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14 agosto 2012 2 14 /08 /agosto /2012 04:21

SE FOSSI TRASFORMATO IN UN INSETTO COME IL SIGNOR SAMSA 

Cosa fareste se foste trasformati in un insetto dopo una metamorfosi notturna? E quale insetto vorreste essere? Una mosca, una zanzara o una blatta? Io nessuno dei tre, sono insetti troppo fastidiosi che rischiano continuamente di essere sterminati dall'uomo, io vorrei essere una coccinella, è abbastanza rispettata, dicono che porti fortuna, sarà ma comunque è difficile che venga schiacciata, l'uomo si sa è superstizioso. 
Ma il protagonista del romanzo di Kafka, Gregor Samsa, non poteva scegliere il tipo di insetto in cui sarebbe stato trasformato e per di più leggendo la descrizione della metamorfosi, è difficile capire di che insetto si tratti, potrebbe essere un coleottero dato che Kafka parla di numerose gambe "pietosamente esili" e di "una schiena dura come una corazza", ma non gli dà volutamente un nome. 
Al lettore poco importa di conoscere questo particolare e una volta tolta da sé l'insana fantasia di essere trasformato in un insetto, lo stesso lettore finisce col provare tutta la sua più profonda repulsione per la crudelissima metamorfosi di Gregor Samsa da uomo ad insetto. 
Un insetto però non ha le preoccupazioni di noi umani o per lo meno non è preso dalle faccende che ogni giorno preoccupano la maggior parte degli individui e questo il signor Samsa lo sa, ecco perché alla fine accetta con un certo piacere il suo nuovo immutabile destino. 

MEGLIO INSETTO CHE ESSERE UMANO 

Mi sono sempre domandato per quale motivo il signor Gregor Samsa non provi ribrezzo per essere stato trasformato in un insetto suo malgrado. È forse la parte più cerebrale del romanzo, capire se Kafka elimini qualsiasi reazione di Samsa o se questo espediente di finzione narrativa serva per mettere sul medesimo piano il reale e l'assurdo. 
Ma ogni dubbio viene fugato quando ci si rende conto che Kafka non sta raccontando una situazione di incubo (la paura di essere trasformato in un insetto) ma una situazione verosimile (almeno nel romanzo): l'uomo Gregor Samsa è proprio un insetto. 

FRUGANDO NEI MEANDRI DELLA PSICHE UMANA 

Provo una certa affinità con il signor Gregor Samsa specialmente quando ragiona sull'ansia generata dal rapporto tempo-lavoro; Gregor fa il commesso viaggiatore, un lavoro che non viene più svolto secondo le modalità di una volta e che non è da confondere con quello dell'agente o del rappresentate di commercio; il commesso viaggiatore di una volta era un lavoratore autonomo che agiva per conto di un'azienda e che girava esclusivamente con mezzi pubblici (treno e bus) per recarsi dai potenziali clienti. Questa figura ha continuato ad esistere sino a tutti gli anni '50 e i primi anni '60. 
Gregor Samsa prova insofferenza per il suo lavoro che definisce faticoso, caratterizzato da levatacce alle cinque del mattino che lo portavano in giro tutti i santi giorni. 
Ecco allora che il signor Gregor da insetto pensa a quel lavoro faticoso con un certo disgusto, ai pasti cattivi e irregolari e "ai rapporti con il prossimo che cambiano di continuo" e "che non diventano mai cordiali e duraturi". Meglio insetto che commesso viaggiatore. 
Da insetto, invece, Gregor si può godere quello che gli piace di più: la sua stanza che assomiglia a una tana in cui trovare riparo e il tempo dedicato al sonno e al riposo; da insetto poi può ignorare quell'oggetto che implacabilmente segna il tempo che scorre: la sveglia. 
Ho sempre pensato che non esista cosa più fastidiosa della sveglia che trilla la mattina, solitamente non la uso, ma non so perché se ho un appuntamento la detesto, esattamente come il signor Gregor Samsa. 

L'ASSEDIO DI SAMSA, IL PADRE COMANDA 

Quando Samsa subisce la metamorfosi da uomo ad insetto, i suoi familiari lo sottopongono ad un assedio perché non esce dalla sua camera, tentano di farlo uscire chiamandolo e pregandolo di uscire ma niente da fare, la sua camera rifugio si trasformerà nella sua prigione, ma una prigione che paradossalmente è l'unica a garantirgli la libertà che si realizza nella più perfetta solitudine. 
Il padre quando scopre che è Gregor è diventato un insetto, lo chiude nella sua stanza, anche il padre subisce una metamorfosi, tutti i familiari cambiano, ma il padre, nonostante l'odio nei confronti del figlio, appare a Gregor come una divinità che alla fine lo condannerà. 

IL TERZO CAPITOLO 

Non anticipo niente sul contenuto del terzo ed ultimo capitolo del libro e, suggerisco di lasciare perdere qualsiasi sunto e di leggere direttamente il testo; mi limito a fare alcune considerazioni sul ruolo dell'uomo/insetto. Sono pochissimi gli scrittori che come Kafka riescono solo con le parole a descrivere in modo così puntuale determinate situazioni e che riescono a provocare emozioni fortissime. 
Con il terzo capitolo, infatti, il lettore si rende conto di avere a che fare con un racconto dove le porte, i muri, i mobili e le chiavi riempiono ogni spazio al punto che Gregor l'uomo/insetto vive la sua condizione di sepolto vivo in attesa della morte proprio come un insetto che sta chiuso in una scatoletta. In definitiva il signor Gregor attraversa una strada lastricata di tormenti facendosi carico di tutte le miserie dei suoi familiari, il suo calvario finirà con la metamorfosi delle metamorfosi: la morte 


La metamorfosi è un romanzo dove la suspence domina dall'inizio alla fine, Kafka scrive con un ritmo serrato adatto al gusto del lettore moderno, l'ossessività che caratterizza lo scritto è simile a quella che può emergere nella visione cinematografica; opera splendida di uno dei più grandi autori della letteratura mondiale di tutti i tempi. 

LA METAMORFOSI SECONDO ALBERTO BEVILACQUA (EDIZIONI LATERZA) 

Il racconto è brevissimo, si può leggere in un paio di giorni, ma ulteriore motivo di interesse per la lettura del libro edito da Laterza, sono le stimolanti riflessioni di Alberto Bevilacqua che presenta il libro facendo riferimento -tra le altre cose- al Vangelo. 
Mettere in parallelo il calvario di Cristo con quello di Gregor Samsa potrebbe sembrare una forzatura, ma il confronto originale tra le due "morti" permette di intendere in modo compiuto il significato della vittima sacrificale che paga per le colpe degli altri. Non vi è nulla di sacro nella volontà di Gregor Samsa ma anche lui come il Cristo attende la sua trasfigurazione. 
L'accostamento tra il racconto e le fiabe potrebbe sembrare ardito, ma lo scrittore boemo usa lo schema del genere favolistico salvo poi virare nel finale del libro verso un esito drammatico e senza ritorno, una conclusione senza speranza e che non ha niente di lieto e che, forse, non ha nessuna pretesa di insegnamento morale (come nelle fiabe). 

Lettura consigliata in ogni periodo dell'anno. 

 

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Fonte immagine: http://farm3.static.flickr.com/2421/3586406010_5bd64c3250.jpg

Da Album di Center for Jewish History, NYC.

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Published by Caiomario - in Libri
13 agosto 2012 1 13 /08 /agosto /2012 17:59

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"Frankenstein junior" del regista statunitense Mel Brooks è una parodia ispirata all'opera cinematografica "Frankenstein" (1931) del regista James Whale  interpretata magistralmente da Boris Karloff e tratta dall'omonimo romanzo di Mary Shelley scritto tra il 1816 e il 1817.

 

 

LA TRAMA 

Il film ha la sua ambientazione tra l'America e una poco probabile Transilvania, la terra che come è noto ha dato i natali (mitologici) al conte Dracula. 
Il protagonista è il giovane Friedrich Frankenstein, nipote del celebre  professor Victor Frankenstein che aveva assemblato dei pezzi di cadavere e dato vita a una creatura deforme e mostruosa. 
Il giovane Friedrich è talmente scettico sugli esperimenti condotti dal nonno da misconoscerne persino la parentela al punto da presentarsi storpiando il proprio nome e presentandosi come "Frankenstein". 
Tutto questo fino al momento in cui Friedrich non riceve il testamento del nonno che gli viene fatto recapitare da uno strano e oscuro personaggio di età molto avanzata che lo avrebbe prelevato diretttamente dalla tomba; decide allora di partire per la Transilvania con un gruppetto di accompagnatori in parte legati al nonno: Igor, uno strano e deforme aiutante discendente a sua volta dall'aiutante del dottor Frankestein, Inga una graziosa assistente e Frau Gluker antica amante del nonno. 
Suggestionato comunque dal nuovo clima creatosi, decide di ripetere l'esperimento, ruba un cadavere, manda Igor a rubare un cervello appartenuto a un famoso scienziato, Hans Delbruck
Igor però impauritosi per aver visto la sua immagine riflessa fa cadere il prezioso cervello che finisce spiaccicato per terra e ne preleva uno dove non si accorge che c'è apposta una scritta con la parola anormale. 
Quando l'esperimento si è concluso Friedrich si rende conto dello scambio dei cervelli che ha prodotto una ceratura mostruosa esattamente eguale a quella prodotta da suo nonno violenta e mugugnante che trova un pò di pace solo quando sente una particolare musica suonata da un violino. 
Ad un certo punto Frau Gluker fa fuggire il mostro che si mostra remissivo solo quando incontra una bambina e un cieco ed è un susseguirsi di scene comiche e divertenti. 
Catturato da Friedrich il mostro viene costretto ad esibirsi dinanzi ad un pubblico di spettatori divertiti che vengono poi aggrediti, una volta che spaventato dal fuoco non riesce a liberarsi. 
Il finale è imprevisto: il mostro viene nuovamente catturato e imprigionato e dopo essere riuscito ancora una volta a fuggire, seduce l'ex fidanzata di Friedrich venuta dall'America per convolare a nozze con il suo amato a sua volta sedotto da Inga l'assistente di laboratorio. 
Attratto nel castello dalla musica del violino qui Friedrich decide di fare uno scambio di cervelli, il cervello di Friedrich passa al mostro e quello del mostro a Friedrich. 
Il finale è altamente comico: un doppio matrimonio tra il mostro che ha acquisito cultura e gentilezza e l'ex fidanzata di Friedrich e quello tra lo scienziato che ha il cervello del mostro e la bella assistente. 

IL COMMENTO 

Per chi volesse trovare nel film la complessità delle problematiche che accompagnarono i film su Frankenstein che si rifacevano al romanzo di Mary Shelley ha sbagliato la scelta filmica: il film è una parodia e lo scopo di Mel Brooks è divertire il pubblico creando numerose situazioni al limite del grottesco e dell'inverosimile, le tecniche usate sono quelle che normalmente vengono usate nel genere letterario e filmico della parodia tra cui la distorsione sistematica dei fatti, l'alterazione di scene già esistenti, la ripetizione. 
L'horror che dovrebbe accompagnare il film almeno all'inizio viene spogliato da tutta la sua carica di emotività negativa scivolando nel ridicolo, la parte emotiva viene depotenziata, ogni fatto che potrebbe sembrare a prima vista terrificante scivola nella comicità e talvolta nel ridicolo.

Mel Brooks è  molto abile a riproporre determinate scene senza fare scendere l'attenzione dello spettatore come nel caso delle ripetute fughe del mostro e della sua successiva cattura, delle frequenti ripetizioni della musica del violino o della scena del cieco che per ben tre volte, nonostante cerchi di essere gentile con il suo ospite, finisce col fargli del male. 

Fonte immagine:  http://farm3.static.flickr.com/2179/2070676446_8bb672a8d8.jpg2070676446_8bb672a8d8.jpg

 

 

 
Deformazione: ogni personaggio è poi deformato al limite dell'inverosimile: c'è il bruttissimo, il vecchissimo, la bellissima, il mostruoso, il cieco, etc. ...l'eccesso è quello che accompagna il genere comico che tende a caratterizzare e deformare. 

Allusioni: è forse la parte più difficile da cogliere ma è evidentemente presente come, ad esempio, il rimando ad Einstein forse per l'assonanza con il nome di Frankenstein o il rapimento della bella, già presente nella celebre scena del film King Kong. 

Dialoghi: il linguaggio è quello della gag, del doppio senso, dell'allusione, dei giochi di parole, tutto con il fine di creare l'equivoco, di provocare confusione, di favorire l'effetto comico. 

Assenza del colore: il film è in bianco e nero e questa è stata una buonissima scelta da parte del regista in quanto la pellicola, pur essendo del 1974, ricorda i film del periodo pioneristico del cinematografo. 

Doppiaggio: un'ultima annotazione riguarda l'edizione italiana del film per quanto riguarda il doppiaggio, molto del suo successo e l'amplificazione dell'effetto comico è certamente dovuto alla voce di Oreste Lionello che sapeva imprimere un ritmo comico unico ai personaggi da lui doppiati e questa sua capacità ha contribuito non poco al successo di alcuni mostri sacri della comicità mondiale. 

Un film consigliato a tutti gli amanti del genere, merita di essere visto.

 

Articolo di proprietà dell'autore adattato per questo spazio.

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Published by Caiomario - in Z. Cinema
13 agosto 2012 1 13 /08 /agosto /2012 07:20

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"Nuovi racconti romani" è stato edito dopo che i testi furono pubblicati nella terza pagina de "Il Corriere della Sera", si tratta quindi di testi nati con una compiutezza dovuta principalmente allo scopo per cui erano stati concepiti: quello di uno spazio giornalistico che necessita, per ragioni editoriali, di uno scritto uniforme e breve, elementi questi che richiedono una grande abilità da parte dell'autore.
Mentre infatti nel libro, lo spazio è deciso dal'autore, nel testo destinato al giornale il vincolo dovuto allo spazio può rsultare penalizzante, specialmente per scrittori prolissi che tendono a dilatare la parte descrittiva. Moravia non rientra tra gli scrittori che amano i testi lunghi e sovrabbondanti , anzi la sua capacità di sintesi sembra aver agevolato quello che era un'esigenza giornalisticache ha contribuito ad esaltare le sue doti di narratore breve. 

 

LA ROMA DEL DOPOGUERRA

I racconti sono ambientati nella Roma del dopoguerra, negli anni che vanno dal 1945 al 1950, anni in cui la ricostruzione incominciava a cambiare la fisionomia della città con la nascita di nuovi quartieri e l'affermarsi di nuovi ceti sociali primi fra tutti quelli legati al mondo dell'edilizia. 
Ma questi erano più che mai gli anni in cui la gente cercava di arrangiarsi dedicandosi ad attività illegali di piccolo cabotaggio come, ad esempio, lo spaccio di sigarette di contrabbando. 
La Roma descritta da Moravia vive in questo clima popolato da personaggi che vivono nella miseria spesso bulli, aggressivi, maneschi, come, ad esempio, Rosario  detto il "romanuccio" che canta nelle trattorie di Trastevere e che fa parte di quel sottoproletariato precario, senza arte nè parte che vive di espedienti e di vagabondaggi notturni. 

Ma c'è anche un'altra Roma descritta da Moravia: è la Roma dei locali notturni e di Via Veneto che in quegli anni va prendendo rinomanza internazionale e che avrà la sua consacrazione definitiva nel film di Federico Fellini "La dolce vita". 

Per i lettori romani è un ritrovare i luoghi di sempre: Largo di Torre Argentina, piazza Venezia, il Corso, la Galleria, ponte Milvio, piazza del Popolo..strade note all'epoca percorse a piedi o con mezzi di fortuna tra un bar ed un altro che era il luogo preferito da "guitti di varietà e avanspettacolo", protagonisti di quello che allora era il genere di spettacolo preferito: la rivista. 
L'avanspettacolo consisteva in una serie di battute piò o meno satiriche, con la narrazione di qualche barzelletta a cui seguivano dei numeri di danza piò o meno sguaiati, spesso oltrechè nei bar questi spettacoli precedevano la visione di un film ed erano il momento più atteso dal pubblico spesso costituto da uomini con tutto il contorno che ne seguiva: dalle donnine di marciapiede ai vetturini e agli autisti. 

In questi "Nuovi racconti romani" troviamo questo mondo, ben descritto con la sapienza letteraria tipica di Moravia che qui appare poco problematico rispetto ad altre opere come ad esempio "Gli indifferenti" e nello stesso tempo molto abile nel descrivere una Roma che oggi non esiste più e di cui pochi si ricordano. 

 

 

SCHEDA DEL LIBRO

 

  • Autore: Alberto Moravia
  • Titolo: Nuovi racconti romani
  • Editore: Bompiani
  • Collana: Tascabili narrativa
  • Anno di pubblicazione: 2003
  • Pagine: 560
  • Codice Ean: 9788845253867

 

 

 

 

 Roma notturna con i suoi personaggi equivoci spesso bulli e aggressivi.

 

 

Nuovi racconti romani

 

 

 

Per altri libri scritti da Alberto Moravia si rimanda a: 

 

  • http://www.condividendoidee.it/article-agostino-alberto-moravia-108297158.html
  • http://www.condividendoidee.it/article-l-uomo-come-fine-alberto-moravia-107841219.html

 

 

Articolo di proprietà dell'autore adattata per questo spazio.

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Published by Caiomario - in Libri
12 agosto 2012 7 12 /08 /agosto /2012 16:29

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Il gip del tribunale di Taranto Patrizia Todisco ha revocato la nomina del presidente dell'Ilva, Bruno Ferrante, a custode e amministratore degli impianti dell'area, la motivazione: "palese conflitto di interessi". Subito dopo aver appreso le motivazione dell'ordinanza del gip, i politici di tutte le parti si sono scatenati in una sequela di dichiarazioni della serie "detti e contraddetti"; il segretario del Pd Pierluigi Bersani ha dichiarato: "È indispensabile che il governo con tutti gli strumenti formali e informali che ha, faccia chiarezza sulla situazione dell'Ilva di Taranto", ha poi aggiunto: "Bisogna essere consapevoli che la confusione attorno al più grande stabilimento siderurgico d'Europa farà presto il giro del mondo". Esatto, bisogna fare chiarezza ma bisogna farla sui morti di tumore e sulla devastazione ambientale. Prima si dovrebbe bonificare tutta la zona e dopo si dovrebbe continuare a produrre acciaio rispettando salute e ambiente, ecco perché la magistratura è dovuta intervenire ancora una volta; si può entrare in una casa satura di gas senza preoccuparsi della salute propria ed altrui? I reati commessi sono gravissimi e al di là delle responsabilità dei singoli che saranno accertate in sede processuale, la situazione ambientale dell'area non permette di continuare ad andare avanti sputando nell'aria polveri e fumi mortali. Se così non venisse fatto ci troveremo dinanzi al reato di omissione con tutto quello che ne conseguerebbe sia sul piano civile che su quello penale.

Il segretario del Pdl, Angelino Alfano invita Mario Monti a prendere in mano la situazione, tradotto: il Governo deve avocare la politica industriale e non delegarla alla magistratura. Ma la magistratura non fa politica industriale, accerta e persegue i reati e nel caso dell'Ilva di Taranto oltre all'inquinamento ambientale, ci sono centinaia di morti di cancro.

Il leader dell'Udc, Pierferdinando Casini ha affermato che: "L'ordinanza del gip di Taranto sull'Ilva rischia di segnare il punto di non ritorno di una vicenda drammatica, che coinvolge migliaia di lavoratori e le loro famiglie e arriva dopo anni di incuria e di nocuranza, in primo luogo delle autorità locali, proposte nella funzione di vigilanza e di controllo della salute dei cittadini". Appunto dove erano i responsabili della Asur locale, dove era l'Inail e dove erano i sindaci di Taranto che in tutto questo lungo periodo non sono intervenuti per difendere in modo efficace la salute dei cittadini e non solo quella dei lavoratori dell'Ilva? Perché non sono intervenuti? 

Ma Casini dopo aver esordito bene aggiunge: "In tutto il mondo questa decisione verrà interpretata come esempio di una cultura anti-industriale"; è probabile invece che in molti altri paesi non si sarebbe mai permesso di produrre inquinando, in altri paesi, invece, non contano nè la salute dei lavoratori nè quella dei cittadini. A questi ultimi forse i politici pensano quando dicono che in questo modo si regala la produzione dell'acciaio alla Cina? Ma la Cina non è un esempio da portare avanti quando si parla di rispetto dell'ambiente e della salute dei lavoratori.


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10 agosto 2012 5 10 /08 /agosto /2012 19:36

I DUE EVENTI DOCUMENTATI NELL'OPERA 


28 DICEMBRE 1908: MORIRONO 80 MILA PERSONE 

Non c'è più nessuno che possa ricordare la giornata del 28 dicembre 1908 quando la città di Messina venne colpita contemporaneamente da un terremoto e da un maremoto dagli effetti devastanti. I superstiti dell'epoca in grado di raccontare quel tragico evento sono tutti morti , ma rimangono le foto, i documenti, i resconti che permettono di ricostruire con precisione quello che accadde. 
Vi furono 80 mila morti, un numero enorme paragonato a quello dei deceduti nel sisma che ha colpito l'Aquila il 6 aprile del 2009. 
Le cronache raccontano che onde altissime e violentissime si levarono colpendo e travolgendo uomi e cose che si trovavano lungo le coste siciliane e calabre lungo la direzione dell'epicentro. L'epicentro del sisma -hanno accertato i vulcanologi- si verificò a 20 chilometri dalla costa siciliana e l'impatto fu enorme, ancora oggi, nononostante siano trascorsi 104 anni dall'epoca è possibile vedere i devastanti effetti del sisma. 

14-15 GENNAIO 1968: TERREMOTO DEL BELICE 

Il sisma nella nottata tra il 14 e il 15 gennaio colpì le valli del Belice, Carboi e Jato, una ferita profonda attraversò questa parte dimenticata d'Italia. i morti furono 370 ma migliaia di persone hanno vissuto per decenni come degli accampati, ancora oggi è possibile vedere i superstiti che vivono in baracche fatiscenti. 


Sono stati fatti centinaia di convegni per evitare di commettere gli errori del passato e in particolare quelli legati alla ricostruzione della Valle del Belice, ma non è servito a niente almeno per quanto riguarda gli eventi più recenti che hanno colpito l'Italia. Paghiamo ancora l'accisa sulla benzina per il terremoto del Belice del 1968. 

LA STRUTTURA E LO SCOPO DELL'OPERA 

L'opera dall'alto valore documentario si pone come obiettivo non solo di testimoniare gli effetti nefasti dei terremoti avvenuti a Messina (1908) e nel Belice (1968) ma anche di essere un utilissimo strumento per quell'opera di ricostruzione sempre programmata ma mai avvenuta completamente nelle aree colpite. 
Nel primo volume vengono esaminati in modo dettagliato gli effetti del terremoto e come è avvenuta l'opera di ricostruzione delle aree su cui si sono abbattuti i sismi. 
Il ricco corredo fotografico presente nel secondo volume permette di vedere gli effetti del sisma. Si tratta di una serie di fotografie scattate subito dopo il sisma dal professor Antonio Salinas, cattedratico e archeologo di chiara fama, numismatico di grande esperienza e amante dell'arte fotografica. 
Al professor Salinas si deve anche il recupero di importanti opere d'arte, recupero che avvenne anche grazie alla sua grande esperienza sul campo come archeologo. 
La cosa più impressionante è vedere nelle foto sul terremoto di Messina cumuli di persone adagiate per terra, persone che morirono non solo per il crollo dei fabbricati ma anche per i numerosi incendi che scoppiarono in tutta la città. 
I primi soccorsi a Messina arrivarono dal mare grazie alla Marina Regia che diede un primo conforto però del tutto inadeguato davanti alla gravità della distruzione che colpì ogni cosa. 
La stessa Marina Regia ebbe difficoltà a sbarcare a Messina visti i danni ingentissimi riportati nella zona del porto. In piazza Annunziata a Messina si vede un cumulo di macerie impressionante, rimase in piedi solo la statua di Don Giovanni d'Austria. 
La documentazione fotografrica sul Belice è recente, ma l'effetto è impressionante perché le conseguenze sulle cose furono altrettanto catastrofiche come quelle di Messina, si tratta di foto che conservano tutto il senso di precarietà e di drammaticità legate al momento in cui vennero scattate.

 

 

 

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Fonte immagine: http://www.flickr.com/photos/7398356@N02/1535668093 

Album Vince the photographer


Per quante volte dovremo ripetere sempre le stesse cose, per quanto tempo ancora Mario Tozzi dovrà ricordare che se non si costruisce con criteri anti-sismici, la gente continuerà a morire non per i terremoti ma per i fabbricati che cadono? 

Ecco l'impressionabile sequenza: 

 

  •  Messina 1908 
  • Belice 1968 
  • Friuli 1976 
  • Irpinia 1980 
  • Umbria 1997 
  •  L'Aquila 2009 
  •  Emilia 2012 


I cittadini sanno che non si costruisce secondo le norme anti-sismiche perché la mappa delle zone sismiche non include zone che sono tali? 

Possiamo capire Messina 1908 ma non possiamo giustificare l'inerzia di un paese che piange i suoi morti e non fa nulla per prevenire gli effetti devastanti di un sisma. La tecnologia c'è, dipende solo dai cittadini obbligare le istituzioni a prendere le opportune misure per evitare che vi siano tanti morti. 
Non è tollerabile morire sotto un capannone industriale come un castello di carte, il perchè lo stabilirà la magistratura, sta di fatto che quei capannoni sono crollati come un cartone. 
Non possiamo più tollerarlo. Dovremo imparare dal Giappone , pensate che l'aeroporto di Osaka resiste ad un sisma di 7,5 gradi della scala Richter. 
E' necessario mettere in sicurezza il territorio se no si ripeteranno sempre le stesse cose, non servono le parole di incoraggiamento serve costruire come si deve. 
Si può capire quello che accadde nel 1908 a Messina, ma non quello che succede oggi. Nel secondo millennio abbiamo istituti di metereologia e geodinamica che sono in grado di stabilire con assoluta precisione quale zona è sismica e quale no. 

I terremoti di Messina e del Belice dovrebbero insegnare. 

Consigliamo l'opera per il valore che ricopre anche per le future generazioni, è un'opera che dovrebbe essere consultata e letta in tutte le scuole di ogni ordine e grado e non solo relegata ad un uso professionale, i documenti sono utili quando aiutano l'uomo a non commettere i medesimi errori. 

Oggi nè Messina, nè Reggio Calabria sono pronte ad affrontare un sisma della medesima intensità come 104 anni fa. 

Anche questa volta ci siamo fatti trovare impreparati, rimangono i pianti....poi la gente dimentica e si rincomincia come prima. 
Il 29 maggio 2012 c'è stato un altro terremoto in Emilia, quali prevenzioni sono state fatte? La fatalità non c'entra niente. Un terremoto del 6° grado della scala Richter non dovrebbe causare morti. Le fabbriche purtroppo non sono in sicurezza, non basta costruire con del materiale di buona qualità, bisogna costruire con criteri anti-sismici, il che è tutt'altra cosa. 


"La furia di Poseidon: Messina 1908 e dintorni­ 1908 e 1968: i grandi terremoti di Sicilia" è stato pubblicato da "Silvana Editore" nel 2009, "Silvana editore" è una casa editrice specializzata nella pubblicazione di saggi fotografici, libri d'arte, opere di architettura, fotografia, cinema e teatro.

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Published by Caiomario - in Storia
10 agosto 2012 5 10 /08 /agosto /2012 16:54

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Sono tantissimi i libri che si vorrebbe conservare, sono però pochissimi quelli che si ricordano anche nei particolari, "I giusti. Gli eroi sconosciuti dell'olocausto" scritto da Martin Gilbert non è solo un libro, è un "memento" che serve per non dimenticare ed è anche un generoso e giusto ( i termini in questo caso devono andare insieme) a quegli eroi sconosciuti che, spesso da soli, si contrapposero ad un potere ostile mettendo in gioco la propria vita. 


Non possiamo dire che l'argomento affrontato nel libro rappresenti per noi una novità in assoluto, abbiamo sempre seguito le storie minori che fanno la grande storia e abbiamo letto un libro su Giorgio Perlasca che salvò, dalla morte certa, migliaia di ebrei destinati alle camere a gas. Ma sapere che ci sono stati centinaia di Giorgio Perlasca, contribuisce a ridare dignità al genere umano. 
Questo è lo spirito del libro e crediamo che il termine eroe/eroi non sia stato utilizzato a sproposito. Tutte le persone che salvarono migliaia di israeliti (ma non solo) si mobilitarono in prima persona facendo delle cose che altri avrebbero potuto considerare impossibili o pericolose. 
Per definizione quando si usa la parola "eroe" si pensa a un giovane e bello, ma non ci sono solo gli eroi delle saghe, delle epopee e dei romanzi letterari, vi è anche un altro tipo di eroe, quello sconosciuto che fa di tutto per non apparire tale. 

E' vero ci sono anche gli eroi delle cause perse che lottano per un ideale e che non si preoccupano delle conseguenze di quel che fanno, ma a quale paese spetta il primato di eroe in quest'opera immane raccontata da Martin Gilbert? A nessuno, in tutti i paesi europei vi furono dei grandissimi uomini ( nel senso di genere) che si prodigarono in imprese impossibili. 
Il libro ha anche un alto valore simbolico in quanto è stato mandato in libreria (in Italia) in occasione della "Giornata della memoria" del 2007 , non possiamo definirlo un racconto nel senso di romanzo ma è un vero e proprio studio che rende omaggio a degli uomini comuni che furono eroi nel senso che si elevarono al di sopra degli altri che, con troppa accondiscendenza, finsero di ignorare. 

Leggendo il libro ho pensato ad un altro libro intitolato "La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme" di Hannah Arendt, tra i due libri apparentemente non c'è un filo comune se non quello dello sterminio degli ebrei, ma è quasi automatico collegare la banalità del male di persone normalissime che eseguirono meticolosamente gli ordini di sterminare gli ebrei e l'eroismo senza volerlo di chi invece quegli ordini li trasgredì. E possiamo parlare di trasgressione perché in diversi paesi vicini alla Germania nazionalsocialista vi furono persone che non obbedirono. 
Quanti Schindler vi furono? Molti, l'elenco dei loro nomi si trova oggi allo Yad Vashem, il Museo dell'Olocausto di Gerusalemme, ad imperitura memoria. 

Gilbert è uno storico e quindi ha ricostruito con rigore e metodo scientifico la storia dei "Giusti", è interessante anche conoscere come all'interno della Chiesa cattolica vi furono alti prelati che si prodigarono per salvare migliaia di ebrei, come ad esempio, Mons. Giuseppe Placido Nicolini, Vescovo di Assisi. Le accuse che la Chiesa fu inerme dinanzi a questa tragedia sono troppo generiche per essere affrontate in questo breve spazio, ma leggendo il libro di Gilbert si può arrivare alla conclusione che alcune delle polemiche che peraltro si riaccendono sull'argomento dovrebbero essere meno pretestuose. La storia spesso è complessa e il giudizio degli storici andrebbe letto quando i protagonisti non esistono più, ma su questo particolare aspetto, al contrario, è importante la testimonianza di chi si salvò grazie anche all'opera di uomini di chiesa che misero su delle vere e proprie organizzazioni per salvare gli ebrei. 
E nella Germania nazionalsocialista cosa accadde? Anche nel cuore della Germania vi furono degli eroi che salvarono molti ebrei come ad esempio (la storia è raccontata con dovizia di particolari da Gilbert) Heinrich Grüber, un pastore protestante che venne imprigionato Sachsenhausen e a Dachau e la cui testimonianza fu allegata negli atti del processo Eichmann (consultare il nostro articolo su "La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme" di Hannah Arendt). 

Vedi:   La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme - Hannah Arendt


SCHEDA DEL LIBRO 

  • AUTORE: Martin Gilbert 
  • TITOLO: I giusti. Gli eroi sconosciuti dell'olocausto 
  • EDITORE:Città Nuova ( pubblicato nella collana "I Prismi". 
  • ANNO DI PUBBLICAZIONE: 2007 
  • Pagine: 512 
  • EAN: 9788831174923 




Vi sono libri che valgono per l'umanità che si portano dietro e questo è uno di quelli.

 

Articolo di proprietà dell'autore, adattato per questo spazio.

 

 

Eroi e angeli custodi, una storia vera che non si insegna a scuola - I giusti. Gli eroi sconosciuti dell'olocausto - Martin Gilbert Libri

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Published by Caiomario - in Storia
9 agosto 2012 4 09 /08 /agosto /2012 07:30

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IL LIBRO, STORIA DELLE EDIZIONI

 

"La banalità del male-Eichmann a Gerusalemme" è il titolo di un libro scritto da Hannah Arendt e pubblicato per la prima volta nel  marzo del 1963. Il libro che la stessa Arendt definì nella prefazione alla prima edizione, scritta nel giugno 1964, "un resoconto" venne redatto "nell'estate e nell'autunno del 1962 e terminato nel novembre del medesimo anno" mentre l'autrice era ospite del Center of Advanced  Studies della Wesleyan University.

È importante fare attenzione alle date: nel 1961 la Arendt segue il processo Eichman a Gerusalemme come corrispondente del The New Yorker, nel 1962 scrive il libro, nel  marzo del 1963 viene pubblicato, nel mese di maggio viene pubblicata una versione riveduta, corretta e accresciuta, nel giugno del 1964 inserisce una prefazione dove avverte i lettori che nelle edizioni successive alla prima vengono inseriti dei dettagli tecnici che riguardano la congiura anti-hitleriana del 20 luglio 1944. Dopo la pubblicazione della seconda edizione del 1964, l'impianto del libro non ha subito variazioni anche se l'autrice ha ritenuto opportuno, alla luce di nuove fonti, di apporre un Appendice dove replica alle polemiche seguite alla pubblicazione del libro.

In Italia il libro è stato pubblicato la prima volta da Giangiacomo Feltrinelli Editore nell'ottobre del 1964 e poi successivamente nel settembre 1992 nella collana "I Saggi", poi nel maggio 1999 nella collana "I Campi del Sapere" e nel marzo 2001 nella collana "Universale Economica".

 

LO SCOPO DEL PROCESSO EICHMANN SECONDO LA CORTE E SECONDO IL PUBBLICO MINISTERO

Nel capitolo primo viene descritto il momento in cui entra la "Corte", il linguaggio usato dalla Arendt è descrittivo, i giudici non assumono mai -chiarisce l'autrice- mai un atteggiamento teatrale, anzi ascoltano con serietà i racconti di tanti sofferenze. Il presidente del Tribunale, Landau, ci tiene a far sì che il processo non diventi una messinscena. Il controllo dell'area circostante l'aula di gisutizia è di tipo militare, secondo le aspettative del primo ministro di Israele, Ben Gurion il  processo avrebbe avuto dei controni spettacolari. Aspettative più che comprensibili ma il cui presupposto doveva essere improntato su tre punti ben precisi: processo, difesa e giudizio.

L'obiettivo è quindi quello di giudicare le responsabilità di Adolf Eichmann figlio di Karl Adolf Eichmann nella soluzione finale, le sue azioni non "le sofferenze degli ebrei, non il popolo tedesco o l'umanità, e neppure l'antisemitismo ed il razzismo". Di contro l'accusa, impersonata dal sig. Hausner, diede un'impostazione che più che giudicare Eichmann aveva come unico obiettivo quello di mettere in luce le sofferenze degli ebrei chiedendo agli stessi internati per quale motivo non si erano ribellati ed avevano accettato passivamente di andare sui treni e di essere condotti nei campi di steminio.

La distinzione tra le due posizioni è importante perché permette, a distanza di tempo, di vedere quali sono i motivi della coscienza nazionale israeliana che trae le sue origini proprio nel non accettare di andare a morire come agnelli sacrificali. Tuttavia la Arendt sottolinea come la pretesa di Ben Gurion di stabilire una connessione "tra i nazisti e certi governanti arabi" non aveva alcun senso, ma aggiunge anche che "la giusitizia anche se è un'"astrazione" per le persone della mentalità di Ben Gurion si rivela molto più austera del potente Primo ministro".

Cosa vuole intendere la corrispondente Arendt? La riflessione ha l'intento di portare all'attenzione del lettore il concetto di giusitiza universale che non può passare attraverso la vendetta personale neanche di un potentissimo come Ben Gurion. La giistizia -osserva la Arendt- esige silenzio ed austerità anche quando si tratta di giudicare fatti eclatanti o drammatici, una giustizia che si mostra e che esulta non può definirsi tale anche se il nome dell'imputato è quello di Adolf Eichmann.

 

Dal punto di vista storico è interessante conoscere poi la posizione della Repubblica federale tedesca di Adenauer riguardo al passato  nazista  che aveva visto coinvolti molti esponenti di punta della classe dirigente  della nuova Germania democratica a partire dal più stretto collaboratore dello stesso Adenauer, il dottor Hans Globke che aveva avuto l'idea di "costringere tutti gli ebrei a prendere un secondo nome "Israele" oppure "Sara". Il problema della classe dirigente collusa si è sempre presentata e si presenta ogni qual volta vi è un cambio di regime, ma nel caso della Germania nazista (il medesimo discorso valeva per l'Italia fascista) era impossibile azzerare completamente la classe dirigente senza creare un pericoloso vuoto che avrebbe impedito ai paesi di rirpendersi.

IL RUOLO DEI COMMANDOS DELLA MORTE

La Arendt riferisce che ad Auschwitz furono attivi ebrei di origine greca che avevano come compito quello di far funzionare le camere a gas e i forni crematori. Per quanto possa sembrare incredibile, numerosi ebrei furono difatto complici dei loro carnefici ben sapendo che niente li avrebbe potuti salvare dalla morte. Ma piu di tutto valgono le parole pronunciate da un internato del campo di concentramento di Theresienstadt:

"Il popolo ebraico nel suo complesso si comportò splendidamente sbagliarono o gisutificano ancora i capi ebraici in nome dei lodevoli servigi che essi resero prima della guerra (e sopratutto prima della soluzione finale), quasi che non ci fosse una differenza tra aiutare gli ebrei ad emigrare e aiutare i nazisti a deportarli"

 

COSA NON È IL LIBRO

 

Il libro della Arendt è un resoconto che parla del processo e non è quello che molti si potrebbero aspettare dal titolo, ossia la storia del "più grande disastro che si è abbattuto sul popolo ebraico, nè un saggio sulle dittature, nè una storia del popolo tedesco al tempo del Terzo Reich e tanto meno un trattato teorico sulla natura del male".

La lettura del libro pertanto va affrontata con lo spirito curioso di chi ama le cose storiche o di chi si interessa di questioni di giustizia e di diritto internazionale, in quanto il libro, oltre ad essere un resoconto sul processo Eichmann è ricchissimo di informazioni e di riflessioni dell'autrice che ha preferito  raccontare con un taglio obiettivo i fatti piuttosto che lasciarsi andare ad una retorica che nulla aggiunge al dramma  vissuto dagli ebrei nel periodo in cui Hitler dominava l'Europa.

 

 

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Fonte immagine: http://farm3.static.flickr.com/2689/4392838424_b77b74d8c2.jpg



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Published by Caiomario - in Storia
9 agosto 2012 4 09 /08 /agosto /2012 05:55

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Se una rivista viene pubblicata da quasi tre decenni con una fomula pressochè immutata e con un grande favore del pubblico, il motivo è da rintracciarsi principalmente in una struttura indovinata fin dagli esordi. 

L'Istituto Geografico De Agostini quando decise di pubblicare quello che reca come sottotitolo "L'audiomensile per il tuo inglese" forse  non si aspettava che questa bella rivista sarebbe durata tanto; in questi tre decenni sono nate, cresciute e diventate adulte almeno due generazioni di persone, ma la conoscenza della lingua inglese in Italia continua molto scarsa.

Nel 1984 non si era ancora diffuso il dibattito circa la necessità di imparare l'inglese come "la lingua della comunicazione", ma già la tendenza di comunicare in inglese nel mondo che contava si era imposto da qualche decennio. 
Spesso chi voleva imparare l'inglese aveva due possibiltà: o iscriversi a una delle tante scuole di lingua inglese o andare all'estero, ma non c'era la possibilità di ascoltare delle conversazioni che non fossero quelle della schematica impostazione scolastica. 

Con "Speack-up", nasce la prima rivista di inglese dedicata agli italiani, una rivista non solo da leggere ma anche da ascoltare; ad ogni numero è accluso un supporto audio che consente di ascoltare molti degli articoli presenti all'interno della rivista. 

 

Speack-Up.JPG


In ogni numero di Speak Up troviamo: interviste, colloqui, brani estratti da trasmissioni telefoniche tutti in lingua originale con la voce autentica dei vari interlocutori; in questo modo è possibile ascoltare tutte le varianti dell'inglese e non solo il cosiddetto British English, si potrà ascoltare per esempio, la parlata di un australiano con le sue cadenze inconfondibili, una conversazione tra due abitanti degli States infarcita di slang ( un gergo tutto statunitense spesso non facile da seguire per l'uso di parole tronche e idiomi appartenenti a determinate aree geografiche) oppure ancora un intervista a un irlandese o l'inglese parlato da un cinese. 

Si imparerà quindi ad ascoltare non l'inglese ma i diversi idiomi che hanno sviluppato un inglese particolare con delle cadenze particolari e con un gergo che spesso è sorprendentemente lontano da ogni forma scolastica insegnata. 

Gli articoli che è possibile ascoltare, sono contrassegnati dal simbolo del relativo supporto audio in modo che sia possbile distinguere immediatamente i brani che si desidera ascoltare. 

Ogni articolo reca a piè di pagina un glossario con l'elenco delle parole di uso meno frequente, delle espresioni che si discostano dal significato letterale originario e ultimo ma non meno importante, spesso viene riportata la trascrizione fonetica delle parole più difficili da pronunciare. 

Oltre alla rivista, sovente, vengono allegati alla rivista: libri in lingua originale, guide e piccoli dizionari che permettono di crearsi una biblioteca personale dedicata al mondo della lingua inglese e più in generale alla cultura espressa in questa lingua che non è solo l'idioma più parlato al mondo ma  è anche uno tra i più insidiosi perchè un conto è credere di saper parlare l'inglese, un conto è capirlo.

 

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Per imparare una lingua ci vuole pazienza, capacità e voglia di conoscere ed apprendere, Speak Up aiuta i "lettori a mantenere in esercizio il proprio inglese e a perfezionare la conoscenza"

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Published by Caiomario - in Libri
9 agosto 2012 4 09 /08 /agosto /2012 05:26

Quando si leggono le poesie di Eugenio Montale, si rimane disorientati dinanzi all'uso di un linguaggio arido e scabro, a tratti anche duro e stridente che sembra voler segnare un punto di distacco nei confronti di tutte le espressioni poetiche precedenti spesso caratterizzate da forme stilistiche ampollose e retoriche. 

Abituati a poesie che si sviluppano fornendo un quadro, un'immagine ben definita come nel caso di Leopardi o addirittura stremati dinanzi alla lettura delle odi di Carducci, dinanzi al celeberrimo "M'illumino d'immenso", si rimane attoniti e incapaci di commentare, quasi avvolti dal pessimismo che circonda la concezione che Montale ha della vita. 

I temi della sua lirica sono infatti quelli di una concezione negativa dell'esistenza all'interno della quale si muove un individuo stretta da muri invalicabili e minacciosi; questa concezione trova una sponda in quello che è uno degli sfondi spesso presenti nelle poesie di Montale: il mare. 

È come se l'uomo volesse correre verso la libertà ma dopo aver scalato una montagna, arriva sopra una roccia e davanti a sè non ha altro che il mare che si trova verso orizzonti aperti inavvicinabili. 

Con uno stile scarno e sobrio, Montale riesce ad esprimere tutta l'impotenza dell'uomo dinanzi agli eventi della vita che assomiglia al gioco degli scacchi dove si finisce coll'essere sempre perdenti. 

In questa negazione di ogni possibilità di riscatto, la poesia non fa altro che registrare la nostra impotenza e inefficacia e questo Monatale lo fa con uno stile unico, simile a quello dei grandi lirici greci: le espressioni che usa sono a volte dure, aride e sembrano essere scolpite sulla roccia. 

La poesia di Montale è complessa, non sempre di facile comprensione soprattutto per i temi trattati che spesso sono i temi affrontati dai grandi filosofi ma visti con l'occhio del poeta. 

I termini utilizzati da Montale sono spesso insoliti come insolito è l'uso che ne fa, spesso troviamo aspre assonanze, descrizioni di paesaggi tormentati, a questo proposito prendiamo ad esempio la seguente strofa della poesia "Meriggio", tratta dalla raccolta "Ossi di Seppia": 

"Osservare tra frondi il palpitare 
lontano di scaglie di mare 
mentre si levano tremuli scricchi 
di cicale dai calvi picchi" 

si notino i termini usati: frondi, scricchi, calvi picchi  e si immagini la scena: sembra di trovarsi sopra la collina che sovrasta uno dei tanti tratti della costa ligure e di stare dinanzi alla visione del mare palpitante di scaglie luminose e di strapiombi scoscesi impossibile da percorrere. 

Montale a differenza di Ungaretti, si muove su un piano di assoluto distacco dai sentimenti, quasi con un senso di rassegnazione dove l'unica via consolatoria è la contemplazione oggettiva, si limita quasi a registrare la disperazione dell'uomo perchè le ragioni stesse dell'esistenza sono corrose fin dalle fondamenta, proprio da questa contemplazione della materialità avviene la trasfigurazione spirituale del paesaggio, dove ogni elemento diventa un simbolo denso di significati e capace di comunicare momenti di rara intensità. 
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Fonte immagine: http://farm8.static.flickr.com/7276/7072306367_b4b13d4b93.jpg


La poesia di Montale   stimola le riflessione sui grandi temi dell'esistenza: ma non dà risposta.

 

Articolo di proprietà dell'autore, pubblicato anche altrove.

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Published by Caiomario - in Poesia
8 agosto 2012 3 08 /08 /agosto /2012 19:20

Sembra che Corrado Alvaro sia stato messo da parte a favore di autori che vendono di più ma che difficilmente, in molti casi, riusciranno ad essere tanto incisivi quanto lo fu lo scrittore di San Luca. 

I suoi temi, i luoghi descritti, i personaggi dei suoi romanzi appartengono al tipico repertorio della letteratura regionale: la Calabria con i suoi pastori, le sue donne, i suoi "pigri signori" che vivono nel paese e non lavorano ma che sfruttano le fatiche dei pastori. 

Al pari di Pirandello e Verga, Alvaro riesce ad uscire dall'angusta realtà regionale per porsi all'attenzione di tutti grazie alla sua capacità di fare poesia trasformando persone, vicende e ambienti in qualcosa di simbolico e mitologico. 

Il suo scritto più noto è "Gente di Aspromonte" e in particolare è da menzionare, secondo chi scrive, la parte descrittiva che riguarda i pastori in Aspromonte: il pastore non è più il pastore calabrese ma il pastore in assoluto, quello che c'è sempre stato e che possiamo ritrovare in Sardegna, come in Grecia o in un altro paese del Mediterraneo. 
La Calabria è prima di tutto il luogo, la meta ideale della nostalgia dello scrittore che attraverso il ricordo ripercorre le fasi della sua infanzia in cui gli affetti erano semplici e incontaminati. 

 

 

 

 

 

Gente in Aspromonte

 

 

 

 

La descrizione del mondo pastorale è caratterizzata da un lirismo che riesce quasi a fermare il tempo come se le figure raccontate facessero parte di un presepe vivente sempre eguale a se stesso. 

Eppure , nella realtà c'era poco di poetico, questi servi-pastori erano coloro i quali non avevano assolutamente niente se non la propria fatica, proprio questo essere proprietà di un altro, così Alvaro riesce efficacemente a descrivere: 

"Nè le pecore nè i buoi nè i porci neri appartengono al pastore. Sono del pigro signore che aspetta il giorno del mercato, e il mercante baffuto che viene dalla marina". 

Nella forte consapevolezza di affrancare queste classi subalterne, Alvaro si prodigò in iniziative come quelle di fornire una scolarizzazione di base a contadini e pastori affinchè anche costoro non conoscessero solo "gli animali come noi conosciamo gli uomini". 

Proprio per questa sua capacità di essere scrittore lirico ma nel contempo di avere una grande attenzione verso il mondo di coloro i quali non contano niente, possiamo definire Alvaro come uno dei più grandi narratori del '900, al pari di Verga, di Pirandello o della Deledda e questo significa anche recuperare quella grande scuola letteraria che ancora oggi costituisce l'ossatura della nostra tradizione più autentica e più vicina alle nostre origini.

Narrò di pastori, contadini, briganti e pigri signori.

 

INFORMAZIONI SUL LIBRO


  • Autore: Corrado Alvaro
  • Titolo: Gente di Aspromonte
  • Editore: Garzanti Libri
  • Collana: Gli Elefanti
  • Anno di pubblicazione: 2000
  • Pagine: 180

 

Per la migliore offerta sul web cliccare sul link.

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