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11 settembre 2012 2 11 /09 /settembre /2012 04:24

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Jorge Luis Borge è uno scrittore elegante e raffinato e tra gli scrittori di lingua ispanica, è sicuramente quello più cosmopolita e più innovativo di tutto il Novecento letterario. 
Le sue radici culturali sono europee e dallo spirito della vecchia Europa ha ereditato molti di quei tratti che contraddistinguono tutti quei movimenti di avanguardia che rinnovarono una produzione letteraria spesso asfittica e che, finita l'onda lunga della letteratura tardo romantica, non aveva più nulla da dire. 
Nella prima metà del Novecento, grazie ad una rinnovata energia, la creatività intellettuale si spinse lungo il terreno dello sperimentalismo più estremo non solo nella letteratura, ma anche in tutti i campi artistici tradizionalmente utilizzati per manifestare il pensiero umano come, ad esempio, le arti figurative. Borges fu senza dubbio tra i maggiori protagonisti di questo movimento culturale che rinnovò profondamente anche il linguaggio e il modo di esprimersi. 

Avendo affrontato la lettura di capolavori quali "Ficciones" (Finzioni) e "El Aleph" (L'Aleph), ho imparato a familiarizzare con il linguaggio di Borges, un linguaggio che spesso presenta delle difficoltà dal punto di vista della comprensione, ma che comunque induce il lettore ad uno sforzo interpretativo che alla fine lo arricchisce così come è accaduto a tutti coloro che si sono serviti delle straordinarie intuizioni degli inventori della scrittura. 
Borges diceva che: "La Biblioteca è una sfera il cui centro esatto è qualsiasi esagono, e la cui circonferenza è inaccessibile" suggerendo con tale espressione che la produzione letteraria che scaturisce dal linguaggio è interminabile così come il linguaggio della geometria euclidea descrive uno spazio geometrico interminabile e immaginario. 

È proprio questa visione del mondo che ritroviamo in tutti i testi di Borges che dovrebbero essere affrontati decodificando un linguaggio colto ed erudito, magari con l'aiuto di qualche autorevole esegeta che aiuti a comprendere la ricca produzione letteraria dello scrittore argentino. 

Molti autori possono essere considerati delle coscienze critiche dei loro tempi e della loro nazione, altri riescono a dare una lucida interpretazione della realtà, Borges invece va compreso a partire dalla sua complessa e poliedrica personalità. La maggior parte delle opere di Borges sono considerate giustamente dei capolavori narrativi che -a mio parere- lambiscono i terreni infidi e problematici della filosofia e della psicologia. 
Il "Libro di sogni" può essere inquadrato in questa prospettiva che riesce a mostrare con una finissima capacità di analisi tutta una serie di esperienze oniriche che costituiscono l'altra parte del pensiero umano, quello più nascosto e non immediatamente decifrabile. 
Borges affronta la tematica delle esperienze oniriche in perfetta continuità con l'impostazione delle sue opere più note; anche nel "Libro di sogni" troviamo quelle sovrapposizioni e quell'interscambio tra il mondo delle parole e l'immaginario fantastico presente in "Finzioni". 
Il processo descritto da Borges però avviene all'incontrario: mentre in "Finzioni" l'immagine del mondo e della realtà esistenziale appaiono ordinati e nel contempo incomprensibili, nel "Libro di sogni" il disordine e il non-senso (apparente) vengono decodificati con un'opera di ricerca che Borges "risolve" con una sorta di arte combinatoria fatta di ricordi e riflessioni. 
In questa ricerca sul simbolismo entrano in gioco molte questioni non ultima quello dello sviluppo della personalità dell'individuo, ma anche dei valori culturali che costituiscono la specifica dell'umana natura. 
E se la "disperata ignoranza" che gli uomini dimostrano verso le esperienze oniriche induce spesso all'errore, non bisogna pensare che i sogni siano il regno dell'arbitrario e del non senso. 

Il "Libro di sogni" può essere anche una valida piattaforma per tutti coloro che per motivi "professionali" affrontano il comportamento degli individui, ma non è un libro di psicologia anche se alcuni strumenti utilizzati da Borges potrebbero indurre a pensare che siano gli stessi utilizzati nell'indagine psicologica. 
Del resto il lessico dei termini-chiave utilizzati dall'autore argentino si presta più ad una prospettiva di tipo fenomenologico che ad una fredda analisi di tipo psicologico. 

Possiamo ritrovare questo modo di procedere in un altro autore che senza dubbio è stato il più autorevole studioso della materia: Mircea Eliade. Sotto questo profilo Borges al pari dello studioso rumeno dimostrò da sempre un interesse verso la storia delle religioni e i frequenti agganci e riferimenti contenuti nell'opera sono la dimostrazione che il pensiero umano è fatto di vasi comunicanti, gli specialisti delle singole discipline dovrebbero ricordarlo, ma anche i lettori dovrebbero sempre tenerlo presente. 

Il titolo originale dell'opera è "Libro de sueños", tradotto con "Libro dei sogni" o "Libro di sogni", nella versione edita da Mondadori il titolo è "Libro di sogni", traduzione corretta del titolo in lingua originale. 

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9 settembre 2012 7 09 /09 /settembre /2012 06:27

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"Le ceneri di Gramsci" è il titolo di un poemetto di 400 versi scritto nel 1956 da Pier Paolo Pasolini; si racconta che lo scrittore friulano era a Roma e nel corso di  una serata estiva  incominciò a riflettere sul proprio passato cercando di sconfiggere il senso di pessimismo che lo attanagliava; poi il ritorno a casa dove trascorse un notte insonne  nel tentativo di razionalizzare il proprio passato. La mattina la vita riprese con i rumori dei lavori di un cantiere che si trovava vicino alla casa del poeta. 
E' questo il punto più bello del poemetto, il lavoro di una dozzina di operai e il rumore di una vecchia benna "che cieca sembra,cieca/sgretola, cieca afferra" evocano nel poeta il senso del dolore. 

Pasolini scrive: 

 
"A gridare è, straziata/ da mesi e anni di mattutini/sudori - accompagnata/ dal muto stuolo dei suoi scappellini,/la vecchia escavatrice: ma, insieme, il fresco/ sterro sconvolto, o, nel breve confine. 

Si tratta di versi bellissimi densi di significato in cui il Poeta coglie il grido della vecchia scavatrice accompagnata da un gruppetto di operai, la benna scava e insieme a lei grida la terra ferita, ma sembra gridare tutto il quartiere ferito. Il pianto della benna, della terra e di tutto il quartiere è il pianto di tutto il mondo, è il pianto del Poeta e della sua disperata voglia di gridare il suo dolore. 
Ma quello del Poeta non è solo il pianto esistenziale e personale, è il grido disperato "per ciò che muta/anche per farsi migliore". 

Ad un certo punto nel pometto si trova l'espressione "impeto gobettiano", Pasolini si riferisce a Piero Gobetti l'intellettuale liberale morto in seguito alle percosse subite dai fascisti. Il riferimento e l'attenzione di Pasolini è verso la personalità di Gobetti che tentò di unire le istanze liberali con le esigenze della classe operaia dimostrando per gli anni Venti una straordinaria modernità. 

Bellissimi sono poi i versi che connotano gli operai intenti al lavoro, scrive Pasolini :

" ....verso questi operai. che muti innalzano, nel rione dell'alto fronte umano/ il loro rosso straccio di speranza". 

 Il rosso indica il simbolo dei paesi di sinistra dell'epoca: la bandiera rossa; lo straccio è un modo efficace con cui Pasolini descrive la povertà e l'umiltà dei lavoratori senza che questo termine abbia un intento dispregiativo. 
Pasolini poeta traspone in versi quelle atmosfere che troviamo in molti suoi romanzi in cui vengono raccontate le storie del sottoproletariato urbano. In tutta l'opera pasoliniana si trova una connotazione positiva verso la corporalità e la sensualità popolare in contrasto con tutta la poetica del Novecento che cerca il bello nell'arte e nella natura; la classe operaia suscita in Pasolini emotività ma soprattutto adesione , solidarietà e pietà. 
Un'altra caratteristica evidente del poemetto è l'intreccio tra la propria situazione privata e la dimensione pubblica degli eventi, la poesia diventa lo strumento per esprimere il proprio abbandono emotivo vissuto nella mente e sofferto nella carne. 


E infine una curiosità,nel poemetto Pasolini cita due luoghi molto noti a Roma: Viale Marconi e la stazione di Trastevere, nel periodo in cui scrisse i versi, queste due zone erano zone frequentate quasi esclusivamente dalle classi meno abbienti.

 

SCHEDA DEL LIBRO

 

  • Titolo: Le ceneri di Gramsci
  • Autore: Pierpaolo Pasolini
  • Editore: Garzanti Libri
  • Collana: Garzanti Novecento
  • Anno di pubblicazione: 2009
  • Prezzo di copertina: euro 10,00

 

 

 

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6 settembre 2012 4 06 /09 /settembre /2012 16:49

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Quando "Life" la celebre rivista americana ha definito Il padrino "il romanzo più venduto di ogni tempo" molti hanno subito obiettato che si trattava di un'esagerazione, il tempo ha dato ragione alla preveggenza del recensore del libro: "Il padrino" è effettivamente il libro più venduto di ogni tempo, è il best seller per eccellenza, solo di questo libro ne sono state vendute dieci milioni di copie nei primi due anni. Sono ormai passati quarant'anni esatti dalla pubblicazione della prima edizione. Ma per comprendere le ragioni del Padrino bisognerebbe anche leggere "THE GODFATHER PAPERS and other confessions" scritto da Puzo e in cui vengono rivelati molti retroscena sul libro. 

Possediamo la prima edizione uscita in Italia de "Il padrino" e il libro che contiene le note dello stesso Puzo intitolato "I diari del padrino", pubblicato dalle edizioni dall'Oglio nel 1972, note che completano il primo almeno per quanto riguarda i retroscena che anticiparono l'uscita del romanzo e poi del film. Per il lettore italiano è poi importante leggere il testo originario che ricordiamolo è stato scritto da un italo-americano che ben conosceva il mondo degli emigrati italiani arrivati negli Stati Uniti all'inizio del Novecento. Al di là del racconto e della fantasia letteraria, la storia romanzata trae direttamente spunto dalla realtà, da quella realtà fatta di padrini e di italiani che parlavano un italiano dialettale e lavoravano nei settori più bassi della scala sociale, Puzo la conosceva bene perché da lì proveniva. 
Quasi tutti gli italiani che vivevano lungo la Decima Avenue -racconta Puzo nelle sue confessioni- lavoravano nella ferrovie, le famiglie erano numerose e i figli si procuravano del denaro rubando carbone o ghiaccio a seconda dell'alternarsi delle stagioni. 
Prima di raggiungere "l'età del voto" ossia prima di essere affiliati a Cosa Nostra, i giovani italiani rubavano dagli autocarri che si trovavano davanti alle fabbriche, la refurtiva, costituita soprattutto da vestiti, veniva venduta porta a porta. I "migliori" di loro ossia i più violenti facevano carriera nel crimine organizzato. 

Dal quadro delineato da Puzo/Padrino, sembrerebbe che gli italiani emigrati fossero tutti una manica di delinquenti che superano di gran lunga qualsiasi luogo comune sugli emigrati dei nostri tempi che delinquono, ma non è così; lo stesso Puzo dirà successivamente che la maggior parte della comunità italiana era costituita da gente onesta che si accontentava dei cinquanta dollari del salario ricevuto per lavorare come camionisti, fattorini o impiegati statali. Insomma non è vero che gli italiani fossero tutti mafiosi, ma è pur vero che tutti i mafiosi erano italiani.

 

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Album di Caiomario

 

PUZO CONOSCEVA BENE L'AMBIENTE DEGLI ITALIANI

La storia raccontata ne Il padrino è verosimile, una perfetta mescolanza tra realtà e finzione, ma da dove veniva Puzo? Proveniva da una famiglia poverissima , la più povera tra i poveri, ma che aveva un'attenzione quasi maniacale verso il cibo italiano: i formaggi e l'olio d'oliva, un cibo percepito come qualcosa di biblico, di arcaico percepito da sempre nello stesso modo anche dalla progenie successiva. Non mancano gli spaghetti e le polpette 
Ecco allora la famiglia italiana di una volta: il padre, la madre che sta in casa e cucina, "era una cuoca esperta" e i figli, tanti figli; e poi il ricordo della madre che diventa sempre mitico, infarcito di aneddoti che ne esaltano la unicità e le qualità di donna forte, la vera padrona della famiglia. 
Non possono mancare poi tutti gli altri componenti della famiglia allargata con parenti più prossimi ed affini: uno zio che lavora in un ristorante (italiano) e che faceva la cresta rubando farina e burro, un cugino che lavorava in una fabbrica chimica, insomma il quartiere italiano era una sorta di ghetto dove i suoi abitanti vivevano lontano dal resto della società statunitense. 

Puzo ha scritto tre romanzi, il più noto è "Il padrino" che, come lui stesso ha ammesso, ha scritto per fare soldi, ma non sempre ciò che si fa per soldi viene male, anzi sin da subito la critica  accolse  il romanzo molto bene poi le recensioni scritte in suo favore contribuirono a creare un fenomeno che ancora oggi rimane tale. 

La storia di Don Vito Corleone è troppo nota, non la riportiamo, potete trovare dei validi riassunti del racconto, ci soffermiamo invece sugli aspetti letterari, il romanzo ha ritmo, Puzo rende avvincenti anche i momenti in cui avvengono i dialoghi, i personaggi descritti sono cinematografici ma non per questo lontani dalla crudeltà di quelli reali, anzi il fascino sinistro di alcuni di loro (Connie, Michael, Sonny) e, in particolare, di Don Vito, non attenuano il ribrezzo per quella organizzazione che ha e crea consenso in larghi strati della comunità italo-americana. 
Quella della progenie di Don Vito è un'infezione che avviene per contaminazione, un'infezione che ha i suoi riti, il suo linguaggio, le sue leggi non scritte e il suo papa con i suoi cardinali (i consigliori). Nel racconto di Puzo si può parlare di immagine stereotipata della mafia? Forse, ma l'abbraccio tra Don Vito e Tattaglia descritto da Puzo è il rituale di sempre, quello che tutti i boss immancabilmente fanno per suggellare un'alleanza, come lo sono i matrimoni, i funerali, i battesimi ecc. 

Il padrino è rimasto per 67 settimane  il numero 1 nella classifica dei libri più venduti, ogni commento ulteriore è superfluo.

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6 settembre 2012 4 06 /09 /settembre /2012 03:50

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Marcelle Padovani nella nota introduttiva del suo libro intervista ricorda quale fosse l'atteggiamento di Giovanni Falcone nei confronti della morte e osserva che i giornalisti di passaggio a Palermo avevano sempre cercato di sapere come viveva il giudice e se quella situazione di incombente pericolo gli procurasse angoscia.

Non c'è dubbio che Falcone fosse consapevole di essere un bersaglio della mafia che lo voleva morto ritenendo che solo la sua eliminazione fisica potesse togliere di mezzo un pericoloso avversario che, tra le altre cose, conosceva perfettamente il modo di ragionare dei mafiosi. Falcone comunque non si sottrasse mai alla domanda su quale sentimenti provasse dinanzi alla morte e a tal proposito disse:

"Il pensiero della morte mi accompagna ovunque. Ma, come dice Montaigne, diventa presto una seconda natura" (1)

Cosa intendeva dire per seconda natura Falcone? Fu lo stesso giudice palermitano ad esplicitarlo spiegando che pur adottando tutte le precauzioni per evitare di essere colpito, si finisce coll'acquistare "anche una buona dose di fatalismo; e concluse con questa riflessione: "in fondo si muore per tanti motivi, un incidente stradale, un aereo che esplode in volo, una overdoese, il cancro e anche per nessuna ragione particolare"(2).

Falcone aveva nei confronti della morte un atteggiamento che potremo definire stoico, la consapevolezza di essere nel mirino dei mafiosi si accompagnava anche alla certezza che nessuno può sfuggire al suo destino, il suo "in fondo si muore per tanti motivi", da una parte dimostra un lucido fatalismo ma dall'altra parte sembra volere dire "dato che questo è il nostro destino è meglio morire per una causa giusta"; Falcone non pronunciò mai questa frase, ma è inevitabile pensare che il suo senso della giustizia e dello Stato fosse stato così forte che il problema della sua morte era secondario rispetto alla missione che doveva condurre, una missione che -osserva Padovani- era una vocazione per i processi contro la mafia.

Padovani osserva: "L'ironia sulla morte fa parte del retaggio culturale siciliano. Leonardo Sciascia ne era maestro." (3) e riporta l'episodio, raccontato dallo stesso Falcone, di quando un giorno il suo collega Paolo Borsellino  andandolo a trovare a casa, lo invitò a dargli la combinazione della cassaforte,  Falcone gli chiese il perché e Borsellino  gli rispose: "Sennò quando ti ammazzano come l'apriamo?" (4).

Avremo preferito Giovanni Falcone vivo e soprattutto non vorremmo parlare di lui come di un eroe morto, perchè tale non si sentiva e non voleva esserlo; resta un interrogativo: chi avvertì il gruppo di mafiosi pronti a compiere la strage che il giudice Falcone e sua moglie Francesca Morvillo erano appena arrivati  da Roma all'aeroporto di Punta Raisi quel giorno maledetto del 23 maggio 1992? 

Le "menti raffinatissime" lo sanno e sanno anche come spargere confusione e fango in modo che mai si possa arrivare alla verità. E questo non fa bene alla democrazia. 

_______________________________-

  1. Giovanni Falcone, in collaborazione con Marcelle Padovani, Cose di Cosa Nostra, 1995, R.C.S. LIBRI & GRANDI OPERE S.p.A, pag.15.
  2. Ibidem, pag.15.
  3. Ibidem, pag.15.
  4. Ibidem, pag.15.
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5 settembre 2012 3 05 /09 /settembre /2012 06:00

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Album di Caiomario

 

Nel 1991 viene pubblicato un libro intitolato "GIOVANNI FALCONE in collaborazione con Marcelle Padovani COSE DI COSA NOSTRA" che contiene 20 interviste che il giornalista Marcelle Padovani fece al giudice Falcone in occasione di diversi incontri.

Il libro è stato poi pubblicato dal "Corriere della Sera" nel 1995 nella collana "LA BIBLIOTECA DEL CORRIERE DELLA SERA", in questa serie di articoli parleremo del contenuto del libro facendo alcune riflessioni che inevitabilmente ci portano ad un argomento di attualità "la trattativa Stato-Mafia". Nel libro, per evidenti ragioni storiche, non poteva esserci alcun riferimento alla trattativa che si sarebbe verificata tra uomini di Cosa Nostra e rappresentanti delle istituzioni, ma si parla del "potere" e del sistema mafioso e dato che Falcone (come Paolo Borsellino) aveva compreso che gli intrecci mafia e politica erano la linfa che permetteva alla prima di prosperare, il libro mantiene  ancora oggi intatta la sua attualità.

Nel "Prologo alla prima edizione 1991" Marcelle Padovani spiega in che cosa consisteva il cosiddetto "metodo Falcone" e riflette sulla definizione che venne data a Falcone circa il suo impegno nel combattere la mafia: "Nemico numero 1 della mafia".

Marcelle Padovani ricorda una frase che Falcone una volta pronunciò a proposito di questa definizione che non amava e di cui precepiva i possibili pericoli: "Non sono Robin Hood nè un kamikaze e tantomeno un trappista. Sono semplicmente un servitore dello Stato in terra infidelium".

Falcone era conscio del fatto che un magistrato che avesse deciso di combattere in solitario la mafia, sarebbe stato esposto al pericolo di essere eliminato insieme a ciò che conosceva e che se tale eventualità si fosse verificata, avrebbe resa vana ogni lotta. Il cosiddetto "metodo Falcone" partiva  quindi da un semplice ed efficace principio: "condividere le informazioni". Solo un lavoro di gruppo avrebbe consentito di raccogliere la staffetta  delle indagini nel caso in cui qualcuno dei magistrati fosse stato ucciso dalla Mafia.

Ma Falcone era anche consapevole del fatto che non esiste un metodo di indagine valido per sempre "perché -aveva acutamente osservato- le informazioni invecchiano e i metodi di lotta devono essere continuamente aggiornati".

In tempi di polemiche è bene ricordarlo ed è bene rammentare quanto osservava Marcelle Padovani nel prologo al libro: "Quanti sono coloro che oggi si rendono conto del pericolo che essa (la Mafia) rappresenta per la democrazia?".

 

Era il 1991  quando Padovani si faceva questa domanda, ma l'oggi merita una sospensione temporale perché quella riflessione/domanda la dovremo fare tutti, sempre. A partire dai rappresentati politici che non aiutano a comprendere cosa accadde in quella tragica giornata del 23 maggio  1992 a Capaci quando sparì la borsa di Falcone. 

-Continua-

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4 settembre 2012 2 04 /09 /settembre /2012 04:36

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Abbiamo sotto gli occhi la copia del mese di settembre 2011 di "Rolling Stone Magazine" andato in stampa appena si è appresa la notizia della morte della compianta Amy Winehouse; è un numero speciale che abbiamo voluto conservare; la redazione ha commentato con parole che denotano stupore per una notizia che ha colpito tutti e che è giunta così all'improvviso come per Lucio Dalla, il trafiletto posto sotto la sua foto (p.19) merita di essere citato: 

"La notizia della morte di Amy Winehouse ci è piombata addosso come una tranvata mentre stavamo chiudendo questo numero di RS. Abbiamo fatto in tempo a renderle omaggio". 

Dopo aver letto l'articolo tributo a pagina 78, ci siamo resi conto che non è un "coccodrillo" perché trasuda di spontaneità. Il testo di John Eliscu è un omaggio sentito nei confronti della cantante inglese prematuramente scomparsa. Questo numero della rivistia merita di essere conservato tra le nostre carte che  qualcuno  forse un giorno butterà. 

 

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Album di Caiomario


LA STRUTTURA DELLA RIVISTA


 RS si differenzia da altri periodici più tecnici dove prevale l'aspetto musicale: RS è a tutto tondo una rivista in cui si trovano molte interessanti "cover story", ma anche arte, cultura, spettacolo e tutto ciò che la libera creatività umana può produrre. Insomma il contenuto degli articoli non è mai noioso e non scade in tecnicismi che sarebbero comprensibili sono dagli addetti ai lavori.
Nel numero di settembre 2011 si trova, ad esempio, un articolo interessante su Renzo Rosso l'imprenditore proprietario di un noto marchio d'abbigliamento,  che si ispiraal mondo dell'arte per le sue creazioni. Cosa c'entra allora con la musica tutto questo? C'entra eccome. La vita di tutti i giorni non distingue tra generi artistici. La musica è una forma di manifestazione attraverso cui lo spirito umano si esprime ma un disco è fatto anche di arte e nessun "disco che conti" è solo musica, è anche grafica, copertina, studio delle immagini e promozione. 
E così su Rolling Stones trovano spazio insieme agli articoli degli straordinari ritratti in bianco e nero (e a colori) di tanti musicisti, spesso si tratta di foto rarissime che vengono tolte dagli archivi e inserite negli articoli in cui si parla di questo o quell'artista. Ammiriamo un bellissimo ritratto di Paul Simon ritratto sul balcone del socio Art Garfunkel a Manhattan, la foto è dal 1966 e Paul Simon fa un'incredibile tenerezza. 
Questa è anche la bellezza di RS, uno sterminato archivio fotografico in cui si trovano i protagonisti della musica mondiale e una foto vale sempre molto di più anche del migliore articolo scritto con pura onestà professionale. 

 

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IL ROCK&ROLL STYLE 

Il Rock&Roll Style è un'area della rivista gustosissima ricca di curiosità; piace al lettore, ad esempio, il modo in cui un artista viene presentato per il modo di vestirsi, forse poco importa che David Beltran indossi dei sandali fatti a mano dagli Indios di Bogotà, però se l'abito fa il monaco piace sapere che c'è qualcuno che va a comprare uno zaino di pelle nel mercatino di Camden a Londra. 

E poi moto , oggettistica, vintage ecc insomma una carrellata d iquello che deve essere un  perfetto corredo per rocker!!! 

REVIEWS 

É la parte della rivista dove si trovano sono tante anticipazioni su musica, libri, cinema, DVD, Games ecc, una vera e propria miniera di informazioni utilissima a chi si vuole sempre tenere aggiornato senza dover leggere dei lunghi ed estenuanti articoli.

 
PREZZO E ABBONAMENTI

 
Rolling Stones esce con cadenza mensile e costa euro 3,20.

La rivista può essere ricevuta anche tramite abbinamento, il costo annuale in Italia è di euro 32,50 + 2,30 euro di contributo spese di spedizione.

 

ARRETRATI

Per informazioni sui numeri arretrati contattare il seguente numero di telefono:

02-70642280

oppure scrivere al seguente indirizzo e.mail:

arretrati@quadratum.it

Una copia arretrata costa euro 8,50


 

REDAZIONE

RollingStone Magazine, P.za Aspromonte 13 20131 Milano, tel. 02-70642462.

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2 settembre 2012 7 02 /09 /settembre /2012 08:35

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Nel corso della trasmissione Omnibus andata in onda su La7 il 2 settembre 2012 il giornalista Marco Ferrante ha posto un problema che dovrebbe fare riflettere: perché salvare i 460 lavoratori della Carbosulcis e 7 milioni di senza lavoro no? Qual'è il criterio applicato dal governo di rimandare la chiusura  della Carbosulcis in base a quella che per ora sembra solo una decisione presa per calmare le acque? Non c'è dubbio che non ci possono essere figli e figliastri con buona pace dei lavoratori interessati, ci sono 150 tavoli di crisi che vedono coinvolti 180 mila lavoratori, si prevedono circa 30 mila esuberi, una quantità enorme di persone che rischia di essere buttata fuori dal processo produttivo per sempre. Lo Stato ha il dovere di creare le condizioni per far si che vengano fatti investimenti e quindi  che venga creata occupazione, mettere i lavoratori gli uni contro gli altri non giova alla classe operaria e parecchi lavoratori che rischiano di andare a casa si pongono la stessa domanda fatta da Ferrante. In una famiglia un padre che dà da mangiare a un figlio e lascia l'altro  senza mangiare è deprecabile, ma lo è anche figlio che non pensa al proprio fratello.

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Published by Caiomario - in Società
2 settembre 2012 7 02 /09 /settembre /2012 05:20

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È possibile essere autori seriali di  romanzi gialli  riuscendo sempre a scrivere racconti di qualità ? In altre parole un autore può essere prolifico mantenendo sempre alta la tensione e tenendo sempre vivo l'interesse dei lettori? Visti i precedenti illustri, uno su tutti quello di Georges Simenon con la serie infinita di Maigret, la risposta è affermativa, ma senza scomodare il passato un altro esempio emblematico è quello di Andrea Camilleri con il suo commissario Montalbano. Jeffery Deaver rientra nella categoria degli autori che sanno costruire bene le storie e che hanno un grande seguito di affezionati, ha talento ed è vicino al gusto dei lettori moderni.

"La strada delle croci" forse non è il miglior racconto di Deaver ma bisogna riconoscere che l'autore statunitense riesce sempre a tenere alta la suspence intessendo storie originali che sanno leggere ed interpetare molti aspetti della realtà. Deaver non è Simenon, è meno artistico ma non è mai in crisi di ispirazione e sa spiazzare, quel che basta per essere un buon autore di thriller; se poi al racconto si unisce l'aggancio con la realtà, la prospettiva per il lettore si fa ancora più interessante.

Ma procediamo con ordine: tutto ha inizio con una croce posta lungo una strada dove è apposta una data postuma, la croce è stata eretta per commemorare la vittima di un incidente stradale, la morte non si è veirificata ma è annunciata.  Lungo la strada vi sono altre croci e tutte hanno la stessa caratteristica: preannunciano delle morti che si verificheranno. Uno scherzo, una coincidenza o il disegno di un serial killer? I sospetti cadono su Travis Brigham, un diciasettenne appassionato di internet che diventa oggetto di pesanti accuse da parte di un blogger, tale Chilton  che lo incolpa di essere il responsabile di un incidente stradale che ha provocato la morte di due sue amiche.

Le indagini  per scoprire l'assassino sono condotte da Kathryn Dance, un'investigatrice del California Bureau of Investigation esperta nella decodificazione del linguaggio corporeo, dallo sceriffo Michael O'Neill e dal consulente informatico John Boling. Una triade  ben assortita che ha un solo obiettivo: scoprire il serial killer e farlo nel più breve tempo possibile......

Fin qui una trama avvincente, ben costruita e degna delle migliori aspettative da parte degli amanti del genere; alcuni lettori si aspettavano maggiore velocità d'azione e hanno rimproverato a Deaver di avere rotto il ritmo del romanzo con pause che tolgono suspence e mordente. Non siamo d'accordo, la lotta contro il tempo e la velocità non sono affatto sinonimo di racconto convincente. Il lettore ha bisogno di elaborare e di pensare, non solo di consumare un racconto che corre veloce come una macchina nell'autostrada; "La strada delle croci" è un libro abbastanza inquietante senza che la scia delle morti  abbondanti faccia perdere di vista altri aspetti che inducono alla riflessione chi ne affronta la lettura. Le accuse ad esempio che il giovane Travis riceve dal blogger assomigliano alla famosa aria del Barbiere di Siviglia che recita: "La calunnia è un venticello, un’ auretta assai gentile che insensibile sottile leggermente dolcemente incomincia a sussurrar. Pian piano terra terra va scorrendo va ronzando: nelle orecchie della gente s’introduce destramente e le teste ed i cervelli fa stordire e fa gonfiar..". 

La differenza però tra la "poesia" di Rossini che diede una certa dingità artistica alla calunnia e quella descritta da Deaver, merita una riflessione: cambiano i sistemi di comuinicare ma l'istinto di inoculare il sospetto è sempre una tentazione che hanno alcuni individui che spesso trascinano nel baratro  del sospetto persone del tutto estranee a questa o quell'accusa. Non è la rete il problema, la rete velocizza ma non ha inventato il vizio della calunnia,  la pratica delle lettere anonime è simile a quella di chi  lancia accuse da un blog nascosto dietro un alias che gli garantisce un certo anonimato, ma l'intento è il medesimo. Deaver facendo riferimento alla realtà dei social network ha bisogno di  inserire qualche  momento di pausa e ne ha bisogno anche  il lettore che saprà apprezzare la presenza di  diversi elementi di originalità. Non è solo  il colore grigio della morte a rendere interessante un thriller.

 

 

SCHEDA DEL LIBRO

  • Titolo: La strada delle croci
  • Autore: Jeffery Deaver
  • Editore: RL libri
  • Collana Superpocket Best thriller
  • Anno di pubblicazione: 2012
  • Pagine:498
  • Prezzo di copertina. Euro 6,90
  • EAN 9788846211279

 

 

La strada delle croci

 

 

 

 

 

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1 settembre 2012 6 01 /09 /settembre /2012 18:55

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L'ALTRO ASIMOV, NON SOLO FANTASCIENZA

Isaac Asimov è conosciuto soprattutto per aver scritto una grande quantità di racconti di fantascienza, fu uno scrittore fecondo e un creatore di un genere, tuttavia non può essere definito il padre della fantascienza che a pieno titolo spetta a Jules Verne, il primo in assoluto che si servì della finzione scientifica per raccontare storie fantastiche. 
E' un percorso lungo quello che bisognerebbe fare per cercare le radici di questo interesse della fantasia letteraria verso la scienza, ma crediamo che il problema sia mal posto in quanto non è la letteratura che si è proiettata verso ardite supposizioni scientifiche quanto la scienza che ha bisogno di fare ipotesi che spesso sono il preludio di nuove scoperte. 
Prova di questo andamento è lo spirito rinascimentale che ha trovato la sua incarnazione in Leonardo Da Vinci, forse il più fantascientifico degli scienziati di ogni tempo. 
Basta scorrere le figure presenti nel Codice Atlantico per scoprire quanto di fantascientifico c'era nelle supposizioni di Leonardo da Vinci che aveva una caratteristica che possiamo anche ritrovare negli scritti di Asimov in cui la scienza si confonde con la fantascienza: il labile confine che esiste tra i due ambiti è tale solo quando la fantascienza non si è svelata in scienza. 

Riteniamo quindi che la lettura delle opere di Asimov debba andare al di là della semplice fruibilità del racconto; questo vale soprattutto nei confronti di chi ha conosciuto Asimov negli anni '70 leggendo la fortunata serie di racconti pubblicati nella collana Urania
Ricordiamo che nello stesso periodo venivano pubblicate tutta una serie di riviste e di fumetti che vivevano di quello spirito fantascientifico spesso al limite del trash e dell'inverosimile, una di queste riviste proponeva addirittura degli oggetti fantascientifici come, ad esempio, gli occhiali a raggi X che promettevano di vedere oltre i vestiti. 
Si trattava ovviamente di una delle più colossali bufale in cui sono cadute migliaia di persone (soprattutto gonzi di sesso maschile) che speravano di poter vedere magari la propria vicina di casa completamente svestita. 
Con gli occhiali a raggi X Isaac Asimov non c'entra niente come non c'entrano niente Leonardo e Jules Verne, ma molti di quelli che leggevano l'Intrepido dove venivano pubblicizzati i famosi occhiali, spesso compravano anche Urania, segno di una predisposizione verso l'inverosimile? Probabilmente si, del resto la fortuna di Star Trek deriva anche da quelle frequentazioni fantascientifiche. 

Non deve pertanto stupire, fatte queste premesse, scoprire un altro aspetto della complessa personalità di Asimov,legato al suo interesse nei confronti della scienza e della filosofia, senza questo interesse probabilmente non ci sarebbero stati quei racconti. 

"L'universo invisibile. Storia dell'infinitamente piccolo dai filosofi greci ai Quark" è una delle opere scientifiche più importanti di Isaac Asimov che non bisogna dimenticare era un professore universitario esperto di biochimica; il libro non può essere tuttavia liquidato come un'opera di  divulgazione scientifica in quanto, attraverso la storia dell'infinitamente piccolo, Asimov riflette su come si è evoluto l'approccio dell'uomo nei confronti della materia. 
Il confine tra l'infinitamente piccolo e l'infinitamente grande è solo apparente e prima di essere affrontato scientificamente necessita di un approccio filosofico: i primi che avanzarono delle ipotesi sull'infinitamente piccolo furono i greci Leucippo e Democrito d'Abdera, quest'ultimo in particolare fu il fondatore di una delle più importanti accademie scientifiche del mondo antico, probabilmente Asimov si sentiva di raccogliere l'eredità del fondatore dell'atomismo che prima di essere scienziato fu un epistemologo che per primo avanzò una teoria della conoscenza. 
Asimov in 300 pagine condensa la storia di qull'universo invisibile dalle origini fino ai giorni nostri: di particolare interesse la parte che riguarda la fisica quantistica. 
La lettura del libro è consigliata a tutti soprattutto perchè l'argomento è affrontato senza cadere nelle tentazione di usare un linguaggio tecnico specialistico non accessibile a tutti. 


La fantascienza ha bisogno della scienza per narrare storie fantastiche.

 

SCHEDA DEL LIBRO

  • Titolo: L'universo invisibile. Storia dell'infinitamente piccolo dai filosofi greci ai Quark
  • Autore: Isaac Asimov
  • Editore: Mondadori
  • Collana Oscar saggi volume 392
  • Anno di pubblicazione: 1994
  • ISBN 8804390816, 9788804390817



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Published by Caiomario - in Libri
1 settembre 2012 6 01 /09 /settembre /2012 17:11

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Non sempre l'acquirente o il consumatore di pesce è in grado di stabilire se un pesce è fresco oppure no, ma cosa bisogna osservare per verificarne la freschezza?

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1) In primo luogo l'odore, il pesce generalmente non profuma ma deve avere odore di mare, è il primo indicatore che permette di sapere se il pesce è andato oppure no.

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2) Il corpo deve essere rigido e la carne non deve essere molliccia, ma elastica, il modo migliore per verificare se il pesce possiede questo requisito è esercitare una leggera pressione con un dito.

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3) L'occhio è un altro elemento che permette di valutarne la freschezza, osservatelo, deve sporgere fuori dalla cavità oculare.

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4) Le squame non si devono staccare dal corpo.

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5) Le branchie devono avere un colore rosso bordeaux

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6) Il colore deve cambiare quando si gira il pesce, si deve modificare in funzione dell'angolo della luce.

 

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