho riportato integralmente la poesia che fu scritta da un Montale giovanissimo e che risente fortemente del simbolismo di cui Verlaine fu maestro, il verso diventa musica come nell'espressione e il mare che scaglia a scaglia/muta colore , numerose sono le assonanze vento/attento e gli effetti ritmici il vento che nasce e muore nell'ora che lenta s'annera, ritroviamo il D'Annunzio di Alcyone con i suoi Madrigali d'estate ( che meritano un discorso a sè) , si vedano, ad esempio, questi versi della poesia L'onda che presentano una straordinaria musicalità ritmica:


Sciacqua, sciaborda
scroscia, schiocca, schianta
romba, ride, canta
accorda,discorda


La sonorità e la musicalità dei versi assomigliano a una melodia che prende corpo dallo spartito per diffondersi nello spazio, il lettore stesso ne rimane così affascinato da voler leggere a voce alta i versi....
È  interessante notare che il Montale giovane cerca una corrispondenza con il mondo naturale ma non la trova, al punto da scrivere il cuore è uno scordato strumento mentre D'Annunzio si annega nella natura che è divina (ne La Pioggia del Pineto, l'individuo si fonde con la natura fino a divenire una sola cosa); Montale abbandonerà questa ricerca delle corrisponde simboliche (negative) fra l'uomo e la natura per rintracciare le ragioni del disaccordo con la natura.
Questo mutamento di rotta appare evidente nella seconda lirica che andiamo ad esaminare:


Senza titolo
Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato
Ah l'uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l'ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!
Non domandarci la formula che mondi possa aprirti.
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.


ciò che non siamo, ciò che non vogliamo è una frase amara, che non lascia spazio al alcuna speranza, è la negazione del valore di ogni fede positiva, ogni possibile certezza è vana: noi non siamo quello che vogliamo ma non vogliamo essere neppure quello che siamo.
Taluni ciitici hanno voluto vedere in questa frase una denuncia della situazione in cui si trovavano molti intellettuali durante gli anni in cui il fascismo andava affermandosi, non si può negare che questo influsso ci fu, ma sarebbe riduttivo fornire una chiave di lettura che voglia storicizzare le ragioni di questa espressione , depotenziando la grande portata esistenziale della poesia di Montale.
La lirica inizia con una metonimia Non chiederci la parola, al posto di discorso Montale usa "parola" ma quello che anticipa il tono sconsolato dell'intero svolgimento è il non, a chi si rivolge la lirica? Al lettore e quel non chiederci rivela l'uso del noi al posto dell'io, un uso generazionale dell'epoca che prediligeva il pluralis maiestatis.
Il poeta avverte il lettore dicendogli a chiare lettere non chiedermi niente non ho nessun messaggio positivo da darti, la meditazione è disperata, non abbiamo nessuna possibilità di esprimere noi stessi, siamo ciò che non siamo e che non volgiamo, non abbiamo nessuna possibilità di comunicare con gli altri perché c'è una muraglia che ci divide;


Ah l'uomo che se ne va sicuro
agli altri ed a se stesso l'amico,
e l'ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro


..che significa? Non abbiamo una facile risposta, Montale è criptico ma possiamo avanzare delle interpretazioni, una potrebbe essere questa:
beato l'uomo che procede sicuro in pace con sè e con gli altri e non si preoccupa di niente, è una via da seguire, secondo Montale? Non sembrerebbe, piuttosto in questa frase c'è sia l'invidia nei confronti di coloro i quali procedono senza preoccuparsi ma anche il disprezzo e la pietà nei confronti di coloro i quali vivono senza interrogarsi di nulla.
Farsi delle domande sulla propria ombra significa domandarsi sulla propria coscienza e sulla propria identità, quando questo non avviene, ciò appare come una condizione esistenziale che non ha alcuna giustificazione.
Desolato appare il secondo avvertimento: non domandarmi lettore, formule magiche che possano spiegarti il mondo, io non ho queste formule magiche e guardati da coloro che dicono di averle, non esistono formule scientifiche, ricette, l'unica cosa che possiamo constatare nella nostra desolata solitudine è che ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
Il lettore non deve avere nessuna legittima attesa perché è l'uomo (da qui la dimensione esistenziale) che è stretto dalle necessità, da un determinismo che lo schiaccia e nei confronti del quale, nulla può, qual'è dunque la strada indicata? (Il che appare una contraddizione viste le premesse)....non c'è una strada, c'è solo il comportamento del poeta che decide di resistere asceticamente al punto che nel 1926 in una nota lettera indirizzata ad Italo Svevo, Montale si definì in questo modo: "Sono un albero bruciato dallo scirocco anzi tempo" (1) una auto definizione dove prevale la disgregazione, il rinchiudersi in se stessi che è nel contempo resistenza a un male di vivere che solo in Leopardi raggiunse vette così alte: il rapporto contenente-contenuto è un esprimere attraverso la lirica il coraggio della tristezza ammettendo i propri limiti nel mondo che si contrappone alla natura servile e vigliacca della natura civilizzata.
Ed è proprio la natura civilizzata che fa da paravento ai nostri limiti e che giustifica i nostri limiti, li nasconde fornendo l'alibi a chi cerca la bussola di un perchè che non esiste e che ognuno si sforza, illusoriamente di ricercare.
Due motivi per leggere la raccolta:

  1. Il primo motivo è che con Montale assistiamo ad una rottura con il passato letterario così forte e potente che lui stesso si prefissò di torcere il collo all'eloquenza, con la lettura si apprende un linguaggio nuovo, stupendo che lo stesso Montale definì una controeloquenza (2) contrapposta alla vecchia lingua aulica.
  2. Il secondo motivo sta nel ritrovare le medesime sensazioni che possiamo provare dinanzi ad un quadro di Giorgio De Chirico o di un Carlo Carrà, ci si ritrova soli con se stessi dove lo spettacolo provoca quel naufragar m'è dolce in questo mare di leopardiana memoria.


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Note

(1) Si tratta di due espressioni che lo stesso Montale formulò nel corso di una intervista del tutto immaginaria: E. Montale, Intenzioni. Intervista immaginaria, in Sulla poesia a cura di G.Zampa, Mondadori, Milano, 1976
(2) Cfr. P.V. Mengaldo, Poeti italiani del Novecento, Mondadori, Milano,
1978, pp 523-524.  Il libro della Mondadori contiene un saggio critico di P.V Mengaldo che ha curato numerose opere di grande pregio dando dei contributi scientifici molto importanti non solo nel campo della critica letteraria ma anche anche in quello della storia della letteratura.



 

 

 

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