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12 giugno 2018 2 12 /06 /giugno /2018 04:19

Gli esseri umani pensano, e sanno di pensare
Baruch Spinoza

Ethica ordine geometrico demonstrata

Spinoza -  La mente dell'uomo

Nel secondo libro dell'Ethica che ha per titolo De mente, l'argomento affrontato è quello dell'uomo, l'obiettivo di Spinoza è quello di fare conoscere la "Mente umana e la sua suprema beatitudine".

L'uomo è formato da cogitatio ed extensio: La filosofia spinoziana è un panteismo in cui il molteplice delle  cose non è altro che un procedere dalla Natura (Dio) e tra gli infiniti modi della sostanza-divina vi è l'uomo composto di anima e corpo. L'uomo è formato da cogitatio ed extensio, ossia da mente e corpo, questo rapporto tra cogitatio ed extensio rispecchia perfettamente l'essenza divina: l'extensio è la parte esteriore e la cogitatio la parte interiore

Il corpo:  Il corpo è extensio, cosa  estesa, una manifestazione circoscritta e individuabile dell'essenza divina, appartenendo alla sostanza-divina procede necessariamente da essa; ciò significa che venendo a mancare questo rapporto il corpo non potrebbe esistere.

La mente: L'altro attributo che è parte costitutiva dell'uomo è l'anima, uno dei modi infiniti in cui si manifesta l'essenza divina, Spinoza afferma che l'Idea è un concetto della Mente ed usa il termine "concetto" in quanto questo indica  attività mentre se avesse usato il termine "percezione" avrebbe indicato in qualche modo una forma di passività della Mente nei confronti dell'oggetto, cosa impensabile per la Mente.

Il rapporto tra idea e corpo: Il rapporto tra corpo e mente, ossia tra cogitatio ed extensio è rapporto tra idea ed ideatum, ad ogni idea corrisponde un ideatum, anche per quanto riguarda  il rapporto tra corpo ed anima ci troviamo davanti ad un dualismo che ci rimanda immediatamente a Cartesio, ma Spinoza risolve rapporto nell'unità, la corrispondenza tra idea ed ideatum è assoluta in osservanza al principio basilare della filosofia di Spinoza: Ordo et connexio idearum idem est ac ordo et connetio rerum.   

L'esistenza degli esseri umani: Ogni essere umano esiste non necessariamente, nell'ordine della natura può accadere che questo o quell'essere umano esistano oppure no, si tratta pertanto di un'esistenza contingente che è dovuta all'infinita combinazione e concatenazione della cause.

Come funziona la mente umana: Spinoza spiega dettagliatamente come avviene il processo conoscitivo dell'uomo seguendo la tradizione neoplatonica della gerarchia dei gradi si parte da un grado minore dell'azione penetrativa per arrivare al grado supremo: immaginatio, ratio, intellectus.

  1. Immaginatio: con questa parola Spinoza si riferisce al complesso delle azioni percettive in cui l'idea è presente nel fatto singolare in modo confuso ed inadeguato. Quando l'uomo si affida alla sola immaginatio cade nell'errore;
  2. Ratio: con questo vocabolo Spinoza si riferisce all'insieme dei giudizi e dei ragionamenti con cui si perviene ad una conoscenza ordinata, coerente ed organizzata dei fatti del mondo.
  3. Intellectus: termine con il quale Spinoza indica il momento in cui avviene la conoscenza penetrativa e immediata della realtà nella sua unità assoluta ossia nella sostanza-divina.

La conoscenza del primo tipo è causa di cognizioni false, mentre la conoscenza del secondo e del terzo tipo sono necessariamente vere e permettono di distinguere il vero dal falso.

Quando un'idea è vera: per Spinoza un'idea è vera quando è adeguata ed è adeguata l'idea di "chi conosce veramente una cosa", avere un'idea vera significa conoscerla perfettamente ed avere la piena consapevolezza di saperlo oppure di conoscerla nella maniera migliore, Spinoza dice: "deve essere certo di sapere davvero quel che sa". Non si può sapere di conoscere una cosa se prima non la si conosce. Nella proposizione 35 Spinoza spiega chiaramente che un'idea falsa conduce all'errore che si può definire come un difetto di conoscenza ( Spinoza usa indifferentemente le espressioni: difetto di vero o privazione di conoscenza), l'errore quindi non dipende solo dall'immaginazione ma dall'ignorare, dal non sapere esattamente i termini di una questione.

La Mente umana non è libera: nella Mente -sostiene Spinoza- non vi è alcuna volontà libera e indipendente in quanto l'atto di volizione è sempre in relazione a questa o quella causa "la quale è a sua volta determinata da un'altra, eccetera". L'uomo non è libero perché non è libera la sua volizione e perché è mancante della "facoltà assoluta o indipendente di capire, di desiderare, di amare eccetera". L'uomo non possiede la volizione ma manifesta la sua attività nelle singole volizioni, in singole affermazioni o negazioni legate a questo o quel momento.

L'unica conoscenza che conta: Spinoza, dopo aver ribadito che con la sua argomentazione ha dimostrato come il nostro volere dipenda da Dio e che siamo partecipi della natura divina,  conclude il secondo libro affermando che la dottrina esposta non solo rende l'animo più tranquillo ma ha il pregio di insegnarci in che cosa cosa consista la nostra suprema felicità Beatitudine: la conoscenza di Dio. Ed è da tale conoscenza che siamo mossi verso l'amore e il senso del dovere.

Come comportarsi davanti alle cose fortuite della vita: Spinoza affronta questo argomento con lo spirito dello stoico antico, mostrando una saggezza senza tempo che porta giovamento non solo al singolo ma anche alle relazioni dell'individuo con il prossimo e quindi con l'intera collettività.(" Questa dottrina giova alle relazioni sociali in genere in quanto insegna a non odiare né disprezzare né deridere alcuno, a non adirarsi con alcuno"). Come comportarsi quindi davanti agli eventi fortuiti della vita? Come reagire dinanzi alla fortuna o alla sfortuna? Semplicemente accettando ciò che accade senza patema d'animo, tutto ciò che accade (eventi fortunati o no) "procedono dall'eterna determinazione di Dio" e questo procedere è necessario esattamente come "dalla natura del triangolo procede che la somma dei suoi tre angoli interni equivalga a due angoli retti". Non seguire questo insegnamento sarebbe da stolti. 

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Published by Caiomario - in Filosofi: Spinoza
11 giugno 2018 1 11 /06 /giugno /2018 15:37

Con quanto precede ho spiegato a sufficienza ciò che mi ero proposto come primo punto. Per mostrare ora che la natura non ha alcun fine che le sia stato prefissato, e che tutte le cause finali non sono invenzioni umane, non ci vuol molto.

Spinoza -  Nelle cose non c'è un ordine finalizzato per gli umani

Nel libro 1 dell'Etchica ordine geometrico demonstrata, Spinoza affronta uno dei temi che da sempre appartengono all'umano pensare e che potremmo sintetizzare in questa domanda: "tutto ciò che accade nel mondo segue un ordine". Esiste per così dire una spiegazione a ciò che accade nel mondo e questo non vale solo per i fatti e gli eventi della natura ma anche per la vita del singolo individuo. Questo tema è stato da sempre oggetto di riflessione da parte di filosofi, teologi e scienziati ma, in modo molto più semplice, viene affrontato in modo poco sofisticato dall'uomo comune che non eccelle nella speculazione o che non ha preparazione filosofica; poco importa se il quesito è stato affrontato dando delle risposte più o meno confortanti, ciò che interessa nel nostro riflettere è che l'uomo non può non chiedersi perché esista il Bene e il Male.

Spinoza riflettendo su questo comportamento che potrei definire connaturato all'essenza stessa dell'essere umano fa diverse riflessioni che a loro volta ne suggeriscono altre; in primo luogo Spinoza constata che: "Essendosi persuasi che tutto ciò che accade è finalizzato a loro, gli umani hanno dovuto arrivar a giudicare che in ogni cosa il più importante è ciò che è più utile a loro, e che le cose più eccellenti sono quelle che danno a loro maggior piacere. Su questa base essi hanno, logicamente, dovuto formare le nozioni con le quali potere spiegare la natura delle cose: cioè le nozioni di Bene, di Male, di Ordine, di Confusione, di Caldo, di Freddo, di Bellezza, di Bruttezza; e dalla convinzione di esser liberi, che essi hanno, sono poi sorte le nozioni di Lode e di Biasimo, di Peccato e di Merito. Di queste ultime nozioni mi occuperò più avanti, dopo avere trattato della natura umana; qui invece spiegherò brevemente le prime. Gli umani dunque hanno chiamato Bene tutto ciò che favorisce la salute e inclina al culto di Dio, e Male ciò che è contrario a queste cose" (1)

Gli essere umani pensano che tutto ciò che è utile è stato finalizzato per loro e che è Bene tutto ciò che favorisce la salute e inclina al culto di Dio e che il Male è il loro contrario. Nel linguaggio comune si dice spesso "Esiste il Bene" oppure "Esistono sia il Male che il Bene", in entrambi i casi gli esseri umani hanno elaborato una nozione di Bene e di Male che è la risultanza non solo di un insieme di valori condivisi e convissuti ma può essere anche il frutto di una loro elaborazione personale. Spinoza si spinge oltre notando che gli esseri umani sono portati a trovare un ordine nelle cose e che imputano questo ordine alla scelta di Dio, questo accade da sempre come da sempre accade che siamo portati a definire buona (Bene) o cattiva una cosa (Male) in base a come ne veniamo toccati. Una sensazione di benessere derivante da questa o quell'azione viene giudicata come buona mentre il dolore fisico come un qualcosa di cattivo e di negativo. Tuttavia resta senza soluzione il fatto che la nozione di Bene e quella di Male non hanno una valenza per così dire universale: molte cose giudicate cattive dagli uni sono giudicate cattive dagli altri.

Spinoza si pone una domanda che dovrebbe farci riflettere: se il Bene nella sua accezione di ciò che è utile e reca piacere è scaturito dalla mente perfettissima di Dio, da dove viene il Male? A tal proposito Spinoza si pone questa domanda:

 

"Molti infatti sogliono argomentare così: Se tutte le cose sono uscite dalla necessità della perfettissima natura di Dio, di dove provengono dunque alla natura tante imperfezioni: le cose che si guastano fino a puzzare, le cose tanto brutte da suscitare la nausea, il disordine, il male, il peccato, eccetera?" La risposta fornita da Spinoza mi permette di fare alcune riflessioni: Spinoza dice che tutto deriva da Dio e in questo tutto si va dal grado più infimo al grado più supremo, in questo e solo in questo sta la perfezione di Dio. Proviamo a sostituire alla parola Dio la parola natura,ovviamente compieremmo un artificio che Spinoza non ammetterebbe in quanto la natura o le nature, per usare il suo linguaggio, non sono intercambiabili con Dio, questo però solo all'apparenza perché le cose sono dei modi di manifestarsi della Sostanza. Tuttavia dato che questa sostituzione è funzionale al nostro discorso ammettiamo questa "licenza" e potremmo constatare che l'alternarsi della vita e della morte fa parte dell'ordine naturale delle cose, esattamente come il dolore e il piacere. Non esiste quindi e non si può non concordare con Spinoza che non esiste una finalità della natura.

Sull'origine del Bene e del Male sono state scritte così tante parole che ci vorrebbero più vite solo per leggere una piccola parte di queste riflessioni, ma ciò che dovrebbe fare pensare è il fatto che l'uomo cerca di spiegare tutti i fenomeni che non comprende con una serie di ragionamenti astratti e con delle giustificazioni inventate frutto della sua immaginazione. I fatti che rispondono alle leggi della natura comprendono il Bene e il Male, il piacere e il dolore e spesso non riusciamo a vedere che in maniera equa ed inesorabile a queste leggi nessuno si può sottrarre.

 

 

 

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Published by Caiomario - in Filosofi: Spinoza
11 giugno 2018 1 11 /06 /giugno /2018 11:12

Le cose non potevano affatto essere prodotte da Dio in alcuna maniera e in alcun ordine diversi da quelli in cui sono state prodotte - Baruch Spinoza

Ethica ordine geometrico demonstrata

Spinoza -  La sostanza, Dio e il mondo

Ethica ordine geometrico demonstrata è l'opera principale di Baruch Spinoza, si compone di 5 libri (De Deo, De mente, De affectibus, De servitute humana, De libertate); l'opera venne composta presso l'Aia dove il filosofo si ritirò, venne pubblicata per la prima volta nel 1677, anno della sua morte.

Il proposito della riflessione filosofica di Spinoza è quello di trovare una soluzione al problema della vita, vale a dire di raggiungere la Libertà 1 questo obiettivo è anche il punto di partenza in quanto il suo proposito è quello di fornire un'etica nel senso di dare una dottrina della condotta umana che trovi la sua stessa giustificazione nei suoi fondamenti. Il proposito di Spinoza è quello di illustrare una metafisica e una gnoseologia incentrata su Dio e l'uomo; il mondo, la realtà esterna non viene esaminata separatamente in quanto la sua trattazione è inclusa in quella di Dio. In base all'ordine dell'opera Spinoza tratta i seguenti argomenti:

  • Dio

  • L'uomo nella sua struttura e natura – (La mente umana)

  • La vita affettiva dell'uomo – (Sentire e sapere)

  • La sua schiavitù di fronte alle passioni – (Sottrarsi al selvaggio)

  • La sua liberazione dalle passioni attraverso la condotta morale - (Vivere liberi).

 

Dio e il mondo: il primo libro ha come argomento Dio, in realtà insieme a Dio viene inclusa la trattazione del mondo, perchè questa scelta? Spinoza vuole dare una visione unitaria della realtà e per risolvere il probema dell'unità deve superare il dualismo cartesiano, ciò che Cartesio divide, Spinoza unisce: Dio e mondo fanno parte di un unico universo.

Dio come unità: Quando Spinoza parla di Dio, parla dell'universo, della natura, della realtà nella sua complessità; questa concezione totalizzante dell'universo nasce dall'esigenza di oltrepassare i rigidi dualismi presenti nelle riflessioni filosofiche precedenti. Spinoza afferma che Qualsiasi cosa, che sia, è in Dio, e facendo astrazione da Dio niente può esistere né esser pensato" 2. Ogni cosa deve essere ricondotta all'unità, non devono esserci opposizioni e divisioni e per raggiungere questo obiettivo Spinoza elabora un rigoroso procedimento logico che segue, almeno sul piano formale, l'impianto della scienza matematica.

Sostanza: Cos'é la sostanza per Spinoza? Per definirla, egli parte dal concetto di sostanza di Cartesio il quale definiva la sostanza come “una cosa che esiste in modo da non aver bisogno di nessun'altra per esistere”. Cartesio quando afferma che la sostanza non ha bisogno di nessun'altra cosa per esistere può essere soggetta a due intepretazioni: la prima è che se la sostanza non ha bisogno di niente, esiste di per sé e non è quindi una proprietà, lasecondaè che la sostanza è assolutamente autonoma ed indipendente. In entrambi i casi rimane un equivoco di fondo in quanto se Cartesio sembra propendere per una definizione di sostanza come res in se et per se , dall'altro lato la stessa definizione sembra essere quella di una res a se. Ciò che Spinoza rigetta nella concezione cartesiana di sostanza è il fatto che per Cartesio la sostanza è res cogitans ma dall'altro lato vi oppone la res extensa, ossia fa rientrare in tutto ciò che non è res cogitans la realtà corporea che è dotata di estensione. Il dualismo cartesiano e l'ambiguità su evidenziata viene superata da Spinoza con questa definizione: “Per substantiam intelligo id, quod in se est, et per se concipitur: hoc est id, cuius conceptus non indiget conceptu alterius rei, a quo formari debeat3.

 

Nella definizione data da Spinoza vanno tenuti in considerazione due elementi:

 

  1. La sostanza è una realtà che può esistere ed essere pensata in modo assolto, non c'è quindi alcuna necessità, nessun obbligo, nessun condizionamento. La sostanza esiste in sé, non necessita di accidenti, è autonoma, non è soggetto di proprietà come la intendevano gli scolastici ma è causa sui.

  2. La sostanza è un concetto che non ha bisogno di una altro concetto per essere definita. La sostanza è causa sui, che significa? Spinoza non intende dire che la sostanza è causa di se nel senso che produce se stessa, non si tratta quindi di una causa effettuale ma è causa sui nel senso che non ha bisogno di niente altro da sé per essere pensata.

 

Si potrebbe obiettare che già nella definizione di Cartesio vi era questa definizione e che quella di Spinoza non rappresenta una novità, tuttavia è bene tenere presente che Spinoza spinge sulla assolutezza della sostanza e sulla sua irriducibile autopensabilità. L'unicità della sostanza come pensiero autopensante è l'Assoluto, l'unico Tutto e Spinoza quando parla di sostanza come assoluto intende Dio e la Natura.

Per superare Cartesio non oppone alla sostanza autopensante il mondo nella sua estensione ritenendo che la res cogitans e la res extensa non sono due sostanze ma sono due attributi della stessa sostanza: i due attributi sono due aspetti del Tutto.

Dio e il mondo: la realtà esterna, ciò che noi comunichiamo mondo non è frutto della creazione intesa in senso biblico né può essere intesa come una emanazione ma è un modo di esprimersi, il rapporto esistente fra Dio e il mondo è necessario, Dio è la Natura dinanzi alle altre nature.

I modi: i molteplicità delle nature procede dalla Natura sono dei modi della sostanza divina, Dio è infinito e indeterminato, le nature che derivano da Dio sono invece determinate e limitate. Dio è il fondamento di ogni cosa, è il tutto e le nature sono dei modi, dei fenomeni in cui si manifesta. Dio in quanto fondo delle nature ha una funzione attiva, Natura naturans, mentre i modi hanno una funzione passiva, natura naturata. La molteplicità delle cose procede dalla Natura (Dio), si tratta di determinazioni-limitazioni della sostanza divina che si manifestano in modo concreto. Se Dio è indeterminato e illimitato e le cose sono invece determinate e limitate, il molteplice (il mondo) non può essere un complesso di realtà separate dalla Sostanza ma è la stessa Sostanza, è per così dire un  momento esterno in cui si manifesta Dio.

La legge di necessità: le nature (i modi) sono legate alla Natura (Dio) da un rapporto obbligante: tutto nella natura avviene ferreamente, - dice Spinoza - senza contingenza e senza libertà e senza miracoli. Che significa questo? Spinoza intende dire che ciò che avviene nella natura non può non avvenire, i modi non sono quindi una possibilità ma una necessità accade in modo ineluttabile. Il molteplice accade nell'Uno è dell'Uno, l'Uno e il molteplice non stanno in opposizione ma sono un'unità che si dispiega secondo le leggi della geometra.

Spinoza afferma che "Dio è causa efficiente (cioè causa senza la cui attività è impossibile che una cosa sia) di tutte le cose che possono comprendersi od essere espresse da un intelletto infinito" (4).

Dio quindi agisce secondo la legge della  sua natura senza costrizione esterna, non esiste perciò alcuna causa esterna che lo possa costringere ad agire, se si ammette invece che Dio nella sua infinita onnipotenza possa creare o non creare, se così fosse si ammetterebbe una natura limitata di Dio o per lo meno obbligata verso l'esterno. Dio ha creato le cose come sono e nella sua infinita perfezione ha osservato esclusivamente la sua natura perfetta. Pertanto pensare che se avesse Dio creato tutto ciò che è nel suo intelletto, non avrebbe potuto creare niente altro e che quindi sarebbe stato imperfetto.

Nella proposizione 33, Spinoza afferma: "Le cose non potevano affatto essere prodotte da Dio in alcuna maniera e in alcun ordine diversi da quelli in cui sono state prodotte". Tutte le cose sono derivate da Dio per necessità, significa che l'esistenza di una cosa è una conseguenza necessaria, niente potrebbe essere prodotto in maniera diversa da come è stato prodotto in quanto la natura di Dio è perfettissima, solo ammettere un'opzione significherebbe affermare che la volontà di Dio può essere diversa da quella che è. Spinoza procede con un'argomentazione logica (e teologica) inattaccabile: se è vero infatti che tutto dipende dalla volontà di Dio. è altrettanto vero che supporre che Dio potesse fare le cose in modo diverso significherebbe ammettere l'esistenza di una volontà di Dio diversa da quella che ha, il che significherebbe contraddire l'essenza stessa di Dio, essenza di Dio che corrisponde suo potere. Tutte le cose perciò sono in Dio  e astraendo da Dio non potrebbero né esistere né essere pensate.

 

________________________________________________________________

  1. Per Libertà, Spinoza intende la Libertà della mente o Beatitudine – Vedi la parte 5 intitolata “Vivere liberi” in http://www.ousia.it/SitoOusia/SitoOusia/TestiDiFilosofia/TestiHTML/Spinoza/Etica/Etica.htm - Il testo è stato tratto dal sito http://www.foglio spinoziano.it, la traduzione dal latino in lingua italiana è ad opera di Renato Peri.
  2. Ibidem, prop.15.
  3. Per Sostanza intendo una realtà che sussiste per sé ("causa di sé": vedi sopra) e che può essere pensata assolutamente, cioè senza bisogno di derivarne il concetto da quello di un’altra realtà.
  4. Ibidem Conseguenza 1ª

 

 

 

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Published by Caiomario - in Filosofi: Spinoza
10 giugno 2018 7 10 /06 /giugno /2018 05:39
Leibniz-  Le argomentazione per provare l'esistenza di Dio

Nella concezione filosofica di Leibniz, Dio è la Monade che si trova al grado supremo, in cui è suprema pure l'autocoscienza. Gli argomenti portati da Leibniz per dimostrare l'esistenza di Dio sono di tipo logico-deduttivo e hanno una forte impronta aristotelica. Le argomentazioni avanzate da Leibniz sono quattro:

 

  1. Argomento a posteriori o dai contingenti (verità di ragione): le cose e i fatti sono contingenti vale a dire non hanno in sé la ragione del loro esistere, pertanto bisogna giungere all'Ente necessario, Dio, che possiede in sé la ragione del suo essere, Dio spiega sé stesso (causa sui).
  2. Argomento delle verità eterne o dai possibili (verità di ragione): l'argomentazione avanzata è analoga alla precedente, dato che le verità di ragione sono essenze possibili aventi la tendenza alla realizzazione, non posseggono in sé la spiegazione della loro possibilità. Si deve allora giungere ad una verità eterna che possiede in sé la ragione della sua possibilità radicale.
  3. Argomento ontologico: l'argomento  dell'essere perfetto sembra ricalcare l'argomentazione di Cartesio ma Leibniz specifica che un essere per essere perfetto deve essere pensabile e pensato. Dio è pensabile ed è possibile, nel senso che il suo concetto non contraddice sé stesso, se Dio non esistesse non sarebbe possibile concepirlo, il possibile è tendenza ad esistere quindi Dio esiste.
  4. Argomento dell'armonia prestabilita: è un'argomentazione tipica di Leibniz, la teoria dell'armonia prestabilita in base alla quale l'armonia che esiste tra le monadi è prestabilita da Dio nel momento in cui iniziano ad esistere. Non si potrebbe spiegare l'armonia prestabilita se Dio non l'avesse posta una volta per tutte.

 

Nella riflessione filosofica di Leibniz le argomentazioni avanzate sono tutte inficiate da premesse indimostrabili e che sono date per vere dallo stesso Leibniz, tuttavia per quanto riguarda il secondo argomento (le verità eterne)  di chiara origine agostiniana, il concetto di possibilità sembra quello più interessante anche se il termine possibile assume in Leibniz un significato particolare nel senso che viene concepito come un ente mentale (un pensato obbligato e non contradditorio nei suoi elementi costitutivi) che è proteso verso l'esistenza. Quando si parla di possibilità in Leibniz non bisogna confondere tale termine con un atteggiamento possibilista contrario a posizioni deterministe. La possibilità di cui parla Leibniz è una attività tipica di Dio, Monade suprema, dal cui possono ( o non possono) scaturire tutte le altre monadi.

Per spiegare l'esistenza delle monadi che scaturiscono da Dio, la Monade suprema, Leibniz parla di folgorazione: le monadi scaturiscono da Dio e riflettono la natura di Dio, ogni monade è specchio del mondo. Dio è Autocoscienza, Appercezione assoluta, Perfezione ma anche per Dio vale il principio di ragion sufficiente, nella sua assoluta Libertà poteva anche non dare origine alla realtà esistente. Dio è perfetto ma il mondo che ne scaturisce non possiede la sua perfezione, tuttavia la sua scelta ha dato come risultato il migliore dei mondi possibili, se così non avesse agito avrebbe contraddetto il principio di ragion sufficiente mortificando la sua intelligenza perfetta. Su Dio e il migliore dei mondi possibili, Leibniz ricorre ad un'argomentazione che configura l'azione di Dio come obbligata, libera di scegliere, ma soggetta al principio di ragion sufficiente quindi in un certo senso obbligata. Si comprende la difficoltà di Leibniz di osservare sino in fondo un ragionamento coerente esente da critiche ma gli strumenti della logica sono da valutare sempre in relazione alle possibilità del pensiero umano che dinanzi alle verità ultime si trova ad agire  in un  terreno scivoloso dove è facile cadere in contraddizione.

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Published by Caiomario - in Filosofi: Leibniz
10 giugno 2018 7 10 /06 /giugno /2018 03:36
Leibniz - La struttura dell'uomo e la libertà

La struttura dell'uomo: Per il platonismo l'uomo è un'anima che si serve del corpo, per il cartesianismo è un pensiero che si trova ad abitare nel corpo, per Spinoza è un parallelo tra idea e ideato, per Malebranche è un ammasso di cose inerti su cui Dio agisce, per Leibniz l'uomo è un composto di monadi dove la monade dominante è l'anima razionale dotata della percezione al suo massimo livello: l'appercezione.

L'uomo e la libertà: Come la percezione tende all'uomo in modo chiaro e distinto, manifestandosi in un atto riflessivo consapevole in cui l'uomo raggiunge la piena consapevolezza, così l'appetizione è una tendenza alla volontà, un impulso istintivo che spinge l'uomo a ricercare la libertà. Dato che la libertà è intesa come un conatus vale a dire come un atto che tende a, è nel contempo un tendere verso il passato e un protrarsi verso il futuro. Proprio tale caratteristica pone il problema della scelta libera svincolata che Leibniz risolve affermando che il volere non deve essere obbligato e che la libertà non può essere concepita come indeterminazione assoluta ma deve svolgersi entro il principio di ragion sufficiente.

Libertà e ragione sufficiente: la scelta non può mai indirizzarsi verso atti contrari alla ragione, così come è inconcepibile un volere senza motivi o una scelta per un motivo meno buono di un altro. Se vi è libertà di scelta tra più motivi, questa deve indirizzarsi verso il motivo più buono. Un atto libero perciò non è mai obbligato, ma  segue il principio di ragione sufficiente optando in modo razionale tra una serie di motivi e scegliendo quello che risulterà più buono.  

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Published by Caiomario - in Filosofi: Leibniz
9 giugno 2018 6 09 /06 /giugno /2018 20:37
Leibniz - Le verità di fatto

Se il principio che regola le verità di ragione è il principio di contraddizione, quello che regola le verità di fatto è il principio di ragion sufficiente in base al quale "nihil fit sine ratione sufficiente - Niente accade senza una ragione sufficiente". Un giudizio è sufficiente quando basta a giustificare un giudizio di fatto, si tratta di un principio giustificativo che a differenza delle verità di ragione non è assolutamente necessario ma è determinato. Ciò significa che non è possibile affermare con certezza che il predicato appartenga al soggetto ma è pensabile che vi appartenga. Mentre le verità di ragione appartengono al mondo logico e in particolare a quello della matematica, le verità di fatto hanno a che fare con il mondo reale. 

Il principio di ragione sufficiente vale non solo per le verità di fatto ma anche le verità di ragione, entrano, ad esempio, nella sfera della ragione: i presupposti, le finalità o i motivi. Se un ente -sostiene Leibniz- è senza ragione sufficiente vuol dire che non è concepibile per l'uomo. La differenza tra verità di ragione e verità di fatto sta nel fatto che le prime sono giudizi dimostrabili a priori e che sono svincolate dall'esperienza come gli assiomi matematici, mentre le seconde sono dimostrabili a posteriori in relazione a ciò che la realtà offre quindi posso determinare a priori che, data l'essenza di un triangolo, la somma degli angoli esterni è un angolo giro (360°), ma non posso determinare a priori come andrà la realtà o come agisce Dio. in conclusione è sempre ciò che offre la realtà che ci permette di determinare a priori o a posteriori  la dimostrabilità di un giudizio.   

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Published by Caiomario - in Filosofi: Leibniz
9 giugno 2018 6 09 /06 /giugno /2018 18:47
Leibniz -  Le verità di ragione

Leibniz distingue due tipi di verità: le verità di fatto e le verità di ragione, le prime si riferiscono a fatti che vengono percepiti e nei confronti dei quali vengono espressi dei giudizi; le seconde esprimono invece il rapporto esistente tra concetti o tra essenze mentali. Le verità di fatto riguardano il mondo dell'esperienza e si riferiscono ad oggetti o fatti particolari, le verità di fatto si riferiscono alla sfera della logica e hanno a che fare con il mondo dei concetti.

Dato che le verità di fatto si riferiscono ad oggetti particolari, la loro esistenza è casuale e accidentale, le verità di ragione invece dato che riguardano il mondo dei concetti, sono verità necessarie ed universali. Ciò che legittima le verità di ragione è il principio di contraddizione in base al quale "Impossibile est idem simul esse, et non esse Non si può insieme affermare e negare lo stesso predicato dello stesso soggetto sotto lo stesso punto di vista". Quando si parla di necessità a proposito delle verità di ragione significa che questo tipo di giudizi devono necessariamente non trasgredire il principio di contraddizione, in altre parole deve essere espressa l'identità tra soggetto e predicato (principio di identità), se si negasse questa identità, verrebbe dichiarato non-identico ciò che è identico. La categoria della contraddizione assume in Leibniz una valenza logica e metodologica per il pensiero e coincide con quella di identità: in un'affermazione in cui l'attributo distrugge il soggetto, il giudizio non sarebbe più necessario e infallibile ma contingente; ciò significa che noi vedremmo delle verità che sono vere ma che possono anche non esserlo. Al contrario le verità di ragione, almeno sul piano formale, non possono essere false. 

Un esempio può fare comprendere meglio questo concetto: se io dico (semplificando al massimo) che un aereo per volare ha bisogno di osservare la legge della portanza, posso affermare che si tratta di un'affermazione vera semplicemente perché se  in un velivolo l'aria non scorresse in parte sopra e in parte sotto l'ala, non potrebbe volare in quanto verrebbe contraddetta la legge della portanza. Nell'esempio fatto l'attributo è "di osservare la legge della portanza", se la si negasse la verità non sarebbe più necessaria. Sotto questo punto di vista è impossibile affermare che un aereo possa volare sia osservando che non osservando la legge della portanza.Tuttavia è bene tenere a mente che nell'esempio fatto ci muoviamo in un ordine di idee che tiene in considerazione il rispetto delle leggi della fisica ossia di qualcosa di tangibile e dimostrabile, mentre Leibniz si spinge oltre affermando che il principio di contraddizione sta alla base delle verità pure e che prescinde dalla contingenza muovendosi nell'ordine delle idee, un esempio di verità pure può essere il seguente assioma: "per due punti dello spazio passa una e una sola retta". Questo assioma, come tutti gli altri, è dotato di una verità intuitiva, la cui validità puramente formale non può essere contraddetta ed è libera da ogni contenuto empirico. L'obiezione che si potrebbe fare a questo punto è che Leibniz si riferisce ad un ragionamento logico-formale scevro da qualsiasi contatto con il mondo empirico, si tratta di un'obiezione pertinente perché proprio questo è il nocciolo della questione. Se infatti ci spostiamo dall'ambito logico formale e portiamo gli assiomi della geometria sul terreno della sperimentazione ci sposteremo nell'ambito della geometria pratica che si basa essenzialmente sull'esperienza e non solo su verità formalmente corrette. In questo senso la geometria euclidea è frutto dell'esperienza e perviene a delle verità in seguito all'osservazione della realtà. In ogni caso anche qualora si volessero mettere alla prova i principi della geometria pratica, varrebbe sempre il principio della contraddizione in quanto è sempre possibile dare una dimostrazione indiretta del giudizio affermato come vero.

 

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Published by Caiomario - in Filosofi: Leibniz
9 giugno 2018 6 09 /06 /giugno /2018 16:23
Leibniz: La teoria della conoscenza

La monade è forma in senso aristotelico ed è una realtà spirituale provvista di vis repraesentativa (vedi http://condividendoidee.over-blog.it/2018/06/leinbiz-e-il-monadismo.html), non può possedere idee connaturate nel senso che nessuna idea è acquisita dall'esterno. Se per Leibniz le monadi non posseggono attività transitiva è altrettanto vero che risolve i problemi effettuali tra le monadi con la teoria dell'armonia prestabilita in base alla quale le monadi concordano tra loro perché l'ha stabilito Dio nel momento dell'iniziale esistenza, quindi le idee non derivano da un influsso di una monade rispetto all'altra. A questo punto in Leibniz si propone il problema dell'innatismo e nel contempo di evitare di cadere nell'empirismo di Locke il quale affermava che "Nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu". Leibniz nega che le  le idee derivino dalla sola esperienza e puntualizza che "Nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu, nisi intellectu ipse" ossia niente è nell'intelletto che prima non sia stato nei sensi se non l'intelletto stesso.

L'innatismo in Leibniz: Il filosofo tedesco ricorre ancora una volta all'innatismo per spiegare la conoscenza ma pur affermando che tutte le idee sono innate, non fornisce una spiegazione come quella di Cartesio. Per Leibniz le idee sono innate nel senso che sono presenti nella struttura stessa della monade, si tratta di una presenza virtuale che non va confusa con la potenza in quanto la monade è immutabile nella sua essenza. Vi è una certa difficoltà nel cogliere la differenza esistente tra ciò che è in potenza e ciò che è virtuale (innatismo virtuale) in quanto Leibniz sembrerebbe dire la stessa cosa, la distinzione in effetti è molto sottile ma per comprendere la sua teoria della conoscenza, bisogna tenere a mente:

  • La caratteristica di vis repraesentativa della monade;
  • Il principio degli indiscernibili;
  • Il principio di continuità.

Per quanto riguarda il principio di rappresentatività, la monade è un ente pensante, è pensiero, la sua attività è percepire; secondo il principio degli indiscernibili ogni monade è diversa l'una dall'altra, infine secondo il principio di continuità esiste un legame insensibile tra una monade ed un'altra, un legame che non genera confusione e che procede in modo impercettibile.

Senso ed intelletto in base al principio degli indiscernibili non hanno la medesima funzione o lo stesso modo di acquisire la conoscenza, tuttavia in base al principio di continuità il senso trasferisce insensibilmente la sua attività nell'intelletto. Questo tipo di attività si sviluppa dalle percezioni più semplici a quelle superiori più perfette e complesse  (il supremo dell'ordine inferiore è identico all'infimo dell'ordine superiore). Leibniz descrive questa attività con i tre caratteri dell'oscurità, della confusione e della distinzione: nelle monadi che si trovano nell'infimo le percezione avvengono in modo oscuro e inconscio, salendo nella scala gerarchica le percezioni sono chiare ma indistinte e confuse (ipo-consce) e infine al livello superiore sono chiare e distinte (consce).

In base a questa impostazione Leibniz distingue quattro tipi di conoscenza:

  1. Conoscenza oscura: è formata da percezioni infime, Leibniz parla di "piccole percezioni" ed è proprio della materia, delle infime monadi la cui conoscenza avviene senza coscienza.
  2. Conoscenza confusa: si tratta di una conoscenza sensitiva formata da percezioni chiare ma indistinte (ipoconsce) attraverso cui vengono conosciute le cose o i fatti. La conoscenza avviene attraverso un ventaglio di percezioni che non vengono ordinate in un sistema di conoscenze.
  3. Conoscenza chiara e distinta: è una conoscenza intellettiva che avviene in modo chiaro, Leibniz definisce le percezioni che avvengono in questo grado di conoscenza "appercezioni" volendo indicare le percezioni consce dove il soggetto è cosciente di ciò che che conosce, è la fase dell'autocoscienza.
  4. Conoscenza ipoconscia: è la conoscenza divina in cui il processo di appercezione avviene  livello supremo, è la conoscenza di Dio, la monade suprema, il momento di massimo livello dell'autocoscienza in quanto Dio si riferisce solo a se stesso nell'attività del conoscere. 

Senso ed intelletto non si trovano in una posizione di cesura ma sono per così dire sfumati e la differenza, è una differenza di grado che va dal confuso a quello supremo. L'errore di Locke, secondo Leibniz, consiste nell'aver sostenuto che il processo di conoscenza avviene dall'esterno, il punto di partenza, anche per Leibniz è sì l'esperienza, il senso ma il conoscere è immanente, intrinseco alla monade ed avviene con un passaggio di grado sfumato che ne costituisce la naturale evoluzione.

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Published by Caiomario - in Filosofi: Leibniz
9 giugno 2018 6 09 /06 /giugno /2018 05:36

Nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu, nisi intellectus ipse

Leinbiz - Il concetto di organicità, il mondo e la concezione della realtà

Quando parlo di mancanza di prove vi comprendo anche quelle che si potrebbero procurare se si avessero i mezzi e l'opportunità: ma è proprio di questo che si è privi il più delle volte. Tale è la condizione degli uomini che passano la vita cercando di procacciarsi di che vivere: essi sono così poco istruiti di quel che avviene nel mondo, quanto un cavallo da soma che percorra sempre lo stesso cammino può diventare esperto della geografia di un paese.
Gottfried Wilhelm Leibniz

Nuovi saggi sull'intelletto umano

  • Non si può comprendere il concetto di monade prospettato da Leibniz se non si parte dal problema che egli si era posto e se non si considerano le fonti da cui si sviluppò la sua riflessione filosofica. Per quanto riguarda le fonti, Leibniz, uomo di grande cultura ed erudizione, spaziava dal pensiero degli antichi e in particolare del platonismo e dell'aristotelismo passando attraverso sant'Agostino, Cusano, Campanella, Bacone, Galileo sino ad arrivare a Cartesio, Pascal, Arnaud, Spinoza e Malebranche. Ed è proprio dallo studio delle riflessioni degli "altri" pensatori che prende le mosse per un progetto ambizioso sul piano filosofico: mettere d'accordo l'unità e la molteplicità rifuggendo il meccanicismo e il panteismo e proponendo una visione organica della natura.
  • Bisogna quindi comprendere la concezione di "organismo" così come egli la intendeva: secondo Leibniz unità e molteplicità si compenetrano a vicenda, la parte poi, pur conservando le sue peculiarità funzionali, opera in funzione del tutto. Anche per quanto riguarda la coppia movimento-finalità la prospettiva introdotta da Leibniz  se da una parte mantiene integre le esigenze del meccanismo, dall'altra parte  oltrepassa il semplice meccanismo bidirezionale che va dalla parte al tutto e dal tutto alle parti. Per ciò che concerne la coppia materia-vita, la materia protende verso la vita e la vita si collega alla materia vitale secondo un forte rapporto reciproco in cui convivono attività e passività. Infine nella coppia presenza-tensione ogni parte si protende verso l'altra secondo un movimento che conosce intenzionalmente ogni propria azione. Appare evidente che nella concezione di organicità prospettata da Leibniz l'organismo ogni elemento ha la sua ragion d'essere nel tutto e il tutto in ogni singolo elemento. Ogni parte è organismo, tutta la realtà è organismo e sono organismi tutti i settori e i momenti della realtà.
  • Monade: l'aver prospettato la realtà, tutta la realtà, come organicità porta Leibniz a concepire uno strumento filosofico che spieghi l'origine del reale: il concetto di monade. Sotto questo punto di vista l'esigenza di Leibniz è la medesima che avevano i filosofi pre- socratici: trovare il principio primo (ἀρχή)  del reale,  ossia di un principio fondante e costitutivo che spieghi la complessità. La monade è per Leibniz un principio provvisto di attività, un centro dinamico da cui si irradia la forza, La monade è un centro semplice, stabile, non esteso e indivisibile. Non va confuso con l'atomo democriteo, in quanto Democrito ritiene che l'atomo sia dotato di materia mentre Leibniz pensa che la monade è priva di estensione e figura. Ciascuna monade non entra in contatto con le altre e secondo l'espressione utilizzata dallo stesso Leibniz: le monadi non hanno finestre. Così concepita la monade di Leibniz ha delle affinità con la "forma" aristotelica, si tratta quindi di un principio primo qualitativo e finalizzato al contrario (altra differenza con Democrito) degli atomi che non sono finalizzati e si muovono casualmente nella natura. Leibniz proprio pensando ad Aristotele utilizza, per connotare la monade, il termine " ἐντελέχει"   per indicare una realtà compiuta che è nel contempo forma e atto. La monade non si trova mai in uno stato di potenza in quanto ciò implicherebbe un cambiamento, un passaggio da uno stato ad un altro, ma è immutabile e immodificabile, la sua essenza rimane sempre eguale a se stessa. Solo Dio può modificare o distruggere la monade.
  • Differenza tra la monade di Spinoza e quella di Leibniz: Per Spinoza la monade è una sostanza cosmico-divina, provvista di pensiero e di estensione mentre per Leibniz è sostanza, forma, il principio primo attivo e spirituale della realtà, un ente metafisico che supera la realtà materiale.
  • Carattere immanente delle monadi: Abbiamo visto nelle righe precedenti che le monadi non comunicano tra di loro ma, secondo Leibniz,esplicano un'azione immanente nel senso che coesistono con la realtà e agendo nella realtà non sono elementi passivi. 
  • Non vi è azione di causalità tra le monadi: la natura semplice della monade ha come conseguenza l'impossibilità di concepire l'estensione, la monade non è una res extensa, inoltre il numero delle monadi è senza limiti nel duplice significato che non è limitato e che non è limitabile.
  • La monade come forza rappresentativa: la monade essendo pensiero è pensante, è uno specchio dell'universo capace di avere una vis repraesentativa in grado di percepire ed è proprio in questa attività che le percezioni sono legate l'una all'altra, ciò che precede è collegato a ciò che segue..
  • Il principio degli indiscernibili: Ogni monade è un unicum nel senso che è identica solo a sé stessa, tuttavia proprio perché non vi è mai una monade uguale ad un'altra, Leibniz elabora il principio degli indiscernibili in base al quale: "Tutto ciò che si presenta indiscernibile è identico".
  • Il principio di continuità: Pur valendo il principio degli indiscernibili, Leibniz ammette l'esistenza di una gerarchia tra le monadi per cui nell'universo si va dalla monade suprema (Dio) alle monadi-anime (l'uomo) sino alle monadi formate da corpi (le piante e gli animali). Il principium continuitatis così recita: il supremo dell'ordine inferiore è identico all'infimo dell'ordine superiore.
  • Il rapporto tra le monadi: Se non esiste un'azione causale tra una monade ed un'altra, come si verifica quell'armonia di cui Leibniz parla? Per spiegarla egli elabora la teoria dell'armonia prestabilita delle monadi ricorrendo a Dio: è Dio che all'inizio dell'esistenza prestabilisce l'armonia tra le monadi. Leibniz negando l'esistenza dell'azione transitiva tra le monadi è obbligato a ricorrere a Dio per giustificare la natura delle monadi.

 

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Published by Caiomario - in Filosofi: Leibniz
1 giugno 2018 5 01 /06 /giugno /2018 06:14
Taccuino di un vecchio sporcaccione - Charles Bukowski

Ho letto la versione integrale di "Notes of a dirty old man" nel 1981, l'edizione in mio possesso è stata pubblicata dalla "Universale Economica Feltrinelli" con il titolo "Taccuino di un vecchio porco" (una variante rispetto a quella di "sporcaccione" che non stravolge tuttavia il significato  del titolo originario). Pongo all'attenzione dei lettori questa edizione in particolare, in quanto è la stessa pubblicata per la prima volta in Italia dall'editore Ugo Ganda nel 1979. Detta edizione contiene una pregevole introduzione del critico letterario Carlo A. Corsi e una nota nel retro copertina di Giovanni Raboni.

Non si può non condividere il giudizio espresso da Corsi a proposito della pubblicazione delle opere di Bukowki in Italia, i cui effetti vengono paragonati a quelli di un ciclone ed effettivamente quello che era all'epoca un "nuovo romanziere americano" riuscì non solo a scandalizzare, ma anche a trovare dei veri e propri seguaci.
La specificità "americana" di Bukowski non è nuova, alcuni tratti come la solitudine, la violenza e il ribellismo "on the road" non rappresentano una novità assoluta, insomma c'è molto Kerouac in Bukowski ed è facile trovare nelle pagine del "Taccuino di un vecchio sporcaccione" molte corrispondenze almeno per quanto riguarda il linguaggio.
Tuttavia le differenze tra questi due irregolari della letteratura esistono e sono ben evidenti anche se il retroterra culturale da cui attingono è in parte lo stesso; i critici letterari inquadrano il genere letterario in un ambito definito  "linea beat" che, partendo proprio da Jack Kerouac, sarà ripresa dallo stesso Bukowski e da quel Richard Brautigan che assume spesso dei toni più dissacranti rispetto a quelli degli altri narratori "irregolari" appartenenti a quella generazione.

 Lo stile letterario di Bukowki, dissacrante e provocatorio, è una scelta voluta il cui obiettivo è  solo uno: quello di scuotere i lettori per comunicare loro il fetore che circonda certi ambienti della società americana ben lontani da quell'immaginario collettivo che vede nell'America l'emblema del benessere e delle "possibilità".
Anche "Notes of a dirty old man" è un libro anticonformista, ma è senza speranza, tutti i suoi personaggi sembrano gridare:

 " io sono un UOMO! maledizione ma hai occhi per vedere che sono un UOMO? gesù cristo, ma non riesci a vedere che sono un UOMO?"*
* ( frase estrapolata dal testo ed è scritta esattamente come nelle citazione).

La narrazione gioca su un intreccio di mini racconti che sembrano intrecciarsi casualmente,  come altrettanto casualmente entrano ed escono nel racconto una miriade di personaggi; Bukowski presenta un campionario umano che crea repulsione, uno "zoo" di personalità malate e deviate, quasi irrimediabilmente perse, eppure l'ironia scanzonata di Bukowski riesce a descrivere in modo efficace quella realtà senza ambiguità dando al disordine stesso un senso di discontinuità che permette al lettore di riflettere e di accogliere o respingere la sua permanente provocazione.
Ecco allora che Bukowski ricorre, in modo sapiente, a quel disordine narrativo che lo ha reso famoso, ma si tratta di un equivoco in parte spiegabile dal fatto che la raccolta di "Notes of a dirty old man" non nasce come un racconto organico e compiuto, i racconti prresenti sono, infatti frammentari perché venivano pubblicati con cadenza regolare all'interno di una rubrica di un noto settimanale americano.

La consapevolezza di infrangere le regole stilistiche della buona scrittura è speculare alle sue vicende autobiografiche che costituiscono il "serbatoio" dal quale Bukowski ha attinto per raccontare storie di marginalità che possono trovare un precedente letterario nell'opera di Louis Ferdinand Céline.
 Sotto questo aspetto "Notes of a dirty old man" pur essendo una narrazione "americana" a tutto tondo, continua la tradizione della narrativa europea "scandalosa", Bukowski ne è pienamente consapevole e a tal proposito precisa dalle sue pagine:

" se volete imparar qualcosa, non leggete Carlo Marx, m**** molto secca, vi scongiuro: cercate di conoscere lo spirito. Marx è solo carri armati che attraversano Praga, non fatevi incastrare così, ve ne prego, prima di tutto leggete Céline, il più grande scrittore degli ultimi 2000 anni, naturalmente bisogna trovare un posto anche per LO STRANIERO di Camus, per DELITTO e CASTIGO, per i FRATELLI KARAMAZOV. per tutto Kafka. per l'opera ominia dello scrittore sconosciuto John Fante. per i racconti di Turgenev.evitate Faulkner, Shakespeare e soprattutto George Bernard Shaw, la più grande montatura di tutti i tempi, un'autentica m**** montata, intrallazzato con politici e letterati......"

(I titoli in maiuscolo e la parola in minuscolo dopo il punto sono così espressi nel testo originale).

Ho ritenuto opportuno riportare il brano in quanto -a mio parere-questo è significativo per comprendere  le preferenze letterarie di Bukowski, ma anche  per capire quale sia il retroterra culturale da cui egli attinge.
I giudizi sferzanti che Bukowski esprime su Bernard Shaw sono quelli di un narratore che prova insofferenza verso qualsiasi tipo di compromesso e di intrallazzo e il suo giudizio di valore nei confronti dell'opera di Shaw va di pari passo al disprezzo che mostra nei confronti dell'uomo. È comunque difficile condividere tale giudizio di valore, ma Bukowski è fatto così, prendere o lasciare, non ci sono alternative.
 

A mio parere questa non solo è l'opera più dissacrante e  più intellettuale di Bukowski ma è anche quella più ricca di implicazioni filosofiche,  un'opera nella quale la dimensione realistica, quella onirica e quella storica si incontrano dando origine ad una narrazione che riesce nel contempo ad essere cronaca e diario di viaggio...nonostante la disperazione alligni in ogni pagina lasciando il lettore stupefatto ma mai indifferente.

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