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11 luglio 2018 3 11 /07 /luglio /2018 05:23
Poco o niente. Eravamo poveri. Torneremo poveri - Giampaolo Pansa



Pansa ha la capacità di saper leggere la realtà e non semplicemente di interpretarla, la sua "narrazione" suscita stupore ed è sempre spiazzante e al di là del fatto che i suoi libri riescano a raggiungere i primi posti delle classifiche dei libri più venduti, anche i detrattori sono costretti perciò ad ammettere che le  sue opere riescono ad attraversare la storia con gli occhi di chi vive e conosce la contemporaneità svelando al lettore eventi, fatti e circostanze non sempre "facili" da digerire. Purtroppo delle verità non possiamo sbarazzarci  soprattutto quando le nostre vicende individuali si intrecciano con il contesto storico del passato.È bene ricordarlo.

Il primo libro  di Pansa che ho letto è stato "Borghese mi ha detto" molto prima del successo editoriale che è seguito al "Sangue dei vinti", poi dopo averne apprezzato le verità scomode in esso contenute, non ho voluto perdere  l'appuntamento con "Sconosciuto 1945" e "Il Revisionista", per anni  ho seguito Pansa in quella straordinaria rubrica che è stata "Il Bestiario". Non mi stupisce pertanto la sua capacità di concentrare l'attenzione sulle pieghe nascoste della storia recentissima.
Non potevo mancare all'appuntamento di "Poco o niente. Eravamo poveri. Torneremo poveri" che può essere definito un libro di memoria e testimonianza ma nel contempo una straordinaria occasione per riflettere sulla situazione individuale e collettiva di un popolo che spesso dimentica da dove viene.

QUELLA STORIA COSÌ  PERSONALE E COSÌ COMUNE

Attingendo ancora una volta dal passato e avvalendosi dei ricordi familiari di un passato che in parte ha determinato il nostro temperamento, Pansa provoca degli interrogativi a cui probabilmente tutti gli "indignati" dovrebbero cercare di dare risposta e in primis le "mamme e i papà" di adolescenti cresciuti tra playstation, tv satellitare e telefono cellulare.
Ed è inevitabile arrivare a determinate conclusioni quando Pansa narra le vicende familiari di sua  nonna Caterina Zaffiro e del  padre Ernesto, non si può leggere questo "racconto" pensando che venga narrata  una storia, perchéle vicende narrate sono quelle della nostra storia. Un italiano non più giovanissimo come Pansa ha avuto il tempo di conoscere almeno cinque generazioni:quella dei nonni e dei genitori, la sua, quella dei figli e quella dei nipoti,  cinque generazioni che coprono almeno un secolo di storia, cento anni durante i quali si sono succeduti fatti ed eventi che costituiscono anche un incontro esistenziale e personalissimo con l'epopea di un popolo passato da un'economia di sussistenza (nel vero senso della parola) ad un'economia che è sempre più in stallo dopo avere attraversato le illusioni del miracolo economico.

ERAVAMO CONTADINI ED ANALFABETI E LA PAROLA "FAME" SIGNIFICAVA DAVVERO FAME......

Mentre l'Italia arretra, i bilanci sono disastrosi e la produttività registra un rallentamento preoccupante, è inevitabile confrontarci con il nostro passato, Pansa da parte sua lo fa partendo dal suo; riconoscersi nella storia da lui raccontata è altrettanto inevitabile quando si attinge a quelllo straordinario giacimento di memorie che sono i racconti familiari ascoltati innumerevoli volte da chi li ha vissuti e che fanno parte della vita di molti italiani.
L'incapacità di fare i conti con il proprio passato è un grande furto che ci siamo autoinflitti e che sta facendo molto male alle nuove generazioni, a mio parere la gravità della situazione mondiale e, nello specifico di quella italiana, sconta proprio questa incapacità di riflettere sul proprio passato.
Le vite dei nonni di Pansa erano le medesime dei nostri nonni costretti davvero a faticare come bestie per sopravvivere, basti solamente pensare alla parola "fame" che significava penuria, incapacità di mettere a tavola qualcosa da mangiare e quando si riusciva a farlo, l'alimentazione era costituita da pochi piatti che causavano delle forti carenze alimentari.
Polenta e fagioli, niente carne ed economia da baratto, questa era l'Italia degli inizi del Novecento.

LE DONNE FATTRICI

Molti ignorano e hanno rimosso le proprie origini, la parola "pezzente" ha perso il suo significato originario bisognerebbe davvero riscoprire il suo significato perchè quelle generazioni erano costituite da autentici "pezzenti" che non sapevano neanche cosa fossero le scarpe.
Quelle generazioni erano costituite da donne "fattrici" che per tutta la vita facevano solo due cose: mettevano al mondo figli e li crescevano (quando era possibile). Le famiglie contadine avevano bisogno di braccia e le "femmine" erano una iattura, era molto meglio avere un figlio maschio che poteva aiutare nei campi che una "femmina" da allevare, tutta quella economia dipendeva dai raccolti e la figura del mezzadro era quella più diffusa, quella generazione non era padrona di niente, non era padrona del suo tempo, dei prodotti coltivati (che doveva dividere con il "padrone") e non conosceva  l'espressione "tempo libero" (lusso piccolo borghese).
Il tempo era un tempo di lavoro, sempre!

NOI GENERAZIONE DELLE TELEVISIONI AL PLASMA.......

Ho cercato in tutti i modi di pensare al termine "fame" e non riesco ad immaginare la sensazione che si possa provare ad avere fame, non posso pensare che le bucce di patata possano essere riciclate, non riesco a pensare ad una casa senza bagno e senza frigorifero e, anche se ci penso, sono incapace di coglierne l'autentico significato della parola povertà..eppure non sono ricco, devo lavorare per vivere.
Ma so cosa significa lottare e inventarsi sempre nuove soluzioni ed adattarsi.
Ed è proprio la capacità di sapersi adattare quella che manca alla nostra generazione che vive di paure, paura di perdere lo stipendio fisso, paura di perdere le certezze (le proprie), i diritti acquisiti ( a scapito degli altri e anche dei propri figli che non hanno niente).

....TORNEREMO POVERI

È  una paura isterica, generazionale che possiamo definire "antropologica", occidentale, ma non è la paura di chi non ha niente ed è abituato a combattere, giorno dopo giorno, perché non ha niente da perdere ( Marx avrebbe detto: "se non le proprie catene), è la paura "bambocciona" del "tutto compreso", è la paura di perdere grandi e piccoli privilegi acquisiti. E' la paura che nasce da una totale incapacità di vedere il futuro, è il timore orribile di chi non ha un piano B per sopravvivere.
Per questo torneremo poveri!
La nonna di Pansa come tante altre donne di quella generazione era abituata a combattere ogni giorno, faceva una vita da bestia da soma, ma sapeva sopravvivere, non aveva sovrastrutture mentali, era abituata alla praticità, in quelle comunità c'era sicuramente la cooperazione e la solidarietà, nella nostra no.

NON CREDO

Non credo alla fame di chi reclama il proprio pezzo di ricchezza, non credo nella fame dei bambini a vita che non vanno via di casa perché c'è mammà che gli fa trovare il letto pronto e la biancheria pulita, non credo nella fame di coloro che possono permettersi di rifiutare un lavoro perché non è adatto alle proprie aspettative.....per questo torneremo poveri.

NON C'E' IL RIMPIANTO DEL PASSATO

Non c'è alcun rimpianto dei bei tempi andati, Pansa racconta le strazianti condizioni di quelle miserevole masse umane che erano già da oltre 40 anni sotto i Savoia e poi la storia di molti giovani contadini analfabeti che furono mandati a morire in quello che fu lo "scannatoio" più sanguinoso della storia, la Grande Guerra fino al Fascismo che seppe intercettare le delusioni scaturenti dalla Vittoria mutilata.
Ecco l'Italia proletaria, povera, poverissima ma che aveva la forza di affrontare la realtà anche con rabbia senza acquatarsi nelle elucubrazioni mentali del "come faremo".
Provo davvero un senso di insofferenza verso questa falsa fragilità che ha paura solo di perdere le comodità e mi riviene in mente Pasolini che come Pansa non era indulgente e sapeva provocare quelli che "stanno dalla parte della ragione" ma lo fanno con la tranquillità di avere sempre la minestra pronta.
Poco o niente scrive Pansa, troppo e tutto viene da dire per generazioni per le quali tutto è scontato e che non sanno mettere in discussione prima di tutto il proprio stile di vita.
Forse diventeremo poveri se non avremo la capacità di liberarci dai lacci e laccioli dell'indebitamento collettivo, delle macchine prese a rate (per dirla alla Guccini), dell'incapacità di sapersi adattare facendo anche il lavoro che non sognavamo.
Da sempre l'uomo ha aspirato a migliorare la propria condizione di vita, ma solo nella società postindustriale l'uomo fa le file per acquistare l'ultimo tablet.
E' pericoloso questo percorso ed è lo stesso che ha portato alla rovina la Grecia responsabile collettivamente delle proprie sorti, è vero il periodo raccontato da Pansa era popolato da poverissimi, ovunque era così, ma erano poveri che non avevano niente, oggi molti rischiano di diventare poveri perché hanno incominciato ad indebitarsi per acquistare ciò che non era necessario.

Ci hanno convinto che lo sviluppo è produrre beni e tutti (salvo qualche rarissima eccezione) sono stati contenti di produrre e consumare ciò che non serviva ed è anche per questo che diventeremo poveri.
Le domeniche pomeriggio le famiglie vanno nei centri commerciali ad acquistare i prodotti di terza e quarta gamma perchè durante la settimana mamma e papà non hanno tempo per cucinare per questo diventeremo poveri.
Riempiamo i cassonetti della Caritas di vestiti che non sono più di moda, per questo diventeremo poveri.
Viviamo una perenne infanzia per questo diventeremo poveri.




I popoli vecchi sono destinati a morire, gli individui che non sanno lottare sono destinati a soccombere, il futuro è sempre degli individui che lottano per conquistare nuove posizioni.

È  sempre stato così, la storia ci suggerisce quello che è accaduto, una civiltà pingue perde la sua aggressività originaria e muore, così è accaduto a Roma, ormai incapace di resistere ai barbari.....
 

È uno dei più bei libri che ho letto  e mi ha fatto pensare a quando, qualche generazione fa, i nostri avi erano sterratori, minatori, carrettieri e salariati giornalieri. Lo erano in Lombardia e in Calabria, in Sicilia e nel Veneto, vivevano in tristi tuguri e mangiavano un po' di granturco, si vestivano di cenci ed erano falcidiati dalla malaria......lottavano però e non erano indignati...lottavano... senza arrendersi.

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Published by Caiomario

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