Nella prefazione al libro Oreste Del Buono ha scritto: "Questo è un libro terribile. Non solo perché sono terribili i fatti che racconta ma per il modo in cui li racconta. Ovvero senza esagerazioni e falsità", una frase che sembra lapidaria e che ci sentiamo di condividere in pieno perché quegli anni furono davvero terribili e hanno sconvolto la vita di un'intera generazione, irrimediabilmente persa e sulla quale ormai, da tempo, è stata lanciata una "damnatio memoriae" che non permette di capire cosa sia successo e che in molti casi non consente di andare oltre la verità processuale.
Giovanni Bianconi racconta la storia di Giuseppe Valerio Fioravanti detto Giusva, leader dei NAR, i Nuclei Armati Rivoluzionari, autore reo confesso di delitti di cui si è assunto la piena responsabilità, ma che ha sempre rifiutato di essere, insieme a Francesca Mambro, il responsabile della strage di Bologna.
Nell'introduzione del libro leggiamo che Giovanni Bianconi ha ritenuto opportuno aggiungere altre pagine perchè, dopo la prima edizione, è accaduto un fatto inatteso: "Alcuni brigatisti rossi hanno preso la parola per sostenere in pubblico la possibilità dell'innocenza dei due terroristi neri, e altri, operatori carcerari , politici, intellettuali anche della sinistra si sono uniti a loro formando un comitato all'insegna del dubbio".
L'interrogativo è "Se fossero innocenti ?" perché non si tratta solo di scagionare Fioravanti e Mambro dall'accusa di essere gli autori della strage di Bologna, ma di pervenire alla verità individuando in primo liogo i mandanti dell'attentato. Prendendo per buone le parole di Fioravanti e Mambro si arriva alla conclusione che non esiste cosa peggiore per le vittime dell'attentato che quella di trovare ad ogni costo dei colpevoli ma non i colpevoli. La giustizia italiana ha ritenuto chiudere definitivamente la faccenda condannando Fioravanti e Mambro che per molti rimangono a prescindere i soli colpevoli della strage.
Non si tratta di schierarsi dalla parte degli innocentisti o dei colpevolisti ma di andare oltre la logica dei comitati perché ancora una volta un velo terribile e misterioso impedisce di capire cosa veramente sia successo sabato 2 agosto 1980 a Bologna. L'introduzione di Del Buono scritta a gennaio del 1996 è ancora attuale se si pensa all'intervista a Giusva Fioravanti effettuata nel corso della trasmissione radiofonica "La zanzara" il 25 luglio 2012, un'intervista che ha sollevato un vespaio di polemiche certamente inaspettate per i due conduttori Cruciani e Parenzo.
Anche se il tema dell'intervista radiofonica non era la "strage di Bologna", la sola presenza di Giusva Fioravanti ha provocato la reazione di tutti coloro che hanno ritenuto inopportuna la presenza di un "mostro" condannato come autore materiale dell'attentato. Ma questa è un'altra storia che comunque può costituire del materiale integrativo per affrontare la lettura del libro in modo attivo a distanza di 20 anni dalla sua prima pubblicazione.
Il libro si apre con un episodio che Bianconi racconta come se fosse un romanzo: Mambro e Fioravanti insieme ad altri "camerati" si trovano in Veneto sulle rive del canale Scaricatore vicino a Padova, stanno tentando di recuperare delle armi; insieme a loro ci sono: Gigi ( Gilberto Cavallini), Giorgio (Vale), Cristiano (Fioravanti), Fiorenzo (Trincanato) che non c'entra niente con il terrorismo ma è un malavitoso comune al quale il gruppo si è rivolto per acquistare armi e procurarsi auto per le rapine.
L'obiettivo del gruppo nel 1981 è quello di rompere le righe e farla finita con la lotta armata, le armi dovevano essere recuperate ad ogni costo perché sarebbero dovute servire per una "rapina multimiliardaria" che avrebbe consentito loro di ritirarsi senza problemi.
Le cose però non vanno come dovrebbero andare, arriva una pattuglia di carabinieri chiamata da una persona che si è insospettita per i strani movimenti che si stavano verificando vicino al canale, ne scaturisce un conflitto a fuoco, Giusva Fioravanti viene ferito, i due carabinieri vengono uccisi.
L'autore inizia il racconto partendo dalla fine, emblematico il titolo del primo capitolo "La storia è finita qui", non c'è commento ma solo la cruda cronaca dei fatti.
L'epilogo finale è l'ultimo atto di una storia iniziata negli ambienti della destra romana: le sezioni del Msi, gli scontri con gli avversari politici, i pestaggi, una serie di azioni che con il tempo diventano abitudine fino al salto del non ritorno: la lotta armata esattamente come fecero molti giovani che militarono su fronti opposti. Poi il niente....per tutta la vita.
Bianconi con precisione certosina racconta quel clima, fa riferimento a fatti che trovano riscontro nelle carte processuali e con uno stile narrativo fluido ripercorre eventi che sfociarono in terribili delitti di cui ancora oggi si fatica a comprendere il perché. Omicidi politici che non potevano avere nessun consenso e che erano l'esatto contrario di una logica rivoluzionaria il cui obiettivo è sempre stato quello di aggregare le masse. L'assassinio del giudice Mario Amato rimane incomprensibile, così come è del tutto priva di significato politico la logica della banda armata che si avvicina alla criminalità comune intessendo dei "rapporti d'affari".
Non c'è dubbio che l'intolleranza politica che si respirava in quegli anni nei confronti dei militanti del Msi sia stata la causa che ha portato molti giovani a deviare verso la deriva senza ritorno dell'eversione. Quando Giusva Fioravanti racconta che nel novembre-dicembre 1979 se ne andò di casa per iniziare quella che lui ha chiamato "la latitanza preventiva" aveva già commesso un omicidio: quello di Roberto Scialabba in occasione della commemorazione della morte di Mikis Mantakas. Ma non era ancora un terrorista.
Quando Bianconi spiega il contesto in cui nacquero tanti Fioravanti ricorda che "le violenze, gli scandali, le tensioni politiche che appassionavano e dividevano i giovani ancor più degli adulti erano all'ordine del giorno"; chiedersi chi abbia acceso le miccie però serve e non c'è dubbio che Piazza Fontana, la madre di tutti i misteri abbia dato inizio a una stagione lunghissima di terrore che ha visto tre protagonisti: il terrorismo di estrema destra, quello di estrema sinistra e non meglio identificati apparati dello Stato. Questo è il punto che potrebbe fornire una chiave di lettura del libro che vada oltre la figura di Giusva Fioravanti, chi soffiò su quel fuoco, chi erano i mandanti politici di quelle trame, chi aveva l'interesse a provocare ad arte divisioni e odi? Forse non lo sapremo mai, nonostante le rassicurazioni di alti epsonenti delle istutuzioni che hanno assicurato più volte che avrebbero fatto tutto quello che era nel loro potere per togliere il segreto di Stato.
La storia di Giuseppe Valerio Fioravanti, terrorista per caso, è stata da lui stesso raccontata, il sangue e la violenza ci sono stati, non ha rinnegato nè negato quei fatti; la sua storia è quella di molti altri giovani che vissero pericolosamente quel periodo, ma non esiste un racconto vero e credibile sulla strategia della tensione e su quella pericolosa convergenza tra servizi segreti e politica. Lì è la chiave di tutto ma forse non conosceremo mai i nomi dei responsabili che hanno fatto di questa democrazia una "cosa loro".
IL LIBRO
- Titolo: A mano armata. Vita violenta di Giusva Fioravanti terrorista neo-fascista quasi per caso
- Autore: Giovanni Bianconi
- Editore: Dalai editore
- Data di pubblicazione: 1992 (Baldini & Castoldi)
- Data di ultima pubblicazione: 2007
- Pagine: 341
- Codice ISBN: 9778860731784