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21 marzo 2014 5 21 /03 /marzo /2014 05:35

 

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Fonte: http://www.flickr.com/photos/20912428@N04/2356715011

 

 

La relazione matrimonio/religione/Dio è per molte culture e per la maggior parte degli individui un punto sensibile foriero di lacerazioni interiori che potrebbero essere evitate se si avesse piena consapevolezza di quello che è il testo di riferimento di tutti i credenti cristiani ed ebrei: la Bibbia. 

In Genesi 1,27-28 si trova scritto: 

"Dio creò gli uomini a norma della sua immagine; 
a norma della immagine di Dio li creò; 
maschio e femmina li creò. 
Quindi Dio li benedisse e disse loro: 
"Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela...." 

E' un passo notissimo che può essere sintetizzato in quel famoso "Crescete e moltiplicatevi" che tuttavia non rende bene l'idea chiaramente espressa dalle traduzioni aderenti ai testi più antichi. 

Siate fecondi e moltiplicatevi vuole dire fate l'amore e moltiplicatevi, non sposatevi e contemplatevi. 

MATRIMONIO E PECCATO SECONDO LA RELIGIONE CRISTIANA 

Quando allora c'è peccato? Il peccato c'è quando due persone (maschio e femmina) si sposano e dopo il matrimonio uno di loro si astiene dal rapporto sessuale. Il peccato non c'è quando due si sposano e scelgono deliberatamente di astenersi da qualsiasi rapporto sessuale. 
Il concetto è semplice ma dovrebbe essere tenuto a mente da tutti coloro che ritengono il matrimonio indissolubile, in realtà secondo il Diritto Canonico sono ammessi numerosi casi di nullità, questa casistica è ben codificata e in base ad essa molti matrimoni vengono "cancellati" vale a dire che vengono ritenuti come non consumati anche se sono stati regolarmente celebrati. 

QUANDO E' AMMESSO IL DIVORZIO 

Deve essere chiaro che la Chiesa cattolica non parla di divorzio ma di "matrimonio nullo" quindi per il battezzato i matrimoni cancellati rimangono matrimoni validi per sempre. 
Vi sono dei casi in cui il matrimonio può essere riconosciuto come nullo, cioè come mai esistito, vediamone alcuni: 

1) ERRORE DI FATTO SULLA PERSONA: (1° esempio) Lorella ha conosciuto Paolo In una comunità ex tossicodipendenti, Paolo ha seguito tutto il programma di recupero ed è ufficialmente disintossicato. I due si sposano, hanno un figlio ma Lorella scopre che Marco si droga ancora. 
Nel caso in cui si dovesse dimostrare dinanzi alla Sacra Rota che l'errore è doloso, il matrimonio è nullo. 

(2° esempio): Giovanna ha 25 anni conosce Marco, un avvocato di 40 anni che ha (apparentemente) un buon successo professionale ed economico. Giovanna vive una situazione personale molto delicata, ha delle difficoltà finanziarie e la madre è malata. 
Giovanna si è confidata con Marco circa la sua situazione familiare e Marco l'ha tranquillizzata prospettandole un futuro migliore. 
I due si sposano ma Giovanna scopre che l'appartamento in cui dovevano andare ad abitare era in affitto e che doveva essere lasciato quanto prima, la macchina di Salvatore è in leasing e il lavoro non rende quello che lo stesso Salvatore aveva prospettato. Giovanna si sente presa in giro e ricorre al tribunale ecclesiastico che dichiara il matrimonio nullo. 

2) SIMULAZIONE DEL CONSENSO 

E' uno dei casi più difficili da dimostrare perché l'elemento volontà non è dimostrabile facilmente. Tuttavia una simulazione del consenso al matrimonio può portare alla nullità dello stesso anche se si tratta di un fatto interno non sempre rilevabile dal giudicante. 

(1° esempio): Maria e Luca si conobbero ai tempi delle scuole medie superiori, una volta terminata l'università i due decidono di rendere stabile la loro relazione. Entrambi decidono di celebrare il matrimonio religioso per non dare un dispiacere alle rispettive famiglie di origine. 
Maria però subito dopo il matrimonio sente un calo di attrazione nei confronti di Luca, il suo progressivo distacco la porta ad avvicinarsi a Giovanni un giovane collega. 
Maria dopo qualche mese dalle nozze comunica a Luca il proprio disimpegno dal matrimonio e va a vivere con Giovanni con il quale ha nel giro di qualche anno tre figli. 
Maria è convinta di non avere tradito i suoi ideali di matrimonio pur dichiarandosi dispiaciuta di quanto è accaduto con Luca che ricorre al tribunale ecclesiastico. 
Il tribunale dichiara nullo il matrimonio per simulazione totale. 

(2° esempio): Piero e Rosa si lasciano dopo aver vissuto qualche anno in comune, non hanno avuto figli. Piero aveva ricevuto i favori dei genitori di Rosa che durante il periodo degli studi lo avevano aiutato economicamente concedendogli gratuitamente un piccolo appartamento. La coppia era poi sostenuta economicamente dai genitori di Rosa che richiede la nullità del matrimonio, tuttavia il tribunale dichiara che il matrimonio non può essere dichiarato nullo in quanto non era dimostrabile che Piero aveva subordinato il matrimonio al raggiungimento di altri fini. 
L'esempio vuole dimostrare che il tribunale ha sempre un atteggiamento di prudenza quando si tratta di giudicare questa fattispecie. 

3) IMPEDIMENTO IMPOTENZA COPULATIVA 

Cosa significa "impedimento matrimoniale" secondo il diritto canonico? Dal punto di vista tecnico l'impedimento rientra pienamente nei casi in cui il diritto vietava la celebrazione di un matrimonio. 

Questi impedimenti rientrano nel cosiddetto "diritto positivo divino" (ricordatevi quanto detto circa il passo della Genesi citato nelle righe iniziali), ma anche quanto si rinviene nelle parole di Gesù (Mt 19, 1-12 e Mc 10, 1-12). 

La norma di riferimento è il can. 1084 del Codice di Diritto Canonico in cui si afferma che l'impotentia coeundi ( impotenza copulativa) sia che sia antecedente al matrimonio e perpetua, sia che riguardi il maschio che la femmina, è motivo di nullità del matrimonio. 

(1° esempio): Carlo si sposa con Teresa, prima del matrimonio non hanno avuto rapporti sessuali, Teresa è convinta che questa scelta sia dovuta al fatto che Carlo essendo profondamente religioso abbia deliberatamente scelto di avere un rapporto solo dopo il matrimonio. 
Carlo sa benissimo quale è il vero problema e Teresa scopre che il matrimonio non può essere consumato perché il marito è impotente. 

Secondo il can. 1061 il matrimonio deve essere consumato in "modo umano" vale a dire nel modo in cui da sempre un uomo e una donna si sono uniti. 
In termini semplici nel diritto canonico si intende per modo umano: per l'uomo l'erezione, la penetrazione e l'eiaculazione e per la donna la penetrabilità e la tolleranza fino alla eiaculazione. 
Il diritto canonico quindi si riferisce sia all'impotenza dell'uomo che a quella della donna. 

(2° esempio): Cesare e Valeria si sposano, Valeria soffre di disturbi gravi che impediscono la penetrazione, dopo le cure, il problema rimane e i due non possono avere rapporti sessuali. Il matrimonio è nullo. 

Una persona impotente si può sposare ma deve dire prima del matrimonio il suo problema, insomma non lo devo tacere. 


Come abbiamo visto non sempre lo scioglimento del matrimonio è peccato secondo la Chiesa cattolica, anzi in molti casi il Codice ne prevede l'annullamento. 
Prima di cadere nella depressione derivante da un matrimonio fallito è bene conoscere questi aspetti, purtroppo bisogna dire che nei corsi prematrimoniali non si tratta di questo argomento, se lo si facesse con dovizia di particolari si eviterebbero molti matrimoni destinati al fallimento. 


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Published by Caiomario - in Teologia e scienze religiose
21 marzo 2014 5 21 /03 /marzo /2014 05:08

 

Caustico, provocatorio e distruttivo, Céline rimane uno dei giganti della letteratura, non ci sono vie di mezzo, o lo si accetta o lo si rifiuta.

 

 

Perché leggere oggi Louis- Ferdinand Céline? Perché è lo scrittore che più di tutti, per lungo tempo, ha subito la damnatio memoriae da parte della critica e poi perché il recupero postumo operato tardivamente non lo ha mai completamente riabilitato al punto che le sue opere sono ancora oggi poco conosciute.
Non c'è dubbio che Céline sia stato un personaggio difficile e complesso e forse ciò che più a nuociuto al suo genio letterario è stato l'antisemitismo viscerale che lo portò a comporre un libello violento come Bagatelles pour un massacre e a scegliere la collaborazione con il regime di Vichy.
Per inciso Bagatelles pour un massacre è un libro ormai introvabile, andrebbe comunque letto senza farsi influenzare dal potere suggestivo delle parole che Céline sapeva ben usare in modo sapiente ed efficace.

Bisogna comunque ammettere che oggi quando si parla di Céline si tende a separare quelle che furono le sue posizioni ideologiche dal valore delle sue opere anche se si tratta -a mio parere- una forzatura perché l'opera di Céline non può essere separata dalla sua vita. Céline che esercitò la professione di medico nei quartieri popolari di Parigi, per tutta la vita stette in contatto con il dolore, lo squallore e il degrado e questa situazione lo portò su posizioni nichiliste al punto da non credere più in niente se non nella soddisfazione dei bisogni primari quali la fame e il sesso.
Potremo quindi definire Céline anarchico individualista insofferente ad ogni forma di potere per il quale l'uomo è solo una creatura degradata, irrimediabilmente persa e il suo modo di scrivere canzonatorio e offensivo è solo un modo di esprimere questo forte disagio che lo portò a non credere più a niente.


L'AUTORE

 
Louis Ferdinand Céline è forse l'autore che più di tutti, nel Novecento letterario, ha ricevuto delle catalogazioni che in parte hanno inficiato la diffusione delle sue opere per ragioni esclusivamente di pregiudizio ideologico; eppure nonostante la superficialità di certe etichette affibbiate a Céline, a ragione, può essere annoverato tra i protegonisiti assoluti della narrativa novecentesca.
Non si può comprendere lo spirito di un'opera come Viaggio al termine della notte se non si comprende il substrato ideologico di Céline che è stato definito un grande scrittore fascista, che sia grande nessuno lo può contestare , che si possa definire fascista secondo l'accezione usata nel senso comune è alquanto discutibile.
Céline era un anarchico e un nichilista che potrebbe iscriversi nel filone degli irregolari di ogni tempo e che non può avere connotazioni di carattere ideologico, la sua adesione al fascismo francese, peraltro mai organica, va vista esclusivamente come l'ennesimo atto di rottura di un personaggio che leggeva la realtà senza alcun filtro e che auspicava una sorta di palingenesi rigeneratrice che avrebbe coinvolto tutti.
Probabilmente la capacità distruttiva del nazismo era inconsciamente vista come il mezzo per accellerare questo dissolvimento che nasce proprio dal suo anarchismo cinico e distruttivo incline allo sberleffo, alla negazione e al riso ghignante e questo è proprio lo spirito che anima Voyage au bout de la nuit

IL CONTENUTO DEL LIBRO E IL COMMENTO

Viaggio al termine della notte racconta la storia di Ferdinand Bardamu che dopo esser stato ferito nel corso della prima guerra mondiale, viene mandato a Parigi per trascorrere la convalescenza, in questa occasione conosce Lola una ragazza statunitense di cui si innamora.
Fin dalle prime pagine appare lo stile corrosivo di Céline, la descrizione delle abitudini di quelli di Parigi è animata da un disprezzo che non fa sconti e li definisce come coloro che hanno sempre l'aria occupata,ma di fatto, vanno a passeggio da mattina a sera, prova ne è che quando non va bene per passeggiare, troppo freddo o troppo caldo, non li si vede più; son tutti dentro a prendersi il caffè con la crema e locali di birra.
Ad un certo punto Cèline allarga la prospettiva e medita sul secolo della velocità affermando che in realtà non è cambiato niente e che tutto è come prima, la sua è un'insofferenza verso la medicorità ottimista delle magnifiche sorti e progressive che sembra aver contagiato tutto lo spirito del Novecento per poi diventare la caratteristica dominante del secolo successivo, il nostro in cui alla velocità del progresso tecnologico non corrisponde nessun cambiamento dell'animo umano.

A questa folla di cisposi,pulciosi, cagoni che popola i tempi della modernità si ascrive anche lui Bardamu/Cèline che tuttavia pur subendola non l'accetta invocando l'anarchia come stile di vita, un'anarchia intesa come rifiuto più che come elaborazione ideologica o di adesione a un gruppo politico.Dice Cèline siamo tutti seduti su una grande galera, remiamo tutti da schiattare, puoi mica venirmi a dire il contrario. E che cos'è che ne abbiamo? Niente, solo randellate, miserie, frottole e altre categorie.....di là sul ponte ci sono i padroni.
Emerge quindi sin da subito il Céline più autentico, quello insofferente ad ogni costrizione e ad ogni padrone, ma soprattutto si delinea un aspetto che contraddice quanto sostenuto dai detrattori di Céline:la sua insofferenza verso la guerra che vede da una parte i civili che allora mandavano incoraggiamenti e oggi pensano che le missioni di pace siano una passeggiata, mentre non sono altro che un modo diverso di chiamare la guerra con l'aggravante dell'ipocrisia.

Eppure questa chiave di lettura potrebbe non soddisfare in quanto parlare di insofferenza verso la guerra potrebbe fare pensare a un Céline pacifista, mentre emerge un contenuto antimilitarista indirizzato ad una critica nei confronti delle gerarchie militari e della logica dell'armiamoci e partite dove le decisioni vengono prese da altri, scrive infatti Céline:
Mai mi ero sentito così inutile come in mezzo a tutte quelle pallottole e le luci di quel sole. Una immensa. Universale presa in giro.

Nel secondo capitolo del libro dove si rievoca l'esperienza della guerra emerge anche un altro aspetto: la personalizzazione del racconto ci da lo spunto per comprendere il significato di eroe che Céline ben inquadra senza reticenze e togliendo il velo che purtroppo nasconde il significato vero di questa parola e soprattutto del meccanismo psicologico che si scatena nella guerra:

"ero preso in questa fuga di massa, verso l'assassinio di gruppo, verso il fuoco",

questa presa di coscienza lo porta a dare il primo giudizio negativo sul genere umano affermando in modo lapidario:
Non crederò più a quello che dicono, a quello che pensano. E' degli uomini e di loro soltanto che bisogna aver paura, sempre.
Un protagonista quello descritto da Céline che comunque dimostra il suo valore guadagnandosi un riconoscimento militare:

"In convalescenza me l'avevano portata la medaglia, addirittura in ospedale e che in quell'occasione conosce un personaggio femminile che avrà una forte influenza su di lui la piccola Lola d'America".

 
Il ritratto che esce fuori di Lola è quello di una ragazza carina, dolce: Il cuore di Lola era tenero, debole ed entusiasta. Il corpo era grazioso, molto gradevole e dovetti prenderla tutta come si ritrovava
Il linguaggio descrittivo è essenziale ma efficace, quel che risalta immediatamente è lo stile ingentilito fortemente in contrasto rispetto all'uso del torpiloquo e della bestemmia che troviamo nei capitoli dove si parla della guerra, tuttavia a questo tributo per il bell'aspetto della giovane, corrisponde immediatamente la consapevolezza di trovarsi davanti ad una donna combattiva, incantevole ma combattiva.
Non mancano delle curiose digressioni come quella che si riferisce al chilo preso da Lola e al tentativo di eliminarlo: Sta angoscia di ingrassare era arrivata a rovinarle ogni piacere, a questo piacere rovinato fa da contraltare la figura di Madame Herote, un po' prostituta per piacere e per denaro e nel contempo lingerista, guantaia, libraia descritta come protetta da una volubilità straordinaria, da un temperamento indimenticabile, una donna che in seguito a una malattia che l'aveva privata delle ovaie poteva concedersi liberamente a chiunque.
Madame Herote è un personaggio che sembra uscito da un film di Fellini, anche se a questo punto bisognerebbe dire che la Gradisca di Amarcord sembra uscita da un libro di Céline.
Efficace ancora una volta nel linguaggio Céline definisce Madame Herote come una che architettava felicità e drammi senza posa. Provvedeva alla manutenzione della vita delle passioni..........una donna che prelevava la sua decima sulle vendite dei sentimenti.
Céline ritorna spesso su Parigi, la Parigi del 1932 che così descrive:

"I ricchi a Parigi vivono insieme, i loro quartieri, in blocco formano una fetta di torta urbana la cui punta tocca il Louvre, mentre il bordo arrotondato si ferma agli alberi tra il ponte di Auteuil e la Porte des Ternes: E' la fetta buona della città. Tutto il resto è fatica e letame".

Céline ci descrive non solo la Parigi degli anni '30 ma anche l'umanità che popolava quelle strade, un 'umanità che popolava le botteghe come quella di Mademoiselle Hemance la cui specialità era l'articolo di caucciù confessabile o no, da una parte Mademoiselle Herote che dispensava amore a pagamento, dall'altra Mademoiselle Hermance che vendeva profilattici.
Ad un certo punto Céline lancia un altro dei suoi giudizi senza appello che assomiglia ad un aforisma Le donne hanno natura da serve ma parlando della brutta aiutante di Madame Herote si domanda in modo provocatorio ''Dopotutto'', ''perché non ci potrebbe essere un'arte nella bruttezza come c'è nella bellezza? E' un genere da coltivare, ecco tutto".
Céline si dimostra uno straordinario lettore dell'animo umano e questa occasione gliela dà ancora la guerra, argomento sul quale ritorna più volte, la guerra quindi è anche un formidabile rivelatore dello spirito umano.


LE COLONIE

 
Come la guerra, le donne, Parigi e i suoi negozi, anche le colonie sono un'occasione per ragionare ed in particolare la colonia di Bambola-Bragamance dominata dalla figura del Governatore, una società organizzata gerarchicamente e dominata dai militari e dai funzionari governativi e più sotto ancora dai commercianti, alla base i negri elemento catalizzatore di tutte le violenze.
Un Céline anticolonialista? Forse no , ma che sicuramente vedeva gli indigeni con un misto di pietà e di disprezzo, al punto che afferma Quanto ai negri uno si abitua in fretta a loro, alla loro ilare lentezza,ai loro gesti troppo ampi, ai venti debordanti delle loro donne. La negreria puzza di miseria, di vanità interminabili, di rassegnazione immonda; insomma come i poveri da noi ma con più bambini ancora e meno biancheria sporca e meno vino rosso intorno.


L'AMERICA DI CELINE RIPENSANDO A BUKOWSKY

Gli americani visti da Céline: "Te lo raccontiamo subito noialtri cos'è che sono gli americani! O tutti milionari o tutti carogne! Non c'è via di mezzo".
Leggere l'America descritta dall'autore è un'occasione per entrare nelle strade, nella gente, nelle abitudini gastronomiche, più si leggono le pagine di Céline più ci si rende conto quanto sia stato saccheggiato, in un autore come Charles Bukowsky, un altro maledetto che con la narrativa ci ha saputo fare, ritroviamo tanto Cèline; quella descritta da Céline è l'America di folle di emigrati che non sapevano parlare inglese, diseredati definiti bestie sfiduciate che bisognava tenere lontani perché la loro bocca aveva la puzza della morte.
E poi il lavoro in fabbrica che ti fa diventare vecchio in un solo colpo e la cura personalissima a questa situazione che Bardamu/Céline trova per rifarsi un'anima, un locale un po' bordello che gli consentiva gli effetti negativi che provenivano dall'atrocità materiale della fabbrica.
Ancora una volta troviamo diversi personaggi femminili come Molly che così descrive:

"Mi ricordo come se fosse ieri le sue gentilezze, le sue gambe lunghe e bionde e splendidamente agili e muscolose, delle nobili gambe.La vera aristocrazia umana, si ha un bel dire, sono le gambe che la conferiscono, non si può sbagliare".

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In ogni periodo quindi ritroviamo una figura femminile descritta nella sua fisicità, pochi tratti ma essenziali in grado di delineare anche il carattere e una sorta di ammirazione, ma anche tanti modi di descrivere l'amore, in particolare parlando di Molly, Céline descrive il modo di intendere l'amore da parte degli americani: L'amore che eseguiva per vivere non la stancava troppo. Gli americani lo fanno così, come gli uccelli.
Un parallelo con Madame Herote e Molly ci porta a vedere due modi di intendere l'amore a pagamento di cui Céline sembra un grande esperto: un amore quasi a livello industriale quello di Molly che disponeva di ampie risorse......perché si faceva anche cento dollari al giorno, un amore voluttuoso quello di Madame Herote.

UN MECCANISMO PER DIFENDERSI DAGLI IMPREVISTI DELLA VITA


Quando Bardamu dopo l'esperienza delle colonie e dell'America, torna in Europa sviluppa una sua filosofia della sopravvivenza che così delinea: Val la pena agitarsi, aspettare basta, dal momento che tutto deve finire per passarci, nella strada. Quella sola conta in fondo.Niente da dire. Ci aspetta. Bisognerà pur scenderci nella strada, decidersi, non uno, non due non tre, ma tutti. Stiamo lì davanti a far cerimonie e complimenti, ma capiterà.

PROTAGONISTA ANCORA UNA VOLTA IL CORPO DELLA DONNA

Al suo ritorno in Europa Bardamu si dedica ad un'attività abbietta: praticare aborti clandestini, il corpo della donna come il suo corpo è il luogo del piacere, ma anche della sofferenza e del dolore.
Convivono quindi due atteggiamenti verso il corpo: quello del corpo visto come piacere e quello del corpo visto come fonte di dolore e di orrore come nell'episodio in cui descrive un'emorragia vaginale di una sua cliente a cui aveva procurato l'aborto.E' il corpo il protagonista di tutti i suoi personaggi ed il suo stesso corpo: Mademoiselle Herote, Lola, Molly, lui che è in ospedale ferito, lui che soffre il lavoro in fabbrica, un corpo che è in perenne disfacimento, ma anche il corpo delle belle ragazze, definite gioie viventi, delle grandi armonie fisiologiche, comparative..............il corpo, divinità manipolata dalle mie mani vergognose.

In conclusione: è difficile inquadrare Céline semplicemente come un nichilista, sarebbe preferibile definirlo uno strutturalista, Céline analizza la realtà, vi entra dentro e senza reticenze la viviseziona, non si limita a fotografarla, la materia diventa vita.
La città viene vista come un'immensa prigione ma solo per i poveri che costretti al lavoro in fabbrica, non vivono la città. Ed ecco allora due umanità : da una parte i lavoratori salariati, coloror che vivono la fabbrica, la catena di montaggio e i nativi africani delle colonie e dall'altra parte i quartieri che contano come quello di Parigi descritto nelle pagine iniziali del libro.


Caustico e cinico Céline l'anarchico individualista per eccellenza, ci introduce nel mondo della miseria umana, mettendo a nudo il nichilismo che investe l'umanità misera e senza speranze; il libro pur essendo stato nel 1932, conserva distanza di ottanta anni il suo valore.
Lo stile letterario di Céline non è facile, è una prosa ritmica quasi onomatopeica. Il linguaggio a volte popolare raggiunge vette altissime utilizzando le iperboli, stilisticamente geniale pur nel cinismo non manca mai di ironia .

 

Caiomario

 

Recensione di mia proprietà pubblicata anche altrove.

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Published by Caiomario - in Libri
20 marzo 2014 4 20 /03 /marzo /2014 16:41

 

VALENTINE PONTIFEX-Robert Silverberg-1st Brit-Unread-DJ

 

 

 

 

"Pontifex Valentine" è un bel romanzo nato dalla fervida fantasia di Robert Silveberg, anche qui ci troviamo in un immaginario mondo extraterrestre, il pianeta di Majipoor e lord Valentine è il protagonista di questo racconto di letteratura fantastica che si gioca tutto dentro l'incubo del labirinto. 

Fortemente visionario, il libro di Silveberg è il completamento della trilogia che comprende altri due libri "Il castello di Lord Valentine" e "Cronache di Majipoor"; la descrizione del pianeta di Majippor è affascinante ed è quello che in realtà sta alla base anche di molte imprese aereospaziali: il desiderio di trovare un pianeta diverso dalla terra ma con delle possibilità di vita che lo rendano colonizzabile, Majipoor è un pianeta gigantesco dai mari sconfinati e caratterizzato dalla presenza di vaste aree desertiche, a differenza poi della terra è abitato anche da creature dalle parvenze non umane ed è ricchissimo di foreste dalla vegetazione rigogliosa. 

Ci troviamo ancora immersi in un ambiente dove è presente la commistione di diversi elementi: terrestri, umani e alieni ma con una differenza fondamentale rispetto ad altri romanzi del genere: l'elemento tecnologico non è prevalente rispetto alla figura in questo del protagonista che continua ad essere un uomo. 

Lord Valentine è in questo caso l'eroe moderno che è sempre presente in tutto l'intreccio narrativo e sullo sfondo uno scenario che diventa plausibile nel momento in cui le condizioni di vita, per quanto diverse dalla terra, sono accettabili per i terrestri. 
Tutto il romanzo dimostra l'abilità narrativa di Silveberg, abile in quella manipolazione spazio-temporale che immerge il lettore in un tempo indefinito, in una sorta di quarta dimensione dove la cronologia terrestre passa in secondo piano: siamo nel futuro ma anche nel passato, le condizioni di vita del pianeta sono quelle che la Terra ha già visto ma che ha definitivamente perso. 

Eppure la Terra e l'uomo rimangono ancora al centro dell'universo, è Lord Valentine che si impone contro il cattivo di turno, in questo modo il lettore per quanto affascinato dall'extra-mondo, ritrova tutti gli elementi che gli sono familiari: elemneti fisici, storici e architettonici. 
Bisogna riconoscere al genio di Silveberg di avere avuto un senso dell'estetica straordinario: l'idea del castello come labirinto non è nuova sicuramente ed attinge all'idea del labirinto di Cnosso costruito da

Dedalo, famoso nella mitologia per aver concepito una costruzione dai corridoi inestricabili e di difficile orientamento ma nonostante ciò la sua descrizione lascia incredulo il lettore. 

Un altro aspetto importante è che il lettore non viene immerso in una sorta di mondo dove tutto è perfetto e migliore rispetto al mondo terrestre, il potere esiste, Lord Valentine per diventare Pontifex deve lottare, il male non sembra eliminabile neanche in condizioni differenti da quelle terrestri, il dolore non è solo una condizione umana ma è comune a tutte le forme di vita. 

La stessa concezione del tempo che Silveberg presenta non è affatto fantascientifica ma è una concezione che trova riscontro nella teoria della relatività di Einstein secondo la quale il tempo non è uguale ovunque per cui è plausibile che ci siano mondi extraterrestri in cui il loro futuro corrisponde al nostro passato e viceversa. 

Un altro bel romanzo a cui bisogna approcciarsi con lo stesso spirito a cui si approcciava il lettore a Jules Verne, il padre di molta letteratura fantastica che ebbe il merito di predire il futuro descrivendo circostanze e tecnologie con cui oggi abbiamo familiarità, Silveberg fa questo e il suo Lord Valentine è quello che potrebbe essere l'uomo di domani. 

 

INFORMAZIONI SUL LIBRO

Titolo: Pontifex Valentine

Autore: Robert Silveberg 

Editore: Nord

Anno di pubblicazione: 1994

Pagine: 357

Codice ISBN: 8842907553

 

Articolo di propietà dell'autore

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Published by Caiomario - in Letteratura
20 marzo 2014 4 20 /03 /marzo /2014 11:51

 

 

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Nel museo archeologico  di Rabat in Marocco, si trova un busto in bronzo di Marco Porcio Catone Minore  più conosciuto come Catone l'Uticense, così soprannominato per la città di Utica in cui si tolse la vita, era pronipote dell'altro Catone, noto come il Censore e come il celeberrimo antenato, era uomo parco ed estraneo ad ogni forma di lusso.

 

L'austerità dell'Uticense è proverbiale, era solito camminare a piedi nudi nel Foro e indossava abiti modesti, agli indigenti distribuiva gli stessi viveri che mangiava lui: rape e cipolle.

 

Ecco come lo storico greco Plutarco racconta gli istanti che precedettero il suo suicidio. Siamo nel 46 a.C, Marco Porcio Catone Minore si trova ad Utica non lontano da Cartagine, gli è giunta notizia che Cesare ha sbaragliato l'esercito dei repubblicani:

 

"Dopo avere mangiato e congedato gli ospiti, Catone si sdraia, prende il dialogo di Platone sull'anima e dopo averne letta una gran parte, volge lo sguardo verso il cuscino. Non scorgendo la sua spada, tolta da suo figlio durante il pasto, chiama uno schiavo e gli domanda chi l'abbia presa.

La prende, la tira fuori dal fodero e la guarda con attenzione; poi vedendo che la punta è ben acuminata e il taglio affilato dice: "Adesso sono padrone di me stesso".

Pone allora la spada vicino a sè, riprende il libro e lo legge. Poi prende la spada e se la conficca nel petto. Non spira immediatamente; durante l'agonia cade dal letto, facendo un gran rumore.....Gli schiavi udiscono, gridano e i figli e gli amici di Catone si precipitano nella camera.

Lo rinvengono in una pozza di sangue, ancora vivo e con gli occhi aperti. Il medico fascia la ferita, ma quando Catone rinviene, responge il medico, riapre la ferita e muore".

 

(da "Vita di Catone" di  Plutarco)

 

 

Catone l'Uticense aveva un senso dell'onore e del coraggio che  non può essere compreso dalla cultura dell'uomo del XXI secolo, eppure l''Italia dei vili, degli opportunisti e dei voltagabbana venne un tempo calpestata da uomini  dalla forte tempra come l'Uticense che dinanzi alla vergogna della sconfitta preferivano stoicamente uscire dalla vita piuttosto che subire l'umiliazione del vincitore.

 

 

 

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Published by Caiomario - in Storia
20 marzo 2014 4 20 /03 /marzo /2014 11:09

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Fonte: http://www.flickr.com/photos/14243297@N07/2329217812

 

 

 

 

 

Sono pochi gli studiosi che si sono occupati della relazione tra la cucina olfattiva e quella visiva, le riflessioni più interessanti sull'argomento sono quelle che troviamo nell'opera "Il gesto e la parola" scritto dall'antropologo francese Andrè Leroi-Gourhan.

 

Gourhan, senza dubbio uno dei maggiori studiosi di antropologia preistorica e di tecnologia materiale faceva una distinzione tra i sensi osservando che:

 

"Nell'uomo l'olfatto ha una posizione particolare tra i sensi di relazione", questa affermazione trova una spiegazione in ciò che il professore francese afferma subito dopo:

 

"Infatti la vista e l'udito, impegnati nel linguaggio con la mano, entrano nel sistema di emissione e di ricezione che rende possibile lo scambio di simboli figurativi".

 

Ciò significa che nessuna arte figurativa è in grado di riprodurre gli odori e ciò rende la gastronomia un'attività umana che sta "al di fuori delle belle arti".

 

Ma esiste una relazione fra cucina e personalità etnica? La risposta è affermativa, afferma a tal proposito l'antopologo francese:

 

"Le cucine in cui il riso è l'elemento base sono numerose , ma è impossibile confondere piatti di riso malgasci, cinesi indiani, ungheresi o spagnoli, perché il modo di cucinare comporta la creazione di un aroma olfattivo-gustativo specifico di ogni cultura".

 

Se la rappresentazione olfattiva è impossibile da riprodurre, è invece possibile raffigurare un piatto attraverso i colori che sono l'unica forma estetica attraverso cui si possono raffigurare i cibi.

 

Secondo Leroy- Gourhan è quindi la vista a prevalere sull'olfatto anche nella percezione che si ha di un cibo nella realtà; pensiamo, ad esempio, alla luce che viene utilizzata in una qualsiasi macelleria moderna per rendere la carne più rossa di quello che in realtà è.

L'uomo che ha un olfatto meno sviluppato rispetto a quello  degli altri esseri viventi del mondo animale, è prima con la vista che accetta un cibo e solo secondariamente con l'olfatto che pur conserva un ruolo importante nella relazione tra gli individui.

 

 

Per avere maggiori informazioni sulla vita e le opere di André Leroi- Ghouran si consiglia di consultare l'Enciclopedia Treccani al seguente indirizzo:

 

http://www.treccani.it/enciclopedia/andre-leroi-gourhan/ link

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Published by Caiomario - in Filosofia
20 marzo 2014 4 20 /03 /marzo /2014 05:19

Ripercorrere in un libro tutti  i fatti di cronaca nera accaduti a Roma è impossibile, ecco perché gli autori hanno dovuto necessariamente fare una scelta a partire dal prologo dove si parla di Romolo e Remo che, secondo quanto raccontato nella leggenda,  fondarono Roma nella divisione e nel sangue. E se la storia di Remo  che si faceva beffe del fratello e dei confini da lui tracciati o, a seconda delle versioni, delle mura da lui erette, appare troppo lontana nel tempo, sono i fatti più vicini a noi quelli che maggiormente coinvolgono il lettore.

Un comun denominatore di molti fatti di cronaca raccontati nel libro riguarda il fatto che continuano a rimanere un mistero; il "caso di Manuela Orlandi" è forse quello più emblematico come quello del "delitto di via Poma" o andando indietro nel tempo alla storia del mostro per antomasia quel Gino Girolimoni che poi si rivelò del tutto estraneo alla serie di delitti che videro come vittime delle bambine.

 

Ed è anche la Roma papalina ad attrarre l'interesse del lettore che scoprirà come faide e duelli spesso dall'esito cruento, sono stati anche motivo di ispirazione per la scrittura di opere che poi hanno ispirato celebri autori, si pensi solo, in tempi più recenti, alla commedia musicale "Rugantino" o alla scene di osterie e coltelli presenti nel film "Il Marchese del Grillo" di Monicelli.

Non poteva mancare nel libro una trattazione del "caso Montesi" con tutto il suo carico di mistero e di presunte coperture che da sempre caratterizzano i fatti di cronaca nera.

Nel libro troviamo un'ampia trattazione delle Banda della Magliana, l'organizzazione criminale che ha pesantemente marcato con il sangue le strade della capitale e che ha potuto agire, spesso indisturbata, grazie al sodalizio con diversi ambienti della Roma affaristica e grazie alle protezione di alcuni personaggi delle alte gerarchie vaticane.

 

Numerosi sono gli argomenti trattati da Cristiano Armati  e Yari Selvetella, nell'edizione più recente che è stata pubblicata nel 2009 è presente un aggiornamento con l'inserimento degli ultimi fatti di cronaca nera tra cui spiccano quelli del giovane Gabriele Sandri, il giovane tifoso della Lazio ucciso l'11 novemre del 2007 durante una sosta nell'autogrill di Badia del Pino e di Vanessa Russo, la ragazza uccisa con l'ombrello.

 

 

La lettura delle 478 pagine del libro  è agevolata dal fatto che sono presenti numerose fotografie, spesso si tratta di immagini di  articoli di giornali dell'epoca in cui sono accaduti i fatti raccontati, giornali che costituiscono la vera fonte di informazione da cui gli autori hanno potuto attingere per realizzare un'opera che, purtroppo, non è un romanzo criminale ma una sequela di storie di sangue realmente accadute.

 

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Published by Caiomario - in Libri
20 marzo 2014 4 20 /03 /marzo /2014 04:33

pronto sulla terra

e Geova spartì il mondo

fra Coca-Cola Inc., Anaconda,

Ford Motors, e altre entità:

la Compagnia della Frutta Inc.

si riservò la parte più succosa,

la costa centrale della mia terra,

la dolce cintura d'America.

 

Ribattezzò le sue terre

come "Repubbliche Banane,"

e sopra i morti addormentati,

sopra gli eroi inquieti

che conquistarono la grandezza,

la libertà e le bandiere,

istituì l'opera buffa:

sguainò l'invidia, si accattivò

la dittatura delle mosche,

mosche Trujillo, mosche Tacho,

mosche Carias, mosche Martinez,

mosche Ubico, mosche umide

di sangue umile e di marmellata,

mosche ubriache che ronzano

sulle tombe popolari

mosche da circo, sagge mosche

esperte in tirannia.

 

Frattanto negli abissi

zuccherati dei porti,

cadevano indios sepolti

nel vapore del mattino:

un corpo rotola, una cosa

senza nome, un numero caduto,

un grappolo di frutta morta

sparsa nel marcitoio"

 

(PABLO NERUDA)

 

 

IL COMMENTO DI CAIOMARIO

 

L'irruzione provocatoria di Neruda che all'inzio dei tempi attribuisce a Dio la spartizione del mondo tra diverse compagnie tra cui la Compagnia della Frutta Inc. a cui spettò "la parte più succosa", appare così bizzarra da perdere qualsiasi irriverenza nei confronti del sacro. È la logica del profitto a tutti i costi che invece rivela tutta la sua carica di violenza che irride il sacro del Creato, la United Fruit Company assurge a simbolo del male assoluto portando quella che il poeta cileno definisce "opera buffa" alludendo alla creazione di una falsa libertà politica in cui contava solo lo sfruttamento delle risorse, ottenuto tramite l'utilizzo di uomini trattati alla stregua delle bestie da soma.

E Neruda, senza reticenza, fa i nomi di coloro i quali si prestarono a questo sfruttamento dissennato  che portò all'impoverimento delle terre e delle popolazioni del centro America: Rafael Trujillo, Tacho ossia Anastasio Somoza, Carias, Massimiliano Martinez e Ubico; tutti piccoli dittatori definiti  da Neruda con disprezzo mosche; ma mosche pericolose capaci di ignobili e turpi azioni nei confronti di uomini trattati come cose senza nome, uomini sfruttati,  spremuti e poi buttati a marcire come "la frutta morta".

 

Che differenza c'è tra quella situazione di sfruttamento dell'uomo sull'uomo e altre forme si sfruttamento odierno, più sottili, meno plateali ma non per questo meno violente? Assistiamo anche oggi, in forma massiccia, allo strazio di tanti uomini e donne trattati come cose, come frutta marcia e non esistendo più l'alibi della dittatura, tutto viene accettato anche dalle stesse vittime, ormai impotenti e prive di qualsiasi capacità di reazione.

 

 

 

Nella foto: Pablo Neruda nel 1949 a Parigi (Fonte immagine: http://www.flickr.com/photos/28047774@N04/7902300334)

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Published by Caiomario - in Letteratura
19 marzo 2014 3 19 /03 /marzo /2014 06:40

"O poco cervello! o veramente bestia! - disse un giorno la formichetta al gatto. - Che fai tu pazzo? Vedi un poco me: io non lascio correre il tempo invano. Quando ho preso un granellino di frumento o qualche guscio di fava, vado a riporlo nel mio granaio e, come se non l'avessi, esco fuori a provvedermene d'un altro; e così fo del terzo e poi del quarto senza mai arrestarmi, tanto che fra gli uomini sono mostrata per esempio di cautela e di giudizio. Tu all'incontro, quando hai preso un topolino, in cambio di attendere a far nuova caccia, ti dai ora a miagolare, poi lo lasci correre e lo ripigli, di là con una zampa lo fai balzare dall'altra, e fai mille giuochi o saltellini e pazziuole, sicchè prima di dargli la stretta, perdi qualche ora di tempo.

Ti pare prudenza questa? Bada ai fatti tuoi e non gittar via le ore in frascherie, sciocco e cervellino che tu sei"

"La sciocca e cervellina sei tu; - rispose il gatto. - Quanto è a me, credo di essere maggior filosofo di Aristotele. Credi tu che sia maggior segno di giudizio l'affaticarsi sempre al mondo per avere assai, o sapere in quel poco che si ha trovare la contentezza, e la consolazione triando in lungo qualche tempo senza pensieri?"

Non mi pare che il gatto parlasse male: sicché, se vi pare, ingegnatevi, d'imitarlo da qui avanti, come avete finore

imitata la formica"

 

(Gaspare Gozzi)

 

 

IL COMMENTO DI CAIOMARIO

 

Meglio la prudente formichetta o lo stoico gatto che definendosi filosofo maggiore di Aristotele, rimprovera alla formica il suo affrettarsi che non conosce la contentezza dell'attimo che fugge?

Se per alcuni le  ore trascorse a "far frescherie" ossia le sciocchezze sono segno di mancanza di giudizio, per altri vivere  la quotidianità è un riflesso condizionato che rivela il cupo abisso della noia e del non senso: l'uomo ha bisogno anche di frescherie e di  sciocchezze per non finire nel moralismo pedantesco di una seriosità che porta ad agire in modo meccanico, un modo che fa perdere il gusto e la frizzantezza di una vita troppo breve per non gustarla giorno dopo giorno.....anche facendo "mille giuochi  o saltellini e pazziuole"...anche questa è ragionevolezza!!

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Published by Caiomario - in Letteratura
17 marzo 2014 1 17 /03 /marzo /2014 21:42

siti di article marketing

 

5841251630_6ec6def560.jpg                                            Fonte: http://www.flickr.com/photos/44175918@N08/5841251630

 

 

 

 

 

Se dovessimo individuare la costante presente in tutti i racconti di Dino Buzzati (sia nelle narrazioni in genere brevi che in quelle più ampie del romanzo), noteremo che il tempo è spesso il protagonista assoluto. 

Nella sua opera più nota il "Deserto dei Tartari", il fattore tempo diventa così angosciante che il lettore ogni volta che si trova nella situazione di attesa (di qualsiasi attesa, più o meno lunga) non può fare a meno di pensare alla situazione surreale e a tratti magica in cui si trovò il tenente Giovanni Drogo. 
Il tempo per ognuno di noi scorre velocemente e quando abbiamo trascorso una parte importante della nostra vita senza avere raggiunto i risultati che ci eravamo prefissi, è inevitabile che girandoci indietro tutto appare squallido e monotono. 

Se poi al fattore tempo aggiungiamo il pensiero della morte ritorna in noi insistente quel senso di inutilità che tutti hanno provato almeno una volta nella propria vita. 
Ecco perché "Il reggimento parte all'alba" tende a sconvolgere quel desiderio di tranquillità e di rilassatezza che più o meno consapevolmente accompagna chiunque si avvicini alla lettura. 
Personalmente credo che questa serie di racconti di Buzzati debba essere letta con un'avvertenza in quanto ogni singola narrazione presenta delle controindicazioni prime fra tutte il senso di angoscia e di terrore che si prova procedendo nella lettura. 
Il tema della morte, infatti, viene affrontato con l'espediente della invenzione narrativa e può essere considerato per affinità la continuazione ideale del "Deserto dei Tartari", almeno per quanto riguarda la tematica di fondo affrontata: la morte, un appuntamento ineluttabile a cui tutti, prima o poi, siamo destinati. 

Chi ha visto un film straordinario come "Vi presento Joe Black" in cui i due protagonisti (Brad Pitt e Anthony Hopkins) "giocano" sulla'ineluttabilità di un destino a cui non si può sfuggire e dove la "Morte" assume sembianze umane per portare il suo annunzio funesto, non può che provare alla fine della visione della pellicola un senso di inquietudine e di incertezza che tuttavia non vanno a detrimento della piacevolezza della visione stessa. 
E' esattamente lo stesso sentimento che si prova dopo aver letto "Il reggimento parte all'alba", il reggimento è la carovana dei "morituri" che parte per l'ignoto. 
Il narratore "ne sa meno" dei personaggi si limita a descrivere quella che è la fine e lo fa ricorrendo a personaggi che sono la personificazione del morituro o del morto che appare ai vivi e ogni riga ingenera una sorta di disperazione che non ammette riscatto. 

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Fonte immagine: http://www.flickr.com/photos/26849183@N00/35547156

Album di angelocesare

 

 


Ci viene in mente il celebre passo dell'Iliade in cui si racconta l'incontro tra Achille e Priamo, così recita:


"O Patroclo, non indignarti con me, se saprai, 
pur essendo nell'Ade, che ho reso Ettore luminoso 
al padre, non indegno riscatto m'ha offerto 
e anche di questo io ti farò la parte che devo". 

Buzzati riesce a presentare il tema della morte trasmettendo quell'aura di presentimento fatale che solo gli autori greci erano in grado di comunicare poeticamente; leggendo i libro sono arrivato alla conclusione che Buzzati sia riuscito a raccontare in modo unico la sfera dell'inconscio (la paura della morte) fermandosi al piano della coscienza del lettore che in, tal modo, viene stimolato dalle sue impressioni e da tutti quei pensieri nascosti che creano conflitto e che hanno poco di poetico come la morte. 

Il libro è brevissimo (solo 112 pagine) e lo consiglio a tutti i "buzzattiani", suggerisco, inoltre, la lettura de "I sette messaggeri", altro libro magnifico ad alta tensione che, dopo la lettura, fa rimuginare e.....terrorizza.

Con il senso dell'ignoto e del mistero siamo costretti a fare i conti, giorno dopo giorno.

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Published by Caiomario - in Libri
17 marzo 2014 1 17 /03 /marzo /2014 06:55

 

 

 

 

 

 

 

 

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Accostarsi al "Trionfo della morte", il più nietzschiano dei romanzi di Gabriele D'Annunzio, può indurre il lettore a confondere l'esteta, come lo intendeva il Vate con il superuomo di Nietzsche, ma il decadentismo non ha niente a che fare con la filosofia di Nietzsche se non per l'influenza che questi ebbe su tutti gli scrittori (D'Annunzio compreso) che credettero di interpretare in modo corretto il pensiero del filosofo tedesco. L'influenza che il filosofo tedesco ebbe su D'Annunzio, è innegabile ma, per ovvie ragioni, fu un'influenza non voluta; nel secondo Novecento, poi, l'accezione del superuomo come individuo slegato da qualsiasi imposizione della morale è quella che ha avuto più successo ed è anche quella che ha contribuito, in maniera determinante, a non comprendere Nietzsche, difatti coloro che sostengono questa tesi sono solitamente quelli che non hanno mai letto le opere di Friedrich Nietzsche
Chi scrive ha cercato di tenere distinti i due piani di pensiero anche se una certa vulgata letteraria tende a sovrapporre i due piani ingenerando un equivoco fuorviante. 
Nietzsche aveva un'idea di uomo che andava oltre (superuomo nel senso di sopra l'uomo) e che rappresentava un modello per il futuro, un uomo che era libero da qualsiasi superstizione e pregiudizio, D'Annunzio invece, sotto questo punto di vista, rappresenta un decadimento dell'idea nietzschiana. 

IL TRIONFO DELLA MORTE UN PASSANTE SI BUTTA DAL PINCIO E SI RINCHIUDONO IN ALBERGO 

Il romanzo si compone di 24 capitoli divisi in sei parti, gli unici protagonisti sono Giorgio Aurispa e Ippolita Sanzio, entrambi sono amanti; gli altri attori sono delle comparse che si muovono dietro la storia tragica dei due. La parola "amante" in D'Annunzio è pregna di sensualità, gronda di fisicità e non è mai foriera di gioioso trasporto, il poeta raccontava storie di amanti maledetti che nella tragedia personale sublimavano se stessi sino ad annullarsi. 

L'inizio del romanzo conferma l'inclinazione di D'Annunzio a narrare episodi che turbano il lettore: siamo sul Pincio, Giorgio e Ippolita stanno passeggiando ad un certo punto una persona si suicida buttandosi nel vuoto. I due che fanno? Vanno a rinchiudersi in un albergo e non avendo altro da fare Giorgio mostra le lettere che le ha scritto e non le ha mani spedito, Ippolita apprende la folle gelosia di lui, ne è turbata. 

LA SEPARAZIONE E LA MAMMA DI LUI 

Giorgio e Ippolita vanno verso l'inevitabile separazione, entrano in gioco le figure femminili della sua famiglia: la mamma e le sorelle. La madre suscita in lui pena e amore, mentre è il padre quello che gli ha dato l'imprinting della violenza, da questa tara è impossibile liberarsi e la figura del padre, anonima e misteriosa, è quella che, in parte, ne condizionerà le scelte. 

PER RITROVARE L'AMORE SI RIFUGIANO IN UN ALBERGO, MA È L'ULTIMA TAPPA PRIMA DEL TRIONFO DELLA MORTE 

Giorgio e Ippolita dopo essersi ritrovati decidono di ritirarsi in un albergo dell'Adriatico abruzzese, la parte del romanzo in cui si descrive questo episodio è tra le più belle, D'Annunzio che di donne certo se ne intendeva, riesce a descrivere in maniera unica il rapporto carnale che lega i due, la sensualità di lei e l'ossessione che lui prova verso la vitalità straripante dell'amante. 
E' l'esito che è infausto e, lascia l'amaro in bocca! Giorgio decide di uccidere Ippolita e poi di togliersi la vita. 



L'ANGOLO PERSONALE 

Giorgio è un raffinato, non c'è dubbio, ma è anche psicologicamente fragile, lo definirei un uomo adulto instabile che prova tenerezza verso una madre tradita da un marito che passa da una donna ad un'altra, ma è anche un uomo sul quale le figure femminili svolgono un'influenza che si trasforma in dipendenza totale. 
Vedo in Giorgio poco superuomo e tanto infantilismo, fatto già negativo di per sé, che si trasforma in pericolosità quando diventa patologia e Giorgio è letteralmente ossessionato dalla figura della madre e dalla sua psicologia fragilissima. 

Ippolita doveva essere molto bella, Giorgio è conquistato dal suo aspetto fisico, il suo è un rapporto carnale che diventa con il tempo sempre più torbido al punto da vedere Ippolita come una Nemica (nel testo la parola è scritta con la lettera maiuscola). Cede a Ippolita diventando trepido e debole, di lei ama tutto: i lunghi capelli che arrivano fino al bacino, le ciocche "ammassate dall'umidità", ma soprattutto il suo essere "cupida e convulsa" che tradotto dal lessico dannunziano significa bramosa di desiderio (insomma era una che amava e voleva essere amata biblicamente parlando). 

Gli alberghi: ci si va per lavoro, per turismo o per amarsi, Giorgio e Ippolita facevano di ogni albergo la loro alcova e purtroppo alla fine anche il luogo in cui trovare la morte; una storia di attrazione fisica che diventa una storia di morte? Questo è il romanzo, Giorgio è un debole e forse uno psicotico, per non essere schiavo della carnalità decide di ammazzare lei e di suicidarsi. È terribile, ma questo esito è sconvolgente, come si può pensare di uccidere una donna perché con la sua bellezza si viene turbati? 

Giorgio è un fallito, la sua inettitudine è pericolosa, annienta se stesso e gli altri e alla fine cosa rimane? Niente, assolutamente niente. 

Di superuomo non c'è niente, l'unica vittima è Ippolita mentre Giorgio è un carnefice. 

S consiglia la lettura del libro, il lettore troverà un linguaggio inconsueto per i nostri giorni, ma affascinante; il romanzo merita poi una lettura perché D'Annunzio anticipa un tema come quello dell'inetto che sarà poi ripreso anche da Kafka e da Pirandello...ma questa è un'altra storia.

 Ippolita la Nemica, Giorgio il carnefice....verso la morte.

 

Scritto di proprietà dell'autore pubblicato anche altrove.

 



 

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