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28 giugno 2018 4 28 /06 /giugno /2018 16:54

A partire dalla fine del'Ottocento si può dire che inizia la discussione moderna su temi come "civiltà" e "cultura", questa discussione ha dato poi origine ad una serie di discipline che vengono denominate "scienze demo-etno-antropologiche". L'antropologia, in particolare, pur non essendo sorta improvvisamente acquista a partire dal Novecento un suo status di disciplina autonoma svincolata dai tutti quei residui di tipo fisico che ne condizionavano l'impostazione, residui che sono più da rintracciare nell'illuminismo che nel positivismo; si pensi, ad esempio, ad un Blumenbach a cui va il merito di avere posto le basi della craniologia o a un Van der Hoeven personalità di rilievo nella comunità scientifica europea ottocentesca . Se non ci fossero state delle teorie che si basavano solo sulla conoscenza fisica dell'uomo, probabilmente apparirebbe meno marcata la differenza tra l'antropologia fisica ottocentesca e l'antropologia culturale così come  viene intesa nella cultura contemporanea.

Tenendo in considerazione che tutte le tendenze all'approfondimento nacquero e si svilupparono in un periodo molto fecondo per l'antropologia culturale, non si può fare a meno di notare che le più importati teorie antropologiche sono ancora un punto di riferimento per una disciplina che deve fare i conti con una realtà storica profondamente diversa rispetto a quella del primo Novecento.

Una delle colonne portanti dell'antropologia culturale è stato Bronislaw Malinowki che con la teoria nota come funzionalismo, fu determinante nella ridefinizione di termini come civiltà e  cultura. L'interpretazione antropologica di Malinowski è basata sul concetto di eredità sociale  che diventa sinonimo di cultura; in realtà Malinowki è determinante nell'avere introdotto nuove categorie interpretative spostando il problema della classificazione della società come un sistema interrelato di funzioni in cui i fatti acquistano significato solo se interpretati in un reticolo funzionale integrato che è anche rete di comunicazione e di passaggio di conoscenze. L'idea che l'uomo sia passato da una primitività naturale dell'istinto alla cultura intesa come insieme funzionale potrebbe sembrare un retaggio dell'evoluzionismo, ma in realtà Malinowki pur rifiutando l'idea del Naturmesch (l'uomo di natura)  spiega la società e le forme di aggregazione come l'obbligato passaggio per garantire l'autoconservazione (del singolo e del gruppo) e per rendere l'ambiente più accogliente (per il singolo e per il gruppo). La cultura è per Malinowski un impianto creato dall'uomo, la sua natura artificiosa la rende perfettamente funzionale alle esigenze dell'individuo e del gruppo, ma è la stessa cultura a generare nuovi bisogni; attraverso un processo di aggregazione stratificato si sviluppano valori, idee e religioni. La sfera spirituale che comprende religioni e magia svolge poi una funzione catartica permettendo all'individuo di allentare una situazione esistenziale conflittuale connaturata all'essere umano in quanto tale.

Il dibattito su cosa sia lo stato di natura e cosa sia una società civilizzata è anteriore a tutte le teorie antropologiche più recenti, possiamo paradossalmente dire che questo dibattito non si è concluso perché appassiona ancora oggi, nonostante si siano estinte da tempo le cosiddette "società primitive". Tuttavia non si può non riconoscere che la questione di una società globale piatta stia paradossalmente portando molti volenterosi almeno tentare di salvaguardare le differenze non solo individuali ma anche culturali. La fitta rete di relazioni tra individui appartenenti ad aree del pianeta distanti sembra averci condotto verso una visione culturale unica che ha irrimediabilmente distrutto la ricchezza delle diversità.

L'idea di progresso non può essere svincolata da quella di arretramento e se con Malinowki possiamo dire che la civiltà così come comunemente la si intende è solo un aspetto delle società più avanzate, dobbiamo anche ammettere che bisogna fare i conti con larghi strati della popolazione mondiale sempre più marginalizzati e attratti dalle lusinghe della cosiddetta civiltà occidentale. Non è concepibile il superamento di una società civilizzata senza pagare il prezzo di un arretramento tecnologico che nessuno vorrebbe ma è sicuramente il recupero della dimensione culturale e dell'eredità sociale  ciò che può permettere un recupero di quei valori umani originari che sono tipici delle comunità. Malinowski parlava di uomo come organismo palpitante, un uomo fatto di sangue, un uomo vivente, se non si tiene conto di questo aspetto lo sbocco inevitabile è la guerra permanente contro tutti con buona pace di....Hobbes  e dei traghettatori delle illusioni!

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Published by Caiomario - in Antropologia Culturale
27 giugno 2018 3 27 /06 /giugno /2018 05:23

Un uomo che nascesse privo dei suoi cinque sensi sarebbe privo di qualsiasi idea, se potesse vivere - François-Marie Arouet  de Voltaire.

 

François-Marie Arouet  de Voltaire rappresenta tutti i caratteri dell'illuminismo francese, spirito versatile e curioso, incline alla polemica, scrisse molto e si interessò dei più svariati argomenti. Nel suo Dizionario filosofico, dove offre un quadro della cultura del suo tempo, dà una spiegazione sul modo in cui nasce la conoscenza. Egli sostiene che gli uomini hanno cinque sensi e sono questi cinque organi di senso che ci permettono di diventare reattivi quando entriamo in contatto con un oggetto. Voltaire per spiegare come questo meccanismo sostiene convintamente che "i sensi sono le porte dell'intelletto" e fa un ragionamento che parte da Locke non prima di mostrare il proprio dissenso alla teoria delle idee innate di Descartes, nei cui confronti osserva:

"Descartes, nei suoi romanzi, pretese che noi possedessimo idee metafisiche prima ancora di conoscere le mammelle della nostra nutrice; una facoltà di teologia prescrisse questa tesi, non perché fosse un errore, ma perché era una novità; in seguito, adottò quest'errore per il fatto che era stato demolito da Locke, filosofo inglese, e bisognava pure che un inglese avesse torto".

Voltaire sulla genesi delle idee non ha dubbi, è impossibile avere idee senza i cinque sensi, un uomo che dovesse nascere senza sarebbe privo di idee e a tal proposito afferma:

"Un uomo che nascesse privo dei suoi cinque sensi sarebbe privo di qualsiasi idea, se potesse vivere. Le nozioni metafisiche ci arrivano solo dai sensi: come potremmo misurare un cerchio o un triangolo, se non avessimo mai visto e toccato cerchi e triangoli? Come farsi un'idea imperfetta dell'infinito, se non allontanando ogni limite? E come togliere dei limiti, senza averne mai visti o sentiti? La sensazione avvolge tutte le nostre facoltà, disse un gran filosofo.

Voltaire non abbraccia totalmente la posizione sensista ma afferma che la facoltà del pensare è opera dell'Essere degli esseri (Dio).  Le idee dell'uomo nascono quindi  grazie ai cinque sensi ma continuano ad esistere anche dopo la sua morte, sul perché questo avvenga però Voltaire non sa dare una risposta al punto da fare appello a chi più bravo di lui sia in grado di spiegarne le ragioni:

"Se voi non pensate più, appena vi han tagliato la testa, come mai il vostro cuore continua a pulsare, se vi viene strappato via? Voi - dite - sentite, perché tutti i nervi hanno la loro origine nel cervello; eppure, se vi hanno trapanato il cranio e bruciato il cervello, non sentite più niente. Chi conosce le ragioni di tutto ciò è bravo davvero".

Stimolo alla riflessione

A partire da Locke si diffondono numerose teorie sull'origine della conoscenza, un argomento sul quale ancora oggi si indaga grazie all'apporto di numerose discipline tra cui le neuroscienze il cui approccio di tipo biologico non può di certo esaurire del tutto la spiegazione di come si formi la conoscenza. L'attuale approccio multidisciplinare tuttavia offre il vantaggio di essere "aperto" coinvolgendo le scienze comportamentali che si occupano, tra le altre cose delle interazioni con l'ambiente. Un importante contributo, poi, viene dalle discipline demo/etno/antropologiche grazie alle quali viene affrontato la questione complessa dell'origine della cultura, dei valori e in senso lato delle idee. Come si forma la conoscenza e potremmo dire come si forma la cultura, è un argomento che venne affrontato con un approccio scientifico dall'antropologo polacco Bronislaw Malinowki per il quale la cultura è un fenomeno complesso che comprende tutto ciò che gli uomini fanno. La cultura è per Malinowski un sistema di funzioni che spiega i comportamenti, le abitudini e i valori.  Grazie al metodo funzionalistico oggi possiamo descrivere con più precisione molti fenomeni culturali e la loro relazione con l'ambiente. 

Per una consultazione integrale  del Dizionario filosofico di Voltaire si rimanda a:

Dizionario filosofico

 

 

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Published by Caiomario - in Filosofi: Voltaire
26 giugno 2018 2 26 /06 /giugno /2018 14:09

Gli uomini condannano l'ingiustizia perché temono di poterne essere vittime, non perché aborrano di commetterla - Platone.

 

Preambolo

Normalmente i lettori che si avvicinano ad un autore classico come Platone pensano erroneamente di dover affrontare una lettura pesante e ostica da comprendere. Niente di più sbagliato, perché nessuna elaborazione concettuale e -aggiungo con piena consapevolezza- nessun valore civile e morale può prescindere dalla filosofia. Anche coloro che mai si sono avvicinati alla filosofia greca sono figli di quella cultura così come lo sono della "cultura giuridica romana" su cui sono improntati i fondamentali del diritto.
Pertanto la lettura di un'opera straordinaria come " La Repubblica"  è l'occasione per riflettere su una concezione di Stato che al di là delle "bizzarrie" espresse dal filosofo greco, può rappresentare un'occasione per ragionare su cosa può essere lo Stato inteso come sistema in cui esistono dei valori condivisi e convissuti.


Platone dedicò allo Stato un'opera che intitolò La Repubblica", questo termine nel suo significato etimologico vuole dire "costituzione" vale a dire "ordinamento della polis". Non si tratta quindi di un'opera in cui vengono affrontati temi "esistenziali" e in cui vengono poste delle domande ma di un vero e proprio trattato di filosofia politica elaborato in forma utopica.
Platone spiega innanzitutto l'origine dello Stato quale forma di aggregazione fondamentale degli uomini che lo costituiscono per bisogno; dando questa argomentazione egli anticipa in un certo senso una delle tesi del modello giusnaturalistico dell'origine dello Stato che verrà poi sviluppata in forma compiuta nel seicento e nel settecento. Tuttavia ciò che differenzia Platone rispetto a quelle teorie che partono da una concezione negativa della natura umana è proprio la sua idea positiva nei confronti dell'uomo.
L'uomo - secondo Platone- non è infatti in grado di essere autosufficiente e quindi ha bisogno di unirsi agli altri per soddisfare tutti i suoi bisogni, non solo quelli materiali ma anche quelli spirituali.
Il fondamento base dello Stato è la natura socievole dell'uomo e in questo egli si dimostra un inguaribile ottimista dotato di una rigorosa e lucida razionalità ed è proprio lui ad aver per primo elaborato quel concetto di "divisione del lavoro" che Marx, in epoca moderna, descrisse come la caratteristica prima del sistema capitalistico (e non solo).

Platone afferma:

"Le singole cose riescono più e meglio e con maggiore facilità quando uno faccia una cosa sola, secondo la propria naturale disposizione e a tempo opportuno, senza darsi pensiero delle altre".

Ogni individuo quindi ha bisogno di soddisfare i bisogni primari (cibo, vestiti) ed è quindi conveniente che ognuno si specializzi nella produzione di ciò che serve agli altri.
Le varie categorie quindi nascono da questa esigenza iniziale di dividere il lavoro e di specializzarsi nella produzione di questo o quel bene, Platone parla di commercianti, artigiani, agricoltori e tutte queste categorie di cittadini costituiscono la polis, ne sono l'essenza stessa.
Ma oltre a queste professioni che servono per soddisfare i bisogni dei cittadini, nasce anche l'esigenza di difendere lo Stato dai tentativi degli altri Stati di impadronirsene.
La categoria dei guardiani e dei custodi è quella che detiene la forza ma il requisito fondamentale per appartenere a questa categoria è quello di essere sapienti, cioè filosofi.
In sintesi ecco le categorie delineate da Platone:

  •  I produttori (commercianti, agricoltori, artigiani) ossia coloro che si dedicano alle attività che servono a soddisfare le esigenze di tutti gli altri cittadini.
  •  I guerrieri o custodi che si dedicano alla difesa dello Stato.
  •  I filosofi o guardiani che si dedicano al buon governo.


PILLOLA DI CICUTA

Nella visione dello stato ideale platonico non esistono (e non poteva essere diversamente) i parassiti come proliferano invece nella società odierna, possiamo definire i parassiti tutti coloro che hanno fatto dell'attività finanziaria l'unica e sola attività che deve governare il mondo, ma parassiti sono anche coloro che in un modo o nell'altro vivono la propria condizione come una fonte di diritti inestinguibili e non discutibili.
Platone dava importanza alla produzione come forma di attività concreta di lavoro utile a tutta la comunità. In questo senso Platone dimostra di essere molto più sociale rispetto alle forme di riformismo politico che non riescono a fare a meno della cattiva finanza da cui attingono risorse.
Pur volendo storicizzare l'epoca  in cui rgli visse, non possiamo fare a meno di prendere come punto di riferimento il concetto espresso da Platone che vedeva nella componente lavoro uno dei cardini del vivere in comune.

I FILOSOFI OSSIA I GUARDIANI, I GOVERNANTI DEVONO VIVERE IN COMUNE (secondo Platone), PLATONE ERA CONTRO I PRIVILEGI DELLA CASTA.

I guardiani e i filosofi devono vivere in comune, ossia devono non solo mangiare insieme ma anche vivere nello stesso luogo e soprattutto non devono possedere beni personali.
Cosa averebbe pensato il Nostro dei vitalizi, dei doppi incarichi, delle prebende e dei privilegi.
A tal proposito si parla di comunismo platonico, un comunismo che non è dettato da ragioni economiche (o perlomeno non solo economiche) ma da ragioni di carattere etico e politico.
Ogni categoria deve realizzare la propria virtù: i produttori la temperanza, i guerrieri il coraggio e i filosofi la sapienza; solo quando ciascuna categoria avrà realizzato la sua virtù si potrà parlare di armonia e giustizia.

IL COMUNISMO DELLE DONNE

È  sicuramente la parte più utopica dell'opera di Platone ed è quella che piacerà sicuramente meno alle donne.
Tuttavia bisogna darne una chiave di lettura partendo dal concetto di educazione che aveva Platone: prima di tutto -secondo il Nostro- vi doveva essere una perfetta identità tra uomini e donne, questo equilibrio tra i due sessi comportava anche il dovere di svolgere i medesimi compiti e le medesime attività tra cui anche gli esercizi ginnici.
La famiglia come forma di aggregazione primaria veniva abolita, l'unica grande famiglia era lo Stato perciò le donne dei guardiani dovevano avere come unico compito quello di dedicarsi alla difesa dello Stato.
Ciò non va inteso come una sorta di esaltazione del libero amore, niente di più sbagliato intendere il "comunismo delle donne" in senso hippy; ma vediamo come Platone esprime questo concetto:

"Queste donne di questi nostri uomini siano tutte comuni a tutti e nessuna abiti privatamente con alcuno, e comuni siano poi i figli, e il genitore non conosca la propria prole, né il figlio il genitore".

Si tratta di un concetto non realizzabile e in questo senso è utopico, ma resta comunque l'idea di fondo: assicurare la massima concordia nello Stato evitando qualsiasi motivo di divisione e la famiglia era da Platone intesa come una forma di divisione.
Prendendo di buono quello che Platone ha espresso, fa pensare però l'idea di famiglia che hanno le organizzazione malavitose come la mafia, la n'drangheta e la camorra dove per la famiglia (per la propria famiglia) si arriva a sterminare tutti coloro che si frappongono agli interessi della stessa.
L'idea di fare andare avanti la propria famiglia e solo i propri figli è la forma peggiore di antistato che si manifesta anche nella nostra epoca. Tra le due posizioni sarebbe auspicabile una forma di equilibro e qui entra in gioco la cultura compresa quella cattolica che parla si di famiglia ma anche e sopratutto di famiglia universale.

IL COMPITO DEI FILOSOFI (AL POTERE)

In questo grande affresco i filosofi di cui parla Platone NON SONO I PROFESSIONISTI DELLA FILOSOFIA (insegnanti, docenti universitari, pseudo filosofi ecc) ma coloro che conoscono la verità e il bene, ossia coloro che sono i più esperti e i saggi, noi diremo i tecnici.
Platone aborriva i politici di professione ed era favorevole al governo dei più competenti, senza dubbio oggi "molti sinceri democratici" interessati a mantenere i propri privilegi sostengono che deve essere il popolo ad eleggere i propri rappresentanti, ma questa idea è "pelosa" perché con la scusa della democrazia vogliono solo governare per fare i propri interessi.

IL COMPITO DELL'EDUCAZIONE

Nella forma di Stato prospettata da Platone, l'educazione assume un ruolo fondamentale: per i produttori si realizza imparando a svolgere bene il proprio mestiere, i guerrieri dovranno coltivare invece la cura del corpo e dello spirito e i filosofi dovranno dedicarsi alla matematica e all'arte della dialettica intesa come disciplina finalizzata al superamento degli opposti.
In questa attività i filosofi devono essere quasi costretti in quanto amando contemplare le idee potrebbero disinteressarsi del buon governo dello Stato.

LE VARIE FORME DI DEGENERAZIONE DELLO STATO, PLATONE AVEVA INDIVIDUATO ANCHE IL GOVERNO AD PERSONAM

Platone sosteneva che la prima forma di degenerazione dello Stato è la timocrazia, ossia il governo di coloro che aspirano a ricevere onori e privilegi.
La seconda forma di degenerazione è lo Stato oligarchico ossia quello Stato in cui a governare sono pochi ricchi il cui unico fine è il denaro e il potere.
La terza forma è la democrazia in cui l'unica cosa che domina è l'appetito e in cui ognuno cerca le sue libertà, questo "popolo delle libertà" era, secondo Platone- una delle minacce maggiori all'unità dello Stato.
La quarta forma è la tirannide, ossia la forma peggiore di governo in cui uno solo insieme alla cricca che lo ha sostenuto, prende il potere per soddisfare "ad personam" i propri desideri.

.....LA SINTESI
La aggiungo io ed è più recente, ossia il nostro Stato che riassume tutte queste forme di governo.

 



Tra le varie edizioni presenti nel vasto panorama editoriali segnalo quella pubblicata nella Collana economica dell'editore Laterza.
Costa euro 8,50.....è da collocare sicuramente nella propria biblioteca personale, ognuno potrà decidere di collocarsi tra i "guerrieri", i "filosofi" o i "sudditi", questi ultimi sono la maggior parte e sono pronti sempre a seguire il coppiere di turno che si impossessa di uno Stato, ma Platone scrisse anche delle pagine memorabili sulla tirannide e purtroppo, tale tendenza, si manifesta anche nei sistemi democratici sotto mentite spoglie.



 

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Published by Caiomario - in Filosofi: Platone
26 giugno 2018 2 26 /06 /giugno /2018 13:28
L'impresa irresponsabile - Luciano Gallino

"Gli imprenditori sono la classe sociale tipica delle società capitalistiche", in questo modo Luciano Gallino connota tutti coloro che "oltre a essere titolari esclusivi del diritto di esercitare una determinata impresa per la produzione di beni o di servizi per il mercato, mediante l'impiego di lavoro salariato e di appropriai mezzi di produzione, non necessariamente di sola proprietà dell'Impresa, agiscono come capi dell'azienda.....".
La definizione che ho riportato è dello stesso Professor Gallino che non solo ha curato il celebre "Dizionario di Sociologia" (pubblicato per i tipi della UTET), ma si è sempre interessato di tematiche riguardanti il mondo della produzione industriale.

Con questo breve saggio intitolato "L'impresa irresponsabile", Gallino affronta uno dei temi più delicati e di stretta attualità riprendendo alcuni temi che caratterizzano il modo di fare impresa nella realtà globalizzata tipica del secondo millennio.
Se la funzione imprenditoriale è indispensabile nelle società moderne segnando un punto di non ritorno rispetto al periodo del proto-capitalismo, è pur vero che  oggi più che mai si pone il problema della responsabilità etica dell'impresa e dell'imprenditore nei confronti della società.
A differenza di quanto si possa pensare  le imprese di grandi dimensioni sono sempre controllabili almeno per quanto riguarda la pianificazione, mentre le imprese piccole e medio-piccole spesso sfuggono alla logica della pianificazione, ma sono più controllabili in ambito territoriale dagli organi preposti al controllo.
  È cronaca dei nostri giorni quella che riguarda le iniziative di grandi aziende che decidono di spostare la produzione dei propri beni in zone  in cui il costo del lavoro è minore, tali scelte pongono problemi anche di carattere etico in quanto vanno ad investire aspetti di ordine sociale ed economico che interessano l'intera società.

Spesso infatti il consumatore acquista beni e servizi non ponendosi il problema di carattere etico, ma la questione rimane soprattutto quando uno Stato decide di non svolgere quella funzione di controllo che dovrebbe  garantire la pace è la coesione sociale.
Leggendo le pagine di questo bel saggio a metà tra l'intervista e il dialogo, mi è venuta in mente la storia di una nota azienda italiana che produce calze. Questa azienda che ha avuto tanto in termini economici dalle donne lavoratrici che hanno lavorato nei suoi stabilimenti e dalle donne che hanno acquistato le sue calze, ha deciso di delocalizzare la produzione impiantando degli stabilimenti in Romania.
Tutto questo è avvenuto senza che ci sia stato un intervento dello Stato la cui funzione non poteva essere quella di intervenire nella libera iniziativa dell'imprenditore (libera iniziativa che va sempre e comunque tutelata), ma doveva essere quella di chiedere conto di quello che una comunità ha dato.
In Francia, ad esempio, le grandi case automobilistiche hanno continuato a produrre autovetture sul territorio francese avendo in cambio degli indubbi benefici di carattere fiscale, ma questi vantaggi sono stati ottenuti garantendo dei livelli occupazionali che sarebbero stati compromessi se le stesse aziende fossero andate a produrre al di fuori della Francia.

Quando infatti si parla di impresa irresponsabile non bisogna solo pensare all'aspetto occupazionale (ossia a quante persone possono essere impiegate in ambito produttivo), ma anche agli aspetti che investono tutta l'area della produzione sostenibile per quanto riguarda la salvaguardia dell'ambiente. La cronaca e la letteratura economica si sono spesso occupate delle connessioni esistenti tra il mondo dell'impresa e le organizzazioni malavitose dedite al traffico dei rifiuti e purtroppo in tale traffico sono implicate soprattutto le aziende del Nord che hanno visto il Sud come un'immensa discarica, una sorta di territorio di nessuno che ha permesso loro di eliminare i rifiuti industriali a costi contenuti.
In questo senso parlare di impresa irresponsabile potrebbe sembrare un eufemismo,  ma, oltre a questo aspetto, si pone urgente il problema più squisitamente economico che riguarda le grandi società per azioni che vivono sempre di più dei proventi finanziari e non di quelli legati alla produzione di beni.
Basti pensare, ad esempio, al comportamento schizofrenico della Borsa Italiana e alla risposta positiva che c'è stata subito dopo l'annuncio degli aumenti delle bollette del gas e della luce nel mese di gennaio del 2012; il mercato (investitori istituzionali e singoli risparmiatori) hanno accolto con favore tali aumenti permettendo alle grandi aziende operanti nel settore dell'energia di aumentare la loro capitalizzazione, grazie a questo fatto (sul quale c'è poco da gioire) i titoli sono schizzati verso l'alto e solo questo aspetto apre delle problematiche sull'eticità non solo delle aziende irresponsabili, ma anche dei singoli individui che cercano di trarre profitto anche da eventi che non comportano dei vantaggi se non per i bilanci delle  imprese.

Probabilmente quando si parla di irresponsabilità di certe imprese bisognerebbe sempre tenere presente che l'imprenditorialità cessa di svolgere la sua funzione indispensabile all'interno di una società complessa e articolata come quella moderna, nel momento in cui cessa di cooperare con il territorio e la comunità in cui si è sviluppata.
Sono passati ormai più di cinquant'anni da quando quello straordinario imprenditore e intellettuale che fu Adriano Olivetti dimostrò nei fatti che vi era la possibilità di fare impresa in modo diverso rispetto a quello del protocapitalismo più becero di stampo padronale.
Olivetti era un eretico ma aveva una concezione "umanistica" dell'impresa ed era ben cosciente del fatto che nessuna impresa può prescindere dal ruolo sociale che gli dà legittimità.

A chi fosse interessato al libro di Luciano Gallino, consiglio anche la lettura dei seguenti testi:

- Olmo C., Costruire la città dell'uomo. Adriano Olivetti e l'urbanistica, Edizioni di Comunità, Torino, 2001.
- L.Gallino, Personalità e industrializzazione, Torino, 1968.

INFORMAZIONI SUL LIBRO

Titolo L'impresa irresponsabile
Autore Gallino Luciano
Pagine 271
Editore Einaudi  (collana Gli struzzi)
Prezzo: dai 9,50 euro a 16,50 euro.

 

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Published by Caiomario - in Saggi
25 giugno 2018 1 25 /06 /giugno /2018 15:51

L'opera più importante di Condillac è il Trattato sulle sensazioni (1754) in cui egli porta sino alle estreme conseguenze l'empirismo di Locke rifiutando l'innatismo cartesiano. La posizione di Condillac però si differenzia da quella di Locke in quanto egli ritiene che la conoscenza derivi esclusivamente dalla sensazione, sono i sensi quindi la fonte del conoscere mentre per il filosofo inglese il punto di partenza erano le sensazioni da cui la facoltà conoscitiva dell'uomo traeva il materiale per la sua attività.

Chiarimento

Nella storia della filosofia, Locke viene considerato il primo filosofo che si occupò del problema dell'origine della conoscenza anche se non bisogna dimenticare che fu Descartes con la sua teoria delle dottrine innate ad aver stimolato tutto il dibattito che ne seguì circa la genesi del conoscere. Locke sostiene che non possono esistere (come sosteneva Descartes) delle idee che esistono, in modo connaturato, nel patrimonio spirituale dell'uomo, egli pur condividendo il principio derivante dalla filosofia scolastica che "nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu" , ritiene che la facoltà conoscitiva dell'uomo sia passiva solo nella fase ricettiva in cui vengono formate le idee semplici. Successivamente l'uomo, dopo essere partito dalla sensazioni, arriva ad elaborare le idee complesse e le idee generali. Locke salvaguardia il momento dell'attività. Tuttavia Locke non riesce a distaccarsi completamente dall'innatismo cartesiano perché pur dando una spiegazione diversa rispetto a Descartes circa la genesi delle idee, si muove su posizioni cartesiane quando si tratta di dare un valore sull'idea. Per Locke quando noi conosciamo, conosciamo solo l'idea mentre la realtà esterna rimane una rappresentazione. Locke per risolvere il problema della certezza delle cose ricorre al principio di causalità che si verifica nella nostra facoltà conoscitiva dopo che sono avvenute le sensazioni.

Secondo Condillac dalla percezione ad esempio della luce, del colore, del suono o del tatto, deriva non solo l'attività del conoscere ma anche tutti i processi sentimentali così come tutte le altre funzioni cognitive: la memoria, l'attenzione, la volontà, il desiderio etc. etc. Dall'ambiente esterno provengono tutte le sensazioni e da questa prima attività del sentire derivano poi tutte le altre sensazioni che non sono altro che sensazioni trasformate.

Chiarimento 

La tesi di Condillac  si basa sulla convinzione che la vita psichica nasca e si sviluppi a seguito degli input provenienti dall'ambiente: l'essere umano quando nasce è una tabula rasa che non ha sensazioni, celebre è il suo esempio in cui paragona l'uomo ad una statua di marmo che,  inizialmente priva di sensi, incomincia a ricevere e rispondere alle prime sensazioni ed è proprio  da questa prima attività che si formano progressivamente tutte le funzioni cognitive. L'idea di spazio, ad esempio, è originata dal senso del tatto così come l'idea della realtà esterna. Il linguaggio non è altro che una progressiva sofisticazione delle prime forme di comunicazione fatte di gestualità e di istintività, l'uomo dapprima comunica con grida e gesti, successivamente esprime le sue sensazioni, i suoi bisogni, le sue idee attraverso segni convenzionali (le parole), che dapprima sono scambiati oralmente per poi diventare segni grafici quando  sorge la necessità di comunicare in una forma stabile e duratura.  

Chiarimento

Il rapporto con la realtà esterna

Secondo Condillac il rapporto che l'uomo ha con la realtà esterna e con lo spazio è un rapporto di rappresentazione, noi abbiamo a che fare  solo con l'idea di un oggetto collocato nello spazio  ma non siamo in grado di sapere se esista o no quell'oggetto nella realtà che abbiamo pensato.

L'origine dell'errore

Le argomentazioni portate avanti da Condillac presentano diverse questioni interessanti che sono da stimolo per ulteriori riflessioni. In primo luogo  viene da riflettere sul fatto che nella sua teoria non viene risolto il problema della certezza dell'oggetto pensato; per Condillac, infatti, se un corpo esiste solo nella mente di chi l'ha concepito allora non esiste se non come idea. Come spiegare allora che quello stesso oggetto viene collocato nello spazio anche da altri uomini? Il processo conoscitivo ha in tutti gli uomini la medesima genesi ciò che muta è il rapporto del singolo con la realtà; l'origine degli errori sarebbe quindi da rintracciare proprio in questo diverso modo di percepire la realtà. L'ostacolo ad acquisire cognizioni valide e certe  ha la sua genesi nello stesso processo da cui nasce e si sviluppa la conoscenza, tutti gli uomini percepiscono la realtà esterna da questa attività di associazione originaria ma è l'elaborazione delle sensazioni che porta ad un rapporto con la realtà che non è lo stesso per tutti gli uomini.

 

Il sensismo di Condillac, come si è visto, porta alle estreme conseguenze l'empirismo lockiano,  configurandosi come  fenomenismo,  posizione in base alla quale  la conoscenza certa non può essere raggiunta, ciò che gli uomini conoscono è solo l'apparire delle cose. 

 

Stimolo alla riflessione

 Le percezioni che si formano dalle sensazioni sono le medesime ma cambia il modo di elaborarle, quale rapporto esiste allora tra un dato obiettivo, certo e non discutibile come può essere una misura di grandezza e il formarsi di una determinata idea? Facciamo un esempio: immaginiamo di avere 5 persone in una stanza che debbano valutare il sapore e la bontà di un pane; sulla forma e la lunghezza di un pane  si potrebbero trovare, in linea di massima, concordi, qualche incertezza  e diversi contrasti incominciano a sorgere quando si tratta di giudicare il sapore del pane nonostante la sensazione del tatto ha il medesimo impulso iniziale. Quando si tratta poi di fare intervenire la facoltà di giudizio ecco che ognuno di loro avrà un'idea diversa di quel pane, per alcuni potrà essere buono e per altri meno buono. Un giudizio e un'idea dovrebbero quindi dipendere dall'esattezza o meno con cui si rappresenta questa o quella realtà esterna, tuttavia così non avviene perché nella formazione di un'idea o di un giudizio intervengono i valori che cambiano da uomo a uomo, valori che dipendendo dalla cultura, dall'esperienza personale, dalla struttura di appartenenza e sono anche la causa di decisioni che in prima battuta potrebbero apparire oscure e poco comprensibili.

 

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Published by Caiomario - in Filosofi: Condillac Étienne Bonnot de
25 giugno 2018 1 25 /06 /giugno /2018 07:20

 

Kant nella Critica della ragion pratica cita il seguente passo tratto dalla Satira VIII di Giovenale (vv.74-89):

"Esto bonus miles, tutor bonus, arbiter idem integer; ambiguae si quando citabere testis incertaeque rei, Phalaris licet imperet, ut sis falsus, et admoto dictet periura tauro, summum crede nefas animam preferre pudori et propter vitam vivendi perdere causas".

"Sii buon soldato, buon tutore e giudice  integro; quando verrai citato come testimone in una causa dubbia ed ambigua, se anche Falaride ti  dovesse comandare di essere  un falso e uno spergiuro minacciandoti di condannarti al supplizio del toro, considera che è la peggiore delle infamie dare la preferenza alla sopravvivenza  rispetto all'onore e per vivere perdere le ragioni di vita".  

Questo passo viene citato come un esempio da tenere in considerazione quando bisogna agire seguendo il senso del dovere per il dovere e non in base ad un movente o a dei fini secondari che ne possano sminuire la portata etica. Secondo Kant infatti agire in vista di qualcosa che porta  una ricompensa è dovuto  solo all'amor di sé e quindi significherebbe agire secondo il proprio tornaconto personale.  Al contrario chi agisce seguendo la santità del dovere e rispondendo solo esclusivamente alla voce della coscienza si innalza rispetto agli interessi contingenti. Per Kant il senso del dovere coincide con il senso dell'onore, un essere umano che agisce in nome del dovere e non per ricevere ricompense o riconoscimenti lo fa per puro interesse morale. L'etica di Kant è un etica del dovere e un'etica così concepita non ammette compromessi.

Un altro punto dirimente per comprendere il dovere kantiano riguarda la domanda se l'agire di questo o quel soggetto sia conforme alla legge morale e a quale legge morale obbedisca. Kant risponde puntualmente che vi è differenza tra una  legge morale che esige da me il “bisogno” degli uomini, in contrapposto a ciò che esige da me il loro “diritto”; è nella seconda direzione che bisogna muoversi per agire in modo conforme alla legge morale. Non basta quindi che un'azione sia correttamente etica in base a motivazione puramente soggettive ma deve valore etico come intenzione conformandosi quindi alla sua massima.

 

 

 

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Published by Caiomario - in Filosofi: Kant Immanuel
20 giugno 2018 3 20 /06 /giugno /2018 05:12
Kant: Critica della ragion pratica

Essere “conseguente” è il più stretto obbligo di un filosofo: eppure è anche quello che viene meno frequentemente rispettato. - Kant -

Critica della ragion pratica

Con la  Critica della ragion pratica (1788) Kant affronta la dimensione morale che era stata presentata come scienza impossibile nella Critica della ragion pura. Se dal punto di vista teoretico la trattazione dell'etica e della metafisica non possono essere giustificate razionalmente, il loro recupero è possibile seguendo un'altra strada. Kant riconoscendo che la metafisica è un'esigenza insopprimibile dello spirito umano ne recupera il valore argomentando sui valori che sovrintendono la vita morale.

Chiarimento

Il termine metafisica viene utilizzato da Kant in un'accezione diversa rispetto a quella che si riferisce alla realtà soprasensibile; Kant accantona la trattazione della metafisica come scienza delle cause prime e affronta la questione dei principi che regolano la vita morale.La  metafisica a cui si riferisce Kant nella Critica della ragion pratica va intesa pertanto in tale senso. Prima della pubblicazione della Critica della ragion pratica, venne pubblicata la Fondazione della metafisica dei costumi (1785) dove Kant, come chiaramente si evince dal titolo, si occupa della trattazione della metafisica dei costumi ossia dei principi che regolano la vita morale.

Il problema della legge morale è per Kant quello della sua efficacia, in altri termini quando una legge morale acquista i valori di universalità ed assolutezza? Per comprendere l'argomentazione utilizzata per determinare l'ubi consistam della legge morale, bisogna fare un collegamento con le conclusioni a cui pervenne nella Critica della ragion pura a proposito delle idee come forme a priori della ragione. (si veda anche: Critica della ragion pura) Le idee della ragione non servono a fare conoscere la realtà, dal punto di vista teoretico non aggiungono nulla ma rivelando il bisogno dell'uomo per la dimensione spirituale qual'è il loro rapporto con la parte interna dello spirito umano? Nello specifico come "inquadrare" idee come quelle della libertà, dell'immortalità e dell'esistenza di Dio? E soprattutto come trovare un "punto d'appoggio" per questi concetti che presi tutti insieme sono un'esigenza insopprimibile per la vita interna dell'uomo?

Kant spiega che dei tre concetti solo la libertà è possibile nel senso che noi sappiamo che esiste ma non sappiamo come è fatta, la libertà come si vedrà successivamente costituisce l'essenza della legge morale. La libertà - spiega Kant - è dimostrata da una legge apodittica della ragion pratica mentre le idee di immortalità e di Dio esistono in quanto si appoggiano all'idea di libertà ma non ne possiamo determinare la possibilità.Attraverso l'uso della ragione pratica, ciò che era negato nella ragione pura e visto come un problema, diventa un'affermazione della loro esigenza.

Chiarimento

Quando Kant parla di ragion pratica si riferisce all'uso pratico della ragione pura o speculativa; l'idea di libertà è una legge apodittica nel senso che una legge evidente della sfera morale mentre le idee di immortalità e di Dio non posseggono questa evidenza e per trovare la loro ragion d'essere si devono poggiare sull'idea di libertà.

Kant sicuro del limite sotto il punto di vista teoretico delle idee di immortalità e dell'esistenza di Dio invita coloro i quali sostengono il contrario di condividere le loro certezze ma dato che essi non vogliono perché non possono farlo, non rimane che dimostrarne la possibilità dal punto di vista della ragion pratica. Kant si rende conto che potrebbe apparire una contraddizione il fatto  che ciò che viene negato dal punto di vista della ragione speculativa lo si ammetta dal dal punto di vista pratico, tuttavia chiarisce subito questo aspetto affermando che la realtà di quelle idee non viene pensata in senso teoretico, cioè non permette una conoscenza del soprasensibile,  ma viene ammessa come determinazione necessaria della volontà.

Chiarimento

Se la libertà in quanto noumeno appartiene al mondo dell'apparenza e quindi le si nega una realtà oggettiva come è possibile concepirlo dal punto di vista della ragione pratica? Kant afferma che l'obiezione nasce da un equivoco o meglio da un cattivo inquadramento del problema, sino a che la libertà è vista come idea psicologica non è possibile uscire da questo circolo vizioso mentre una sua valutazione dal punto di vista trascendentale (considerandola come forma a priori della ragione) si sarebbe ammessa la necessità del suo impiego problematico nella ragione speculativa.
Kant distingue la facoltà del conoscere dalla facoltà del desiderare, la prima fa parte della ragione pura speculativa mentre la seconda indica l'esigenza della ragione pratica.

 

La ragione pratica si occupa dei fondamenti della determinazione della volontà, la prima questione che Kant si pone è la seguente: "la ragione pura può pervenire per lo meno alla determinazione della volontà"? Kant poi fa chiarezza sul compito della critica della ragion pratica che ha l'obbligo  "distogliere la ragione empiricamente condizionata dalla pretesa di fornire, essa sola, il fondamento esclusivo di determinazione della volontà". Il procedimento seguito nell'analisi della ragion pratica è inverso da quello della ragion pura dai concetti si passa ai principi e infine alla sensazione.

Chiarimento

L'inizio da cui prende le mosse Kant è la legge della causalità per la libertà, un principio pratico puro, i principi pratici sono delle massime che hanno un duplice peculiarità: sono soggettivi se riferiti alla volontà del singolo soggetto, sono oggettivi se si riconosce la loro condizione come valida per ogni essere umano.

Kant distingue tra  leggi pratiche che hanno un valore oggettivo e massime che hanno valore soggettivo e che non possono valere per tutti gli esseri umani. La legge morale quindi per essere efficace deve essere universale ed assoluta; la legge morale per essere tale deve presentarsi come un imperativo come un dovere. A riguardo Kant  precisa che " Gli imperativi valgono quindi oggettivamente, e sono del tutto distinti dalle massime come principi soggettivi". Bisogna distinguere però tra imperativi ipotetici ed imperativi categorici, i primi sono delle semplici prescrizioni pratiche ma non leggi, i secondi devono essere validi indipendentemente dalle condizioni contingenti e valide per tutti. Il discrimine tra due imperativi è la valutazione di ciò che è giusto. Kant fa un esempio: si supponga che si dica a qualcuno di non dire mail il falso, questa regola o meglio l'applicazione di questa regola dipende dalla volontà di ciascuno. Proprio il fatto che dipenda dalla volontà costituisce l'oggettività dell'imperativo, le leggi pratiche pertanto dipendono solo dalla volontà e non dalla legge di causalità. 

Un principio pratico materiale al contrario si fonda su delle condizioni soggettive e non può essere una legge pratica, la loro ragion d'essere risiede nel principio dell'amor di sé o nella felicità. Si tratta di facoltà di desiderare inferiori che non sarebbero possibili se non ci fosse una facoltà di desidera superiore: la volontà. In una legge pratica la ragione determina immediatamente immediatamente e non per l'intervento di motivi pratici contingenti; Kant ammette come legittimi i desideri di benessere e l'aspirazione alla felicità, ma tali sentimenti non sono originari sono dipendenti, L'uomo è felice se si verificano determinate condizioni e le prescrizioni pratiche che riguardano il piacere e il dispiacere non possono assurgere a leggi universali in quanto si fondano su principi del tutto soggettivi per cui il sentimento di piacere come quello di dispiacere  vero questo o quell'oggetto può valere per uno ma non per l'altro.

 Chiarimento

Il motivo per cui il "principio dell'amor di sé" non sia eguale in tutti gli uomini, non è però la vera ragione per cui non possa essere considerato una legge pratica; anche ammettendo che tutti gli uomini siano concordi sul contenuto di questo principio, non si può parlare di legge pratica, si tratta di un imperativo ipotetico che dipende da fatti contingenti. 
Una legge è pratica quando è riconosciuta a priori dalla ragione e non attraverso l'esperienza. La stessa  regola vale per le leggi della natura, nella meccanica, ad esempio, due fenomeni concordanti  possono definirsi leggi, solo le si conosce a priori.

I motivi contingenti relativi alle circostanze non possono adattarsi ad una legislazione universale né interna, né esterna; una massima valida erga omnes deve essere pensata indipendente dai fenomeni e questa indipendenza si chiama "libertà", una legge universale è tale se la volontà è libera, nel senso - chiarisce Kant - trascendentale della parola. Perché una volontà sia libera bisogna trovare il fondamento che la giustifica e questo fondamento non deve dipendere dai fenomeni, dalla contingenza del mondo sensibile.

La nostra conoscenza della legge morale, si chiede Kant, deriva dalla libertà o dalla legge pratica? Dalla libertà non può dipendere in quanto la sua conoscenza non è immediata in quanto ne abbiamo coscienza dopo un concetto negativo, non dipende dall'esperienza che è il regno dei fenomeni  e i fenomeni sono, come si è visto,  la realtà contingente pertanto la legge  morale ha veramente efficacia sull'uomo se è legge del dovere in assoluto, il suo carattere essenziale è l'universalità e la immutabilità.

Legge fondamentale della ragion pura pratica. - Agisci in modo che la massima della tua volontà possa valere sempre, al tempo stesso, come principio di una legislazione universale.

La regola dice solo che bisogna comportarsi in un certo modo, è pertanto incondizionata come lo è un postulato di geometria. La legge fondamentale della ragion pratica è la condizione di tutte le altre massime e non si trae dall'esperienza, la coscienza di questa legge è un fatto della ragione, non perché derivi da precedenti dati razionali "ma perché ci si impone di per se stessa come una proposizione sintetica a priori, non fondata su alcuna intuizione, né pura né empirica".

Noi chiamiamo questa legge fondamentale: legge morale e questa legge è universale.

Chiarimento

La legge morale è universale non sono per gli uomini ma anche per tutti gli altri esseri finiti compreso, Dio. Kant però  precisa che  gli esseri finiti sono mossi da una volontà pura ma non da una volontà santa ". La legge morale è la legge del dovere come tale in assoluto, è un imperativo che comanda categoricamente, la volontà dipende solo da questa legge che impone di svolgere una determinata azione, questo obbligo si chiama dovere.  La legge morale include anche Dio nel senso che il concetto di santità che compete a Dio è un modello a cui tendere. L'espressione "include addirittura l'Essere infinito, come intelligenza suprema"  pertanto si presta a degli equivoci in quanto Dio non può dipendere dal alcuna legge pratica costrittiva come del resto precisa lo stesso Kant. 

L'unico principio a cui soggiace questa legge è l'autonomia della volontà, l'indipendenza della  ragion pratica è quindi assoluta libertà da ogni oggetto desiderato; è pertanto la volontà quale principio formale ad essere libera, se si dovesse ascrivere alla ragion pratica qualsiasi condizionamento materiale cesserebbe di essere libera.

Paradossalmente il contrario della legge morale risiede nella ricerca della propria felicità perché quando si persegue questo obiettivo la legge morale è subordinata ad una causa empiricamente condizionata. A tal proposito Kant fa questo esempio:

Se un amico, a cui del resto vuoi bene, credesse di giustificarsi presso di te di una falsa testimonianza ch'egli abbia dato, adducendo in primo luogo il dovere sacro, secondo lui, di promuovere la propria felicità, e in secondo luogo enumerando i vantaggi che in tal modo si è procurato - vantando la prudenza seguita per rendersi sicuro da qualsiasi possibilità d'essere scoperto, anche da parte di te medesimo, a cui comunica il segreto unicamente per poterlo smentire in qualunque momento -; e poi sostenesse, con tutta serietà, di avere compiuto un vero dovere umano; tu, o gli rideresti direttamente in faccia, o ti ritrarresti da lui con orrore".

Chiarimento

Bisogna quindi distinguere tra l'amore di sé e la moralità, pertanto l'aspirazione alla felicità anche qualora fosse un'aspirazione universale (rivolta a tutta l'umanità) non potrebbe definirsi universale ma generale. Sulle regole generali quindi non si può fondare alcuna legge pratica in quanto una cosa è consigliare, un'altra prescrivere Inoltre - osserva Kant - non si può prescrivere ad alcuno di essere felice, in quanto è impossibile comandare quella che è la legittima aspirazione di ogni essere umano semmai si possono consigliare le vie per conseguire la felicità

Kant per spiegare la legge morale fa un paragone con la parte analitica della Critica della ragion pura speculativa: le intuizioni di spazio e di tempo rappresentano il dato primitivo che permette la conoscenza a priori, senza oggetti sensibili però non è possibile alcuna conoscenza. Sono quindi le funzioni a priori della sensibilità che permettono di collocare nel tempo e nello spazio le impressioni che diventano percezioni, attraverso questa funzione a priori noi possiamo dare forma a impressioni che rimarrebbero informi. Cosi come avviene per le intuizioni empiriche, anche la legge morale fornisce un fatto del tutto inspiegabile che innesca questo meccanismo: al mondo dei sensi viene data una forma intelligibile che libera la legge stessa da qualsiasi condizionamento. Nella ragion pratica speculativa l'unificazione delle intuizioni empiriche avviene nei giudizi, il giudizio è il concetto puro o categoria che non dipende dalla materia, parimenti la legge morale è la legge intelligibile di un mondo sovrasensibile e ciò che permette di unificare i dati del mondo sensibile è la volontà buona, la volontà buona è la stessa ragion pratica che si pone da sé, in totale autonomia e che pone, nel contempo, il dovere. La peculiarità della legge morale è la sua autonomia.

Chiarimento

La differenza tra le "esigenze" della ragion pura e quelle della ragion pratica in realtà sono marcate perché mentre la ragion pura speculativa esige che vi siano delle intuizioni senza le quali non è possibile conoscere sinteticamente a priori un oggetto, le esigenze della ragion pratica non richiedono che "si chiarisca come siano possibili gli oggetti della facoltà del desiderare" ma solo che si chiarisca come la ragione (pratica) possa determinare la massima della volontà. Questa esigenza esige quindi che si chiarisca come si determina la volontà e il fondamento della sua massima.

Come si determina la volontà e il fondamento della sua massima non può avvenire  nella deduzione della legge morale, non può avvenire quindi utilizzando un procedimento uguale a quello della ragion pura speculativa in quanto non può partire dal mondo sensibile ma da una legge di causalità che si trova fuori da quello stesso mondo sensibile. Kant precisa che nel concetto di una  volontà è già contenuto il principio di causalità riferendosi ad una causalità libera non determinata dalle leggi della natura. Il principio di causalità libera a cui fa riferimento Kant non può avere alcuna funzione teoretica ma è ammissibile esclusivamente nell'ambito della ragion pratica.

 

Chiarimento

L'esigenza della moralità viene ammessa da Kant come un postulato della ragion pratica, pertanto ne viene ammessa l'esistenza senza dimostrazione.

Come giustifica Kant il ricorso al principio di causalità libera? Ecco le sue parole:

" Codesto diritto mi compete in ogni caso, in virtù dell'origine pura, e non empirica, del concetto di causa: senza che io mi consideri, son ciò, autorizzato a farne alcun altro uso, se non in riferimento alla legge morale, che determina la sua realtà: in altri termini, un uso pratico". 

Il procedimento argomentativo utilizzato da Kant è quello di svuotare da ogni pretesa teoretica il principio di causalità e impiegandolo in senso pratico per la determinazione delle massime, attraverso questa operazione se ne può quindi ammettere un uso lecito in riferimento ai fenomeni.

Ciò che è importante non è definire ciò che è buono e ciò che è cattivo ma determinare a priori e immediatamente la volontà, determinare le categorie della libertà che permettono di sottoporre a priori il molteplice proveniente dai desideri. Il regno della moralità ha il vantaggio di poter usare le categorie della libertà in un regno che è quello dei fini svincolato completamente da quello teoretico.

Essenziale è che la legge morale rimanga puramente formale, questo significa che l'uomo deve agire per la legge morale, il dovere deve essere compiuto per il dovere. Non è sufficiente che si agisca in conformità al dovere in quanto si avrebbe solo un comportamento che rispetta la legalità  ma che il dovere venga osservato per il dovere (moralità). Kant dice che bisogna agire non semplicemente secondo la "lettera" ma anche secondo lo "spirito", l'unico movente che deve indurre l'uomo ad agire è il senso del dovere, è la legge morale il solo movente che deve spingere ad agire.

Ecco come Kant argomenta il concetto su esposto:

" Il concetto del dovere esige dunque nell'azione, “oggettivamente”, accordo con la legge, e nella sua massima, soggettivamente, rispetto per la legge, come unico modo di determinazione della volontà mediante la legge stessa. Su ciò si fonda la differenza tra la coscienza di aver agito “conformemente al dovere”, e quella di aver agito “per dovere”, cioè per rispetto verso la legge: la prima (la “legalità”) è possibile anche quando pure e semplici inclinazioni siano state i motivi che hanno determinato il volere, mentre la seconda (la “moralità”), cioè il valore morale, dev'essere fatta consistere in ciò, che l'azione avvenga per dovere, ossia unicamente in vista della legge".

Osservare la legge morale è un sentimento che si basa su un sentimento che possiamo conoscere a priori e di cui possiamo intuire la necessità, intuitivamente quindi noi avvertiamo questa necessità che è un obbligo che esiste a priori nell'uomo. Kant parlando del rispetto per la legge morale si esprime con queste parole: 

"Il rispetto per la legge morale è, dunque, un sentimento che nasce su un fondamento intellettuale; e questo sentimento è il solo che possiamo conoscere interamente a priori, e di cui possiamo scorgere la necessità".

e poi precisa che il rispetto per la legge morale non è solo un sentimento oggettivo ma anche soggettivo in quanto, come movente, sollecita il sentimento morale di ciascun essere razionale;  la legge morale depotenzia le pretese egoistiche e le illusioni derivanti dall'amor di sé e dalla superbia. Il ruolo attivo della legge morale procura autorità alla legge stessa e quindi rispetto.L'unico movente morale è quindi il rispetto per la legge morale, le inclinazioni personale vengono limitate a condizione che si rispetti la legge morale. La legge morale poi umiliando la superbia e limitando le inclinazioni è il movente che induce l'uomo non solo a rispettarla sul piano astratto ma anche a vederla come  "fondamento di massime d'una condotta di vita ad essa conforme".  La legge morale non solo induce gli uomini a rispettarla ma  è anche motivo di ispirazione. Rispettare la legge morale significa anche tendere ad essa come modello di ispirazione esattamente come accade per la massima evangelica che dice:  «”Ama Dio al di sopra di tutto, e il tuo prossimo come te stesso”» , questo modello di ispirazione deve essere rispettato per il dovere.

I postulati della ragion pratica:

 

1) La libertà: si è già visto che nell'imperativo etico è fondamentale l'autonomia quale presupposto dell'azione morale. Di conseguenza per l'imperativo etico viene postulata la libertà nel senso che il volere non subisce condizioni da qualsiasi altra causa.  La libertà si pone come dovere sciolto dal mondo sensibile  permettendo all'uomo di sentirsi parte del mondo intelligibile. Attraverso il postulato della libertà si realizza una coincidenza tra libertà e dovere, il dovere è libertà e il dovere è libertà. 

2) L'immortalità dell'anima: Attraverso l'attuazione del dovere in quanto espressione della libertà, l'uomo realizza il sommo bene inteso come stato di pienezza, umana. L'uomo è spinto ad agire dai desideri al culmine dei quali si trova la felicità; il Sommo bene è la sintesi della virtù (bene etico) e della felicità (bene eudemonologico)  ed è possibile in senso pratico solo presupponendo l'immortalità dell'anima. L'immortalità dell'anima è un postulato della ragion pratica che permette di realizzare il sommo bene trascendendo dal tempo e guardando l'esistenza dell'uomo come un'esistenza che sta fuori dal tempo.

3) L'esistenza di Dio:  Si è visto che Libertà, Immortalità dell'anima ed esistenza di Dio non possono essere conosciuti dal punto di vista della ragion pratica speculativa in quanto manca il requisito della fondatezza teoretica, possono però essere ammessi nella sfera della ragion pratica come bisogni insopprimibili dello spirito umano ed essere ammessi come postulati di fede. Kant sostiene che qualora non si ammetta questa esigenza inestirpabile dell'agire umano, verrebbe meno l'appoggio su cui si regge la moralità umana non solo per ciò che concerne la sua realizzazione in modo completo ma anche per quanto concerne i risvolti pratici. 

Il sommo bene può essere raggiunto solo ammettendo l'esistenza di Dio; ma come si può giustificare l'esistenza di Dio senza scivolare nella credulità?

Chiarimento

Kant parte dalla definizione di felicità che così definisce:  “Felicità” è la condizione di un essere razionale nel mondo, a cui, nell'intera sua esistenza, “tutto va secondo il suo desiderio e volere”. Questa condizione non può realizzarsi facendo ricorso ad una causa della natura e l'uomo non può realizzare il perseguimento di questa condizione con le proprie forze. Gli uomini per potere realizzare questo obiettivo hanno il dovere di cercare di promuovere il sommo bene e ciò si può realizzare postulando una causa dell'intera natura, questa causa è Dio.

Ammettere l'esistenza di Dio è un dovere necessario sotto il profilo morale, non si può ammettere il perseguimento della felicità se non se  ne ammette la possibilità e se non si ammette l'esistenza di Dio.  

Ammettere l'esistenza di Dio è un'esigenza di carattere pratico che prende il nome di "fede razionale" , di una fede razionalmente giustificata.

Interessante è l'osservazione che Kant fa sugli Epicurei e sugli Stoici riguardo al loro concetto di felicità. Gli Epicurei avevano assunto un principio morale assolutamente falso in quanto avevano scelto come legge della loro massima una legge arbitraria dipendente dalla inclinazione di ciascuno. Gli Stoici avevano concepito in modo retto la virtù come condizione del sommo bene, tuttavia la loro mancanza risiedeva nel fatto che:

  • estendevano la capacità morale dell'uomo oltre i confini della sua natura;
  • non riconoscevano la felicità come elemento della natura  umana;
  • non consideravano l'altro elemento fondamentale del sommo bene la personale felicità.

In definitiva per Kant l'errore degli Stoici era stato quello di considerare il loro saggio come una persona del tutto indipendente dalla natura (i mali fisici come i dolori)  e come una persona che grazie alla sua eccellenza poteva raggiungere la felicità (nel senso da loro inteso).

La posizione di Kant sul Cristianesimo

Afferma Kant: "La dottrina del cristianesimo, anche se non la si considera ancora come dottrina religiosa, offre su questo punto un concetto del sommo bene (regno di Dio) che è il solo che risponda rigorosamente alle esigenze della ragion pratica".Nel Cristianesimo e solo nel Cristianesimo si realizzano i comandi morali che hanno la loro radice morale nella libertà, tuttavia dato che la legge morale non promette alcuna felicità, la dottrina cristiana supplisce a questa mancanza. Kant è chiaro su questo punto. anche il Cristianesimo non può garantire il perseguimento della felicità ma, attraverso i suoi precetti che sono santi, stimola l'uomo ad osservali finalizzando la sua condotta al raggiungimento della beatitudine eterna. La morale non è e non può essere una dottrina della felicità ma una condizione per conseguirla. Il conseguimento della felicità, della vera felicità dipende dal merito (inteso come osservanza dei precetti evangelici) e la speranza di una felicità incomincia solo con la religione (cristiana). 

Chiarimento

Fede razionale vuol dire fede razionalmente giustificata, la giustificazione è ammissibile nell'ambito della ragion pratica e non significa che permette una conoscenza razionale come avverrebbe nella ragione pura speculativa. 
I postulati sono da intendere come presupposti che hanno una ragion d'essere esclusivamente in senso pratico, autorizzano quindi a pensare a concetti di cui non si potrebbe neppure ammettere la possibilità

Da dove derivano i postulati:

  1. Il postulato della libertà deriva dalla "condizione praticamente necessaria di una durata sufficiente a render perfetta l'esecuzione della legge morale". In questo modo l'uomo può avere il tempo per realizzare la legge morale.
  2. Il postulato dell'immortalità dell'anima deriva " dal necessario presupposto dell'indipendenza dal mondo sensibile, e della capacità di determinare la propria volontà secondo la legge di un mondo intelligibile, cioè secondo la libertà" . L'uomo ha necessità di andare oltre il tempo ed essere indipendente dalle contingenze del mondo sensibile per determinare la propria volontà e raggiungere la propria pienezza.
  3. Il terzo postulato deriva " dalla necessità della condizione per un tal mondo intelligibile, perché possa essere il sommo bene, grazie al presupposto del sommo bene indipendente, cioè dell'esistenza di Dio".Il mondo intelligibile può essere ammesso solo se si ammette l'esistenza di Dio.

 

Il pericolo dell'astrattezza

Kant è consapevole del fatto che l'introduzione di una serie innumerevole di distinguo possa portare all'astrattezza, questo pericolo nasce dalla difficoltà comprensibile di spiegare e giustificare ambiti i cui passaggi non risultano sempre del tutto chiari. Il ricorso ai postulati intesi come presupposti razionalmente giustificati dal punto di vista della ragion pratica, elimina molte problematiche ma non le esaurisce in quanto Kant non esclude la metafisica ma la ammette seppur per questioni di carattere pratico. La morale in Kant non ha il suo fondamento nella metafisica ma è la metafisica che ha il ubi consistam sulla morale.

La finalità a priori

Proprio per cercare di evitare di essere non compreso Kant nella parte finale della Critica della ragion pratica, introduce il concetto della finalità a priori che permette di evitare di cadere nella tentazione di voler conoscere teoreticamente Dio. A tal proposito egli afferma:

".... pervenire, mediante la metafisica, dalla conoscenza di questo mondo al concetto di Dio e alla dimostrazione della sua esistenza, “mediante conclusioni sicure”, è impossibile: perché noi dovremmo conoscere questo mondo come un tutto, il più possibile completo, e quindi, in funzione di ciò, tutti i mondi possibili (in modo da paragonarli con questo); e dovremmo, perciò, essere onniscienti, per dire che il mondo fu possibile solo mediante un “Dio” (così come noi dobbiamo pensare questo concetto)".

Ammettere l'esistenza di Dio dal punto di vista pratico consente quindi di evitare l'utilizzo delle categorie ammesse sono nella ragion pura quando vengono formulati i giudizi. 

 

Il metodo per ottemperare alla legge morale

Come si può determinare un metodo della ragion pratica? In altre parole si chiede Kant come dal punto di vista pratico come si può determinare l'accesso alle leggi della ragion pratica? La questione viene affrontata in modo puntuale nella parte finale dell'opera in quanto è lo stesso Kant a rendersi conto che sottilizzare troppo sulle problematiche di tipo astratto potrebbe rendere inattuabile l'osservanza della legge morale. Per raggiungere questo scopo è importante prima di tutto:

  • rappresentare  le massime come genuini moventi della vita morale. questo per evitare che la loro osservanza sia un fatto semplicemente legale. Questo passaggio permette di evitare che la legge morale venga odiata per il fatto che ognuno ha un concetto di felicità diverso da un altro essere umano. Se un uomo osserva la legge morale solo dal punto di vista legale, la vivrebbe come coercizione e non come un sincero sentire. Ciò che conta non è il rispetto alla lettera della legge (legalità) ma l'introiettare in modo sincero il rispetto per la legge (moralità).

Kant insiste sul fatto che questa rappresentazione venga opportunamente presentata all'animo umano. Dal punto di vista pratico il momento più importante della vita dell'uomo per educarlo alla moralità è quello della gioventù, è questo il periodo in cui diventa proficua un'azione di educazione che possa durare nel tempo. Leggere le biografie dei tempi antichi e moderni può essere utile per conoscere esempi di moralità da seguire o da rifiutare. Tuttavia bisogna evitare di creare esempi di moralità da "eroi da romanzo, che, troppo compiacendosi della loro sensibilità per una grandezza sovrumana, ne approfittano per affrancarsi dall'osservanza di quegli obblighi comuni e praticabili, che ad essi appaiono piccoli e insignificanti".

Kant a questo punto suggerisce di educare un giovinetto di 10 anni alla osservanza della legge morale dicendo di raccontargli  la storia di un uomo onesto che si vorrebbe associare ad una banda di calunniatori che lo vorrebbero ingannare prospettandogli grandi guadagni ottenuti con una condotta riprovevole.  Quest'uomo però resiste a tutte le tentazioni e non cede pur di rimanere fedele ai suoi principi morali. Una storia di questo tipo farà sì che il bambino si senta trasportato dalla mera approvazione all'ammirazione sino alla venerazione di quel comportamento desiderando egli stesso "di poter essere come un uomo del genere".

Tuttavia questo modo di procedere potrebbe non essere proficuo nel caso si avesse a che fare con persone istruite qualora il motivo che dovesse indurre all'azione non si fondasse su un principio elevato ed inderogabile. questo principio è il  «dovere verso Dio».

 L'ideale della santità verso Dio è il solo modello che può garantire l'osservanza della legge morale, l'uomo così perseguendo l'ideale di santità, innalza la sua anima avvertendo nel suo intimo il profondo significato dell'unico solo movente che conta: il dovere verso Dio.

Dal punto di vista pratico si deve quindi partire dal concetto del dovere verso Dio e successivamente fare degli esempi, in tal modo - a parere di Kant- viene salvaguardata la libertà dell'essere umano e nello stesso tempo si coltiva lo sviluppo della libertà interiore, quella parte della coscienza che permette l'osservanza della legge morale.

 

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Published by Caiomario - in Filosofi: Kant Immanuel
19 giugno 2018 2 19 /06 /giugno /2018 06:07
Critica della ragion pura di Kant: risultati

Sulla Critica della ragion pura sono stati condotti numerosissimi studi, se si fa attenzione alle date delle opere presenti nella sterminata bibliografia sugli scritti di Kant, si può notare che l'interesse nei confronti della sua dottrina non è mai venuto meno. Se poi si dovessero considerare le citazioni e i riferimenti a Kant, si rischierebbe di perdersi in un labirinto dal quale sarebbe difficile districarsi. Le ragioni di questo continuo e rinnovato interesse nei confronti di Kant sono diverse ma pensiamo che uno dei motivi per cui il pensiero di Kant continui ad essere una fucina di stimoli alla riflessione sia da rinvenire nella modernità del suo pensiero al di là delle conclusioni a cui pervenne. Kant  ha posto tutta una serie di questioni teoriche e metodologiche sulla validità del sapere umano che non riguardano solo la filosofia e che oggi sono diventate la materia di discipline completamente autonome rispetto alla madre di tutte le conoscenze,  si pensi ad esempio all'importanza dell'epistemologia o all'euristica. Domandarsi se sia possibile una conoscenza certa nelle scienze non è solo una questione che investe l'ambito filosofico ma che riguarda aspetti metodologici che  interessano altre discipline come, ad esempio, la storia o le stesse scienze "esatte". Kant in definitiva è arrivato a delle conclusioni ma ciò che conta è il fatto che abbia posto degli interrogativi, interrogativi moderni e perciò sempre attuali.

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I risultati (in sintesi) a cui pervenne Kant nella Critica della ragion pura (sul contenuto dell'opera si veda http://condividendoidee.over-blog.it/2018/06/kant-critica-della-ragion-pura-speculativa.html):

  1. Il sapere umano trova la sua concretizzazione nei giudizi e il processo conoscitivo è una sintesi a priori del materiale empirico proveniente dalle sensazioni e dalle forme a priori della sensibilità e dell'intelletto. Il sapere senza contenuti non è possibile, la conoscenza per innescarsi ha bisogno della materia, ma è il trascendentale l'elemento a priori che serve per costruire la conoscenza. 
  2. La conoscenza non è innata, se la conoscenza consiste in una sintesi a priori, non significa che esista aprioristicamente, a priori significa nell'accezione kantiana "oggettivo o universale" e si riferisce a quel tipo di giudizio (giudizio sintetico a priori) che apportando una novità permettono un progredire della conoscenza.
  3. Le sensazioni costituiscono un materiale informe che non può avere il carattere di oggettività ed universalità.
  4. La natura appare per la rappresentazioni che ne facciamo la realtà è una realtà fenomenica, noi abbiamo una conoscenza della realtà in base alle leggi che noi gli diamo. Tutto è apparenza, è solo la forza regolatrice dell'intelletto che dà le leggi alla natura.
  5. Una realtà come cosa in sé è pensabile ma non è conoscibile: senza realtà non potremmo innescare il processo del conoscere ma una volta che abbiamo organizzato le impressioni non possiamo veramente conoscere la realtà.
  6. Il processo del conoscere è un'attività unificatrice dei dati provenienti dal molteplice, è l'Io penso che svolge questa attività di unificazione, la sua funzione è trascendentale nel senso che come forma si trova al di fuori dell'esperienza ed è una condizione formale per unificare l'esperienza stessa. Le categorie quali forme necessarie per unificare la realtà possono essere utilizzate in senso trascendentale in altre parole possono essere utilizzate per conferire oggettività e universalità alla conoscenza ma non per andare oltre l'esperienza stessa.
  7. La metafisica non è possibile come scienza in quanto ha la pretesa di andare oltre l'esperienza che in quanto tale non può essere oltrepassata.
  8. La matematica e la fisica sono possibili come scienze in quanto la loro validità è garantita da intuizioni pure; in particolare la matematica si fonda sulle intuizioni pure di spazio e di tempo, la validità e la certezza della fisica trova la sua garanzia nelle intuizioni pure e nelle categorie dell'intelletto.
  9. L'idea psicologica, l'idea cosmologica e l'idea di Dio non sono possibili come scienze in quanto hanno la pretesa di trascendere l'esperienza.
  10. La verità è in relazione con il soggetto-regolatore dell'esperienza, l'intelletto è il vero legislatore della natura e la verità pertanto non è certezza assoluta della realtà in quanto l'unica verità che non può essere messa in discussione è l'esistenza dell'attività unificatrice dell'Io penso.
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Published by Caiomario - in Filosofi: Kant Immanuel
17 giugno 2018 7 17 /06 /giugno /2018 20:52
Kant: Critica della ragion pura speculativa

Con la Critica della ragion pura speculativa Kant si pone come obiettivo quello di approfondire ed analizzare il valore del sapere umano. La problematica sul valore del sapere umano riguarda le possibilità del sapere umano e dei suoi limiti, si tratta di una problematica che costituisce ancora oggi l'oggetto di una disciplina moderna come l'epistemologia che si occupa delle strutture logiche e della validità della metodologia della scienza. Kant nei confronti delle scienze empirio-matematiche ritiene che il problema sulla loro realtà non si ponga in quanto sono un dato di fatto. La questione riguarda non la realtà ma le condizioni per cui sia possibile una scienza, in altri termini quali sono le condizioni che permettono che scienze come la matematica e la fisica siano valide per lo studio della natura.Per quanto riguarda  la metafisica invece Kant pone il problema in maniera diversa domandandosi se essa possa essere possibile come scienza.  

Già dal tipo di impostazione seguita da Kant nel porre una distinzione tra le scienze della natura e la metafisica, si può constatare che egli non credeva nella validità razionale della metafisica, validità che invece riteneva dovesse essere riconosciuta alle scienze della natura.

Cos'è il pensiero per Kant? Pensare è formulare giudizi, pensare è giudicare, ragionando noi utilizziamo dei concetti e perveniamo ad una conclusione che è un giudizio. Esistono per Kant due tipi di giudizi, i giudizi sono gli elementi costitutivi del sapere:

1 - I giudizi analitici sono giudizi esplicativi diretti a chiarire, a spiegare il soggetto, posto il soggetto si deve porre obbligatoriamente il predicato che è una semplice spiegazione del soggetto in questo senso sono universali ed oggettivi. Non forniscono conoscenze nuove e sono indipendenti ed antecedenti all'esperienza, cioè esistono a priori dell'esistenza.
2- I giudizi sintetici a posteriori sono quei giudizi, nei quali il predicato è qualcosa di diverso dal soggetto e fa una sintesi con il soggetto. Questi giudizi sono empirici, estensivi nel senso che estendono il sapere e sono formulati a posteriori, nel senso che vengono formulati dopo averli constatati

Kant poi introduce un terzo di tipo di giudizio: il giudizio sintetico a priori:

Presupposto: la scienza deve avere i caratteri di oggettività e necessita, le sue leggi non possono essere contingenti ma devono offrire una conoscenza certa ed universale e riguardano fatti sempre nuovi. I giudizi analitici e i giudizi sintetici a posteriori non sono sufficienti a pensare queste leggi, questa funzione viene svolta dal giudizio sintetico a priori.
Caratteri del giudizio sintetico a priori: sinteticità e oggettività, deve prescindere dall'esperienza (apriorità).
Funzione del predicato: il predicato esprime una novità rispetto al soggetto, il rapporto tra soggetto e predicato è di necessità ed universalità.
Esempi di giudizi sintetici a priori: 7+5= 12 (matematica); la linea retta è la più breve tra i due punti (geometria).

Kant dopo avere distinto i tre tipi di giudizi si chiede come siano possibili i giudizi sintetici  a priori, si tratta di un problema fondamentale della sua riflessione in quanto la soluzione di tale problema permette di dare una risposta alla domande iniziali che hanno mosso la sua riflessione: quale valore ha il sapere umano? Come è possibile la matematica? Come è possibile la fisica?

Per rispondere a queste domande, bisogna conoscere i presupposti da cui parte Kant:

1) Tutto parte dalla sensazione, l'uomo percepisce le cose e i fatti esterni, percependo la realtà esterna, l'uomo attinge il materiale del suo pensare dall'esperienza. 

2) I fatti e le cose dell'esperienza non possiedono i caratteri dell'oggettività e dell'universalità.

Che cosa conferisce oggettività e universalità alla molteplicità del materiale proveniente dall'esperienza ? A parere di Kant il processo di oggettività e universalità avviene grazie alla forma o trascendentale, la forma è l'elemento che si trova fuori dal molteplice ma che è necessario per permettere le nostre conoscenze. Senza la forma o trascendentale non è possibile organizzare le conoscenze provenienti dalla realtà esterna da qui la sua necessità ed universalità.

Per spiegare il modo in cui sono possibili i giudizi sintetici a priori, Kant dà prima di tutto una determinazione del trascendentale, in altre parole fornisce una definizione degli elementi che determinano le nostre conoscenze considerando le facoltà del conoscere:la sensibilità e il pensiero. Il pensiero a sua volta possiede -spiega Kant- due facoltà: l'intelletto e la ragione.

 

Le facoltà del conoscere

Sensibilità = facoltà di ricevere impressioni
Intelletto = facoltà di ricevere o formulare giudizi
Ragione = facoltà di aggregare i giudizi in  un'unità sistematica

In base a questa divisione Kant introduce divide la Logica in Analitica per l'intelletto e in Dialettica per la ragione, mentre l'Estetica si occupa dello studio delle forme a priori della sensibilità.

Le parti della Critica della ragion pura

Estetica trascendentale: sensibilità

Logica trascendentale:  Analitica trascendentale: intelletto

                                           Dialettica trascendentale: ragione

                                         

Un chiarimento è necessario per comprendere il significato dell'aggettivo "trascendentale"; per Kant l'elemento che permette di costruire l'esperienza è la forma a priori, un elemento puro a priori che non proviene dall'esperienza, tuttavia le forme a priori pur non provenendo dall'esperienza tendono ad essa nel senso che il materiale verso cui sono rivolte è esclusivamente quello della sensazione con l'eccezione della ragione quale momento unificatore dei giudizi.

Il significato delle parte della Critica della ragion pura
Estetica trascendentale: riguarda lo studio delle forme a priori della sensibilità
Analitica trascendentale: riguarda lo studio delle forme a priori dell'intelletto
Dialettica trascendentale: riguarda lo studio delle forme a priori della ragione

 

Estetica trascendentale

L'Estetica trascendentale è lo studio delle forme a priori della sensibilità ossia del tempo e dello spazio che permettono di conoscere e nello specifico di organizzare i dati provenienti dalle sensazioni. Il materiale empirico è necessariamente nello spazio e nel tempo, lo spazio è la forma pura  che riguarda le sensazioni esterne, il tempo è la forma pura che riguarda le sensazioni esterne ed interne. Le forme pure non provengono dalle sensazioni  ma sono delle intuizioni.

Durante l'atto del percepire l'uomo intuisce, avverte spazio e tempo, tuttavia queste intuizioni non provengono dalle sensazioni, dai dati dell'esperienza, sono secondo Kant  delle forme pure che ci permettono di cogliere la realtà empirica e di ordinarla. Spazio e tempo non esistono nel mondo sensibile, sono forme pure che servono per mettere in modo il processo di collocazione nello spazio e nel tempo di questa o quella cosa. L'impressione iniziale o sensazione è colta grazie alle intuizioni pure, la loro sintesi produce le intuizioni empiriche o percezioni, le percezioni pertanto sono un momento di sintesi che permette di concepire e conoscere la materia.

Estetica trascendentale
Punto di partenza: la realtà empirica - Forme a priori o intuizioni pure : spazio e tempo
Processo: ogni sensazione diventa percezione grazie alle forme a priori o intuizioni pure > risultato:  la realtà empirica colta dal soggetto viene collocata nello spazio e nel tempo, le sensazioni si trasformano in percezioni o intuizioni empiriche.

Analitica trascendentale

Abbiamo visto che l'uomo ha tre facoltà: sensibilità, intelletto e ragione. L'intelletto è la facoltà di formulare giudizi, l'Analitica una delle due parti della Logica riguarda l'intelletto (l'altra la Dialettica riguarda la ragione) Come funziona l'intelletto? Dopo che le sensazioni si trasformano in intuizioni empiriche ossia nella molteplicità del reale collocato nel tempo e nello spazio, la forma che dà unità alle intuizioni empiriche è il concetto, i concetti permettono di formulare un giudizio e sono funzioni proprie dell'intelletto. L'unificazione delle intuizioni empiriche quindi avviene grazie ai concetti puri o categorie che per Kant sono 12 come 1\2 sono i giudizi, ad ogni giudizio corrisponde una categoria e ciascun gruppo di 3 di giudizi viene diviso in classi.

In base alla divisione stabilita da Kant abbiamo le seguenti classi, giudizi e categorie:

 

Classi                            Giudizi                                       Categorie

I. Quantità                      Singolare                                        Unità

                                      Particolare                                      Pluralità

                                      Universale                                      Totalità

II. Qualità                       Affermativo                                    Realtà

                                      Negativo                                        Negazione

                                      Infinito                                            Limitazione

                                       

III. Relazione                 Categorico                       Sussistenza ed inerenza

                                       Ipotetico                          Causalità e dipendenza

                                       Disgiuntivo                       Reciprocità

IV. Modalità                  Problematico                      Possibilità ed impossibilità

                                     Assertorio                           Esistenza e non esistenza

                                     Apodittico                            Necessità e contingenza

 Esempio di come si forma un giudizio attraverso le categorie: "la pioggia bagna il terreno", in questo giudizio abbiamo due intuizioni empiriche "pioggia" e "terreno" che vengono unite dal concetto di bagnare. In questo caso il bagnare indica che c'è una relazione e rientra nel concetto puro o categoria di "causa".

Secondo l'impostazione di Kant l'elemento caratterizzante che permette la costruzione della natura non sono le leggi della natura ma l'intelletto che giudica, l'attività di conoscere non riceve leggi della natura ma è l'intelletto che sulla base delle impressioni determina le leggi della natura.

Come si ottiene il processo di unificazione delle categorie esprimendo una connessione universale e necessaria? Ciò che permette l'unificazione è l'io penso, pertanto in base all'esempio riportato nelle righe precedenti il giudizio andrebbe riformulato in questi termini: "(Io penso che) la pioggia bagna il terreno". L'io penso di cui parla Kant non è un io particolare che esprime il suo punto di vista ma è un puro Io come pura attività che pensa e che unifica.

 

Chiarimento

Differenza tra l'Io penso di Cartesio e l'Io penso di Kant: per Cartesio l'unica realtà presente è il pensiero, quando io dico "io penso" mi avverto come una realtà pensante, la realtà fondante è perciò il Cogito, l'unica certezza che costituisce l'unica vera certezza della realtà.L'Io penso di Kant  è il momento della coscienza del pensare quando si formula un giudizio, l'Io penso o trascendentale è l'Io che esprime giudizi ma che esiste nel momento in cui avvengono le sue costruzioni. L'Io puro di Kant pertanto non esiste come realtà a sé stante, l'attività del conoscere avviene con l'Io penso che con i giudizi e l'attività di categorizzazione della natura ne stabilisce le leggi.

 

Dialettica trascendentale

L'altra parte della Logica trascendentale è la Dialettica trascendentale che riguarda lo studio delle forme a priori della ragione attraverso la quale avviene un ulteriore processo di unificazione, iniziato con l'intelletto, per raggiungere la totalità: le forme a priori che permettono questo processo solo le idee intese come principi unificatori della realtà, si tratta quindi di funzioni della ragione che permettono di unificare i giudizi. 

Chiarimento 

Le idee in Platone: per Platone le idee sono realtà trascendenti della natura esistenti nell'iperuranio, le idee sono il presupposto della realtà, pur avendo un rapporto con il mondo empirico vivono su un piano metafisico staccato dalla realtà stessa.

Le idee nell'empirismo: sono rappresentazioni che nascono dalle sensazioni, Locke afferma che "Nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu".

Le idee in Leibniz: le idee sono innate,  sono avvolte nella monade, si trovano in uno stato virtuale in attesa di dispiegarsi: "Nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu, nisi intellectus ipse".

Le idee in Spinoza: l'uomo è fatto di anima e corpo, rapporto tra cogitatio ed extensio, l'anima è idea,il corpo è l'oggetto corrispondente. In Spinoza idea e ideatum sono in corrispondenza simmetrica seppur assorbite nell'unità: Ordo et connexio idearum idem est ac ordo et connexio rerum.

Le idee in Kant: sono forme a priori della ragione, funzioni della ragione che unificano in senso totalizzante i risultati dell'intelletto che giudica. Le idee sono prive di contenuto, svolgono una mera funzione regolativa dei giudizi o dei risultati dei giudizi ottenuti con l'intelletto.

 

 

Kant distingue tre tipi di idee della ragione:

  1. idea psicologica o idea di un io;
  2. idea cosmologica o idea del mondo;
  3. idea teologica o idea di Dio.

 

Chiarimento 

La ragione attraverso l'idea psicologica o idea dell'io regola l'attività interna.
La ragione attraverso l'idea cosmologica o idea del mondo regola tutti i risultati di ciò che per gli uomini è il mondo.
La ragione attraverso l'idea teologica o idea di Dio unifica tutti i risultati che nella natura  si presentano condizionati in un unico principio incondizionato

Le idee non aggiungono nulla alla conoscenza che, come si è già visto, è una sintesi di intuizioni e di categorie, si può dire quindi che la conoscenza vera e propria si ferma con l'io  penso, in quanto è l'io penso, il soggetto giudicante che conosce e che nello stesso tempo dà le leggi. La conoscenza pertanto è possibile solo nell'ambito dell'esperienza.

La ragione ha quindi per Kant un valore regolativo e le idee sono rappresentazioni unitarie, asserzioni sintetiche; esaminiamo  in maniera più approfondita le singole idee:

  1. Idea psicologica o idea dell'io: l'attività del conoscere non può prescindere dall'esperienza ma tutto il nostro pensare è determinato dall'Io penso, è il pensiero che pensa i giudizi, l'io però non è una sostanza e non può essere una realtà appresa, svolge pertanto una funzione strumentale in quanto permette di dare ordine ai fatti interni dell'uomo. La funzione dell'idea anima è una funzione chiarificatrice nel senso che, regolando i fatti interni dell'uomo, non produce ulteriori conoscenze ma le rende più chiare.
  2. Idea cosmologica o idea del mondo: la rappresentazione totale del mondo, la sua idea serve per evitare di cadere nel ginepraio delle tesi contrapposte, affermando che l'idea del mondo non è altro che un'idea della ragione si evitano le antinomie ossia quelle tesi contradditorie che inficiano la comprensione della realtà.
  3. Idea teologica o di Dio: Kant nega la validità delle tre principali argomentazioni (argomentazione ontologica, argomentazione cosmologica e argomentazione teleologica) utilizzate per dimostrare l'esistenza di Dio, le prove sull'esistenza di Dio presentano delle criticità che sul piano logico le rendono non valide. L'argomentazione ontologica è una dimostrazione razionale dell'esistenza di Dio ma la razionalità si limita al modo di procedere in quanto il principio di identità su cui si basa questa argomentazione non prova niente dato che il ragionamento ontologico si limita a dimostrare l'esistenza di Dio con un semplice passaggio facendo un salto dal Dio pensato al Dio esistente. Non si può ritenere esistente una cosa solo per il fatto di pensarla. L'argomentazione cosmologica è anch'essa non valida in quanto tutto il ragionamento dei suoi sostenitori è basato sul principio di causalità, come si è visto la causa è una categoria, una funzione propria dell'intelletto che per giudicare ha bisogno delle intuizioni empiriche che costituiscono la materia. L'argomentazione teleologica dimostra la sua inconsistenza in quanto concepisce Dio come una sorta di principio regolatore finito escludendo il Dio creatore.  

 Se la conoscenza è limitata all'esperienza, la metafisica si dimostra impossibile come scienza, l'unico sapere che ha validità è quindi quello che deriva dall'esperienza, tuttavia il fatto che l'uomo si ponga determinati interrogativi significa che esiste un bisogno spirituale che non può essere represso. Questo argomento verrà affrontato da Kant nella Critica della ragion pratica (1788) dove l'esistenza di Dio non viene dimostrata per via razionale, ma ammessa come un postulato di fede, una fede razionale che per il filosofo tedesco significa una fede giustificata razionalmente.

Sui risultati a cui pervenne Kant nella Critica alla ragion pura si veda:

 http://condividendoidee.over-blog.it/ 2018/06/critica-della-ragion-pura-di-kant-risultati.html

 

 

 

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Published by Caiomario - in Filosofi: Kant Immanuel
17 giugno 2018 7 17 /06 /giugno /2018 17:18
Morale in Kant, quando il formalismo prevale sul contenuto

Kant, come è noto, si propose di delineare i principi costitutivi della morale che, secondo i suoi propositi, doveva essere universale ed assoluta. Il carattere di universalità della morale ne avrebbe salvaguardato la sua efficacia nei confronti dell'uomo, di ogni uomo e la sua assolutezza l'avrebbe dovuta svincolare da ogni condizione. Nella Critica della ragion pratica Kant espone la sua teoria, mantenendo sempre un rigore logico che ci può fare affermare che i propositi su menzionati siano stati da lui raggiunti, tuttavia non poche perplessità sorgono quando Kant spinge sull'aspetto formale della legge morale prescindendo dal contenuto. Secondo il ragionamento del filosofo tedesco la legge morale per essere universale deve presentarsi come un imperativo categorico, imperativo indica un comando e categorico ne sottolinea il carattere incondizionato, pertanto la legge morale secondo la prospettiva kantiana è la legge del dovere assoluto, una legge che non può mutare e che vale per tutti.

La prima obiezione che si potrebbe avanzare è la seguente: chi stabilisce la validità della legge morale? Inoltre dato il carattere di immutabilità della legge morale si dovrebbe presupporre che in ogni tempo (e in ogni luogo) l'uomo ha rispettato una sola legge morale. Kant non dice questo e la sua definizione prospettica è rivolta al presente, tuttavia anche attualizzando tale definizione nel presente, risulta evidente che non solo la legge morale non è universale ma che esistono tante leggi morali quanti sono le individualità umane. Un altro aspetto riguarda il contenuto della legge morale ossia ciò che viene comandato, egli ritiene che non bisogna occuparsi del contenuto,  prescindere dal contenuto di una legge morale significa però svuotare la norma di condotta dalle circostanze, non definirla. Ammesso che questo fosse l'intendimento di Kant, resta il fatto che egli volle legittimare il valore della legge morale dando valore al solo aspetto puramente formale ossia a quello che si basa sul fatto che  bisogna rispettare una sola legge: la legge di obbedire alla legge a prescindere del contenuto.  Eppure non può esistere un edificio morale che si basi solo sulla facciata, nessuna legge morale può dettare una norma di condotta se non si basa su un insieme di valori condivisi e convissuti. In questo modo la legge morale diventa qualcosa di inapplicabile e di poco comprensibile, agire per il dovere di rispettare una legge sembrerebbe valorizzare l'aspetto morale di questo obbligo a discapito di quello legale ma praticamente questo confine non è facilmente circoscrivibile in quanto il potere coattivo della legge, compresa quella morale, è uno degli elementi che ne permette l'esistenza. Non solo leggi ordinarie ricorrono alla coazione e all'uso della forza ma anche le norme religiose prevedono sempre una pena per coloro che non le rispettano.

Kant ritiene che nella vita morale niente si può definire buono se non è  volontà buona volendo intendere con tale espressione la stessa ragion pratica in quanto legislatrice della morale da qui il carattere di autonomia della ragione pratica che pone da sé la legge morale. Anche su questo punto sorgono non poche perplessità: Kant quando afferma che la morale dipende solo dalla volontà buona e ribadisce che è essenziale il suo carattere di autonomia, rende la ragion pratica completamente svincolata dalla realtà esterna, come si possono stabilire delle norme di condotta condivise e convissute senza determinarne il contenuto.

Kant stabilisce tre massime per regolare l'azione: la prima di queste massime recita: "Agisci in modo che tu possa volere che la massima della tua azione divenga universale": si tratta di parole che non possono fare presa ma l'azione di quell'individuo che ritiene la sua condotta moralmente ineccepibile può valere universalmente? La condotta dell'uomo ispirato da valori religiosi può valere per tutti coloro che non li riconoscono? La domanda è retorica ma nessuna morale può pretendere di raggiungere l'universalità perché non esiste la morale ma coesistono tante morali che spesso sono in conflitto tra di loro. Ipotizziamo che il valore della pace sia una legittima aspirazione di tutti gli uomini e che questa aspirazione sia universalmente riconosciuta come valore fondante della convivenza pacifica tra i popoli; dal punto di vista pratico bisognerebbe eliminare le cause di ogni conflitto e di fatto sostenere una tesi utopica che la storia ha sempre contraddetto. 

La seconda massima dice: "Agisci in modo da considerare l'umanità, in te come negli altri sempre come fine e mai come mezzo"; questa massima è stata definita come massima del finalismo  e può essere interpretata come la difesa di una concezione in cui l'uomo sia fine di fronte a tutto. Dal punto di vista antropologico l'uomo viene a collocarsi al centro di tutto e ogni scelta deve essere fatta tenendo in considerazione l'uomo come fine.  Paradossalmente sempre attualizzando la massima kantiana, l'idea di mettere al centro di ogni scelta l'uomo può significare mettere al centro gli interessi dell'uomo. Questa concezione può anche diventare la legittimazione di molte ingiustizie. Prendiamo per esempio il tema dell'ambiente e a quante scelte che, tenendo in considerazione esclusivamente le esigenze umane. hanno non solo modificato l'ambiente ma hanno distrutto la vita di molti altri esseri umani. Se invece la massima kantiana si riferisce alla salvaguardia della dignità dell'uomo come persona, tale principio dovrebbe essere specificato.Cosa vuole dire Kant che non bisogna considerare ogni uomo come mezzo? L'uomo ogni uomo è anche un tramite e la sua corporeità è imprescindibile, si pensi all'eros o alla procreazione dove il corpo è tramite ma anche  finalità.  

La terza massima è stata così formulata: "Agisci in modo che la tua volontà possa essere considerata come istituente una legislazione universale", Kant  sottolinea l'importanza dell'autonomia della morale che non dipende da niente di esterno se non dalla razionalità umana. Eppure non vi è terreno come la morale nel quale una molteplicità di fattori esterni non siano condizionanti quando si tratta di determinare le norme di condotta.

Alla razionalità metafisica Kant fa subentrare la fede nella razionalità dei postulati non riuscendo poi a svincolare il suo ragionamento dal ricorso a Dio che la legge morale esige per potere realizzare il regno dei fini: la metafisica rientra dalla finestra seppur sotto la veste della fede e non della ragione.

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