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7 agosto 2012 2 07 /08 /agosto /2012 06:45

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"Quando tu incontri gente che loda Omero e sostiene che qusto poeta ha educato l'Ellade e che merita di essere preso e studato per amministrare ed educare il mondo umano, e che secondo le regole di questo poeta si organizza e si vive tutta la propria vita, questa gente si deve si baciarla e abbracciarla......(Platone, La Repubblica, libro X, VII). 



Se c'è un autore più letto e commentato fin dall'antichità questi è Omero, se c'è un autore di cui non si conosce assolutamente nulla questi è proprio Omero eppure tra i Greci di epoca antica i testi omerici erano letti e commentati e costituivano la letteratura per eccellenza ma anche dei testi didattici perchè l'epica nasce principalmente con questo intento pedagogico e formativo. 

E' più che probabile ed è accettato ai massimi livelli di critica lettteraria che Omero non sia mai esistito ma che l'insieme dei canti omerici non sia altro che la sintesi di una cultura preletteraria della cultura di un popolo che possiamo circoscrivere nel periodo che va dal II millenio a.C. fino alla fine del medioevo ellenico ( VIII secolo) e i poemi cosiddetti omerici non furono altro che la conclusione letteraria codificata in forma scritta di questa cultura orale che si riferiva alle origini della cultura greca. 

Ma qual'è la società che viene raccontata nell'Iliade e nell'Odissea? E' una società arretrata dove la divisione del lavoro era molto elementare e dove gli aedi avevano un ruolo fondamentale: quella di tramandare oralmente, attraverso la forma del canto epico, vicende e fatti ( anche storici) in chiave mitologica. 

Le vicende delle popolazioni greche del II millennio diventano l'occasione, quindi per trasmettere tutto il sapere dell'umanità al fine di insegnare la cultura materiale di un popolo ma anche con il preciso intento di non disperdere la memoria storica e collettiva di un intero popolo. 

Una funzione pedagogica e didattica che si incentrava su due episodi quasi fondanti: la guerra di Troia e la genealogia degli dei

 

 

TANTI CANTORI

Quindi non Omero come singolo personaggio, ma Omero come tanti cantori che, a seconda del temperamento o dell'occasione, recitavano a memoria questo o quel passo; ci troviamo dinanzi a dei passi che furono riuniti e che non rappresentavano un tutto organico e compiuto così come lo conosciamo oggi. 
Sarà solo con il tempo che questi passi assumeranno una forma compiuta dove i fatti si succederanno logicamente e cronologicamente. 
Ecco allora che da questa tradizione orale espressa da tanti cantori nasce l'opera che per comodità chiameremo "omerica" ed è più che probabile il fatto che ogni singolo cantore fosse impegnato a trasmettere la sua parte e che conoscesse solo quella a memoria e che alla fine di questo lungo percorso gli elementi mitologici-fantastici abbiano superato quelli storici. 

E' un fatto tuttavia che i progenitori dei Greci e cioè gli Achei vissero almeno sei secoli prima dei cantori su menzionati e questo è stato ricavato dal contenuto stesso dei poemi omerici che possono inquadrarsi in quel periodo del II millennio a.C che viene denominato medioevo ellenico. 

Ma qual'è la società narrata nei poemi omerci? E' una società primitiva dove vi è un forte egualitarismo e dove soprattutto non c'è alcuna autorità scritta che emergerà solo quando si affermerà l'aristocrazia. 

In ogni caso questi cantori che per tradizione chiamiamo Omero sia che si riferiscano alla civiltà degli Achei o a quella di sei secoli dopo, ci dicono molte cose sull'ordinamento civile e sociale, sulla cultura materiale, sulla religione e le credenze di un popolo che altresì sarebbe rimasto sconosciuto a noi moderni. 

A questo punto forse Omero è una bella invenzione, ma l'Iliade e l'Odissea rimangono come capovalori unici e insuperabili andando a costituire quel patrimonio dell'umanità che rende l'uomo superiore a tutti gli altri esseri viventi proprio come Ulisse.

 

Articolo di proprietà dell'autore, pubblicato anche altrove.2527645526_c40714554a.jpg

 

Fonte immagine:http://farm3.static.flickr.com/2055/2527645526_c40714554a.jpg

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Published by Caiomario - in Letteratura latina e greca
6 agosto 2012 1 06 /08 /agosto /2012 17:55

saldatrici

 

 

 

Quando nel 1936 Luigi Piandello morì, questo avvenne a causa di una polmonite contratta mentre, negli stabilimenti d Cinecittà, assisteva alle riprese del romanzo che più lo ha reso celebre "Il fu Mattia Pascal". 

Paradossalmente morì come un personaggio pirandellano: un'uscita di scena quasi teatrale sulle scene e dalle scene, quasi ad effetto, in una situazione normale e apparentemente calma, avvenne il fatto imprevisto. 

La NOVELLA COME GENERE LETTERARIO 

Se, come dicevamo, il romanzo di maggior successo è stato "Il fu Mattia Pascal", è altrettanto vero che la novella ha rappresentato il genere letterario a cui Pirandello dedicò le sue attenzioni per tutta la vita. 

Iniziò a pubblicare le novelle in giornali e riviste fino a racoglierle in un volume "Novelle per un anno" che come dice il titolo, avrebbe dovuto contenerne 365, mentre in realtà la composizione arrivò al numero di 230. 

La novella moderna inaugurata da Pirandello, quale genere letterario, ha costituito una tappa fondamentale per la storia della letteratura ma è stata anche l'occasione per rappresentare una galleria di personaggi che spesso costituirono la base per ulteriori sviluppi che si concretizzarono in romanzi e rappresentazioni teatrali. 

Quello che contraddistingue la novella pirandelliana è la sua struttura, unica e inconfondibile, quasi una firma autografa che la rende riconoscibile immediatamente: in una situazione assolutamente normale e ordinaria quale quella che si può vivere quotidianamente, avviene un fatto improvviso, repentino che fa da rottura con le abitudini ordinarie; questo fatto repentino e accidentale arriva a modificare la struttura percettiva del personaggio, il suo livello d coscienza appare modificato, quasi traumatico. 

Questo accadimento può essere esterno e da accidentale si trasforma in determinante e centrale nel fare emergere un ricordo o una sensazione. 

Ecco l'inizio del dramma: l'intera esistenza del personaggio della novella pirandelliana, viene turbata mentre acquista un livello di coscienza di sè che gli permette di vedere il mondo in modo totalmente diverso, un mondo falso nel quale la forma nella quale è vissuto, viene disconosciuta. 

A questa presa di coscienza, segue il rientro nella vita normale ma con l'arricchimento che viene dalla consapevole lucidità che gli consente di riconoscere il paradosso della vita, la sua stravaganza e il suo destino tormentato e senza via d'uscita. 

Ma qual'è lo stumento che Pirandello predilige per approfondire la realtà, per scavare nelle coscienze? E' lo strumento per eccellenza che non ammette l'altro: il monologo, mentre nel dialogo in un certo qual modo si riconosce l'altro, nel soliloquio si assiste a un ripiegarsi su se stesso a uno scavare la propria coscienza per capire il mondo. 

Pirandello introdusse nel campo letterario degli altri elementi che prima di allora non avevano una grande importanza: gli oggetti ( mobili, quadri, oggetti d'arredo, abiti, parti della casa come una porta o una finestra). 
Questa caratteristica ci può fare definire Pirandello anche un ritrattista di nature morte che al pennello preferì la penna, e questa rappresentazione non è semplicemente uno sfondo presente nei suoi racconti come accessorio ma è uno degli elementi a cui è condannato l'uomo e che costituiscono la sua prigione: 

"attaccati alle cose, vivendo per le cose, finiamo coll'essere prigionieri delle cose che inevitabilmente sopravvivono a noi".

 

Articolo di proprietà dell'autore, pubblicato anche altrove.

 

Per ulteriori approfondimenti sulla figura di Luigi Pirandello si consiglia la lettura del seguente libro:

  • Autore: Lauretta Enzo
  • Titolo: Luigi Pirandello Storia di un personaggio «fuori di chiave»
  • Editore: Mursia
  • Collana: Storia biografie diari
  • Data di pubblicazione: 15/10/2008
  • Codice EAN: 9788842541448

 


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Published by Caiomario - in Letteratura
6 agosto 2012 1 06 /08 /agosto /2012 14:29

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alla-ricerca-del-tempo-perduto.jpg

 

"Alla ricerca del tempo perduto" è un'opera la cui lettura non può assolutamente essere affrontata come qualsiasi altro romanzo; anzi è un'opera che non è per tutti e che non tutti sono in grado di affrontare.

Prima di tutto perchè è un'opera monumentale costituita da un ciclo di sette romanzi tra cui due postumi e poi perchè l'intero romanzo si basa sul ricordo, tanto da apparire a volte disordinato e fuorviante.

Ma se si decide di intraprenderne la lettura, ci si trova davanti ad un autentico capolavoro, unico nel suo genere, sicuramente il più straordinario per quanto riguarda la capacità introspettiva del protagonista che si racconta.

E il protagonista non è altro che Proust stesso che parla in prima persona ripercorrendo le tappe più importanti della propria vita attraverso la rievocazione e il ricordo.
Questa ricerca della memoria assomiglia quasi ad uno stato onirico dove gli stessi personaggi evocati appaiono come trasformati rispetto alla realtà.

Non potendo riassumere l'intero romanzo nello spazio di un articolo, per avere un'idea compiuta, possiamo prendere come esempio il personaggio di Swann, un amico di famiglia che ha intrecciato una storia d'amore con la bella Odette de Crécy, donna affascinante ed elegante che frequenta gli ambienti più esclusivi di Parigi.
Proust con la capacità descrittiva che gli è propria riesce a descrivere come il colto e raffinato Swann, uomo pacato ed equilibrato, si faccia prendere dal vortice della gelosia.
Una gelosia che nasce quasi silente, provocata da particolari insignificanti che provocano dei sospetti e che Proust riesce a comunicare al lettore descrivendo quello che molti innamorati farebbero: Swann va a trovare Odette ad un orario non previsto, sente dei rumori provocati da dei passi, va via, ritorna dopo un'ora, Odette si giustifica dicendo che non ha fatto in tempo a rispondere al campanello perchè quando era andata ad aprire non aveva trovato più nessuno.

L'episodio raccontato da Proust, è emblematico perchè la sequenza descritta è la medesima che ritroviamo in tutta l'opera: il protagonista è lui che riferisce il pensiero di Odette, le supposizioni sono le sue, i sentimenti, le parole, le obiezioni sono sempre riferiti in prima persona.
Ogni particolare riferito assomiglia più ad un'autoanalisi che ad un racconto di eventi, l'elemento introspettivo prevale sul racconto, il monologo prende il posto del dialogo.

Un altro aspetto interessante dell'opera è che grazie a Proust abbiamo il più grande e completo affresco della società francese dei primi anni del secolo XX, un affresco che coglie molteplici aspetti che vanno dalla condizione sociale dei ceti produttivi a quella delle classi meno abbienti, dai meccanismi di consenso sociale al sistema dei valori individuali dominante..insomma una miniera di spunti per chiunque volesse conoscere la società francese dei primi del Novecento.

E' proprio la grandiosità della struttura dell'opera che ha un enorme valore documentario e dove grazie alla sensibilità di Proust la materia si colorisce poeticamente con una forma di lirismo che la trasfigura: la materia grezza viene trasformata ricevendo così una luce che pulsa e che si riflette nelle coscienze dei personaggi: anche la più piccola cosa descritta da Proust è l'occasione per mostrare come il ricordo ne possa trasformare addirittura la struttura.

Proust riesce a far affiorare oggetti, eventi, persone dal fondo della memoria, quasi immersi nel magma del tempo che tutto inghiotte e che vengono mediati dalle coscienze di ciascuno dove vengono modificati e travisati: ecco allora che alla psicologia tradizionale, statica ed immobile, Proust sostituisce una psicologia in movimento dove emergono mille sfaccettature, sovente imprevedibili, sfaccettature delle innumerevoli coscienze che interpretano la realtà cogliendone solo uno degli infiniti aspetti.

Opera che consigliamo ai lettori più volenterosi e più pazienti.

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Published by caiomario - in Libri
6 agosto 2012 1 06 /08 /agosto /2012 06:05

Investimento

Favole al telefono - Gianni Rodari - Favole al telefono - Gianni Rodari Libri

 

 

Gianni Rodari aveva più di una volta dichiarato il suo amore per la letteratura infantile confessando di volere "scrivere per i bambini -(non "per i ragazzi") e a proposito della differenza tra lettori bambini e  lettori ragazzi puntualizzò dicendo:  "è giusto che  (i ragazzi) leggano Tolstoj, Primo Levi o Ho Chi Min, che nuotino nel mare, grande senza salvagente. 
Questa passione che gli valse nel 1970 il Premio Andersen (una sorta di "Nobel della letteratura infantile come ricordano i curatori dell'edizione pubblicata nel 1971 da Einaudi), nacque per caso e lo portò ad essere uno degli autori più prolifici del genere; nel periodo che va dal 1950 al 1974 scrisse circa una dozzina di libri dedicati ai bambini, libri che riscossero un successo internazionale e che vennero tradotti in molte lingue. 
Quando Rodari parlava dei suoi esordi diceva che i suoi primi scritti non erano rivolti a bambini qualunque ma a bambini che avevano in mano un quotidiano politico riferendosi a quei primi racconti umoristici inseriti nell' "Unità" dove lavorò tra il 1947 e il 1950. Ma da dove nascevano questi racconti? Erano spesso una riproposizione delle narrazioni che raccontava ai suoi alunni per tenerli buoni. La sua prima raccolta intitolata "Il libro delle filastrocche" venne pubblicata nel 1950, seguirono poi "Le avventure di Cipollino" e poi dopo aver pubblicato altri celebri racconti "Favole al telefono" considerato un capolavoro della letteratura infantile. 

Ci piace la definizione che Rodari diede di se stesso quando si paragonò ad un fabbricante di giocattoli e ricordando che la maggiore soddisfazione per un autore che scrive libri destinati ai bambini è quella di impegnare tutta la personalità dei giovani lettori esattamente come accade con il giocattolo. 
Tutte le storie di Rodari sono quindi prima di tutto un esercizio ludico. Sposo appieno l'idea che i libri scritti per uno scopo ludico siano l'incontro ben riuscito tra poesia e pedagogia. 

FAVOLE AL TELEFONO 

Sono state pubblicate numerose edizioni di "Favole al telefono" a partire dal 1961, ho l'edizione del 1973 pubblicata nella collana "Gli Struzzi" di Einaudi. 
Il libro si compone di 70 favole brevi, occupano non più di due paginette ciascuna, sono tutte storie surrealiste; molte di queste favolette sono indimenticabili come, ad esempio, quella intitolata "Gli uomini di burro" in cui si racconta la storia di "Giovannino Perdigiorno" che capitò nel paese degli uomini di burro che si squagliavano al sole oppure la famosissima "Brif, bruf, braf" che racconta la storia di due bambini che nel cortile della loro abitazione si divertivano ad inventare una lingua speciale per non fare capire niente agli altri. 
Nei racconti non c'è nessuna morale esplicita come ad esempio si trova nei favolisti classici è presente il gusto del raccontare per il raccontare come faceva il ragionier Bianchi di Varese che ogni sera in qualunque parte si trovasse raccontava a sua figlia una favola .....al telefono e siccome il telefono lo pagava raccontava favole brevi....ecco risolto il mistero della brevità di ciascuna favola. 

Ci piace poi quella definizione di "favole belline" usata da Rodari per connotare i suoi racconti, aggiungerei che sono favole semplici adatte ai bambini che, come si sa, non amano gli schemi e sono molto diretti. 

 La definizione di "favole belline" usata da Rodari  e il titolo scelto per la breve raccolta sembrano più dettate da ragioni di carattere affettivo verso i bambini e forse da esigenze di comunicazione, anche se più che di favole potremo parlare di "racconti brevi di fantasia" in quanto mancano gli elementi morfologici delle favole quali la figura dell'eroe, dell'antagonista, dell'apparizione, della magia etc.

Suggeriamo infine la lettura de "L'omino di niente", è l'ultima della serie,  ma in poche righe viene descritto il comportamento tenuto da molte persone, la cosa migliore è meglio leggerla e arrivare alla proprie conclusioni. 

STORIA UNIVERSALE 

"In principio la terra era tutta sbagliata, renderla più abitabile fu una vera faticata..............C'erano solo uomini con due braccia per lavorare, e agli errori più grossi si poté rimediare. Da correggere, però, ne restano ancora tanti: rimboccatevi le maniche, c'è lavoro per tutti quanti". 
(Da "Favole al telefono").

 

Articolo di proprietà dell'autore adattato per questo spazio

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Published by Caiomario - in Libri
5 agosto 2012 7 05 /08 /agosto /2012 10:38

 

 

UN ESEMPIO DI NARRATIVA MERIDIONALISTICA

Le opere di Ignazio Silone rientrano il quel filone letterario che viene definito della "narrativa meridionalistica" e che è appieno inserita, riflettendola, nella situazione drammaticamente in bilico tra abbandono e impegno intellettuale in cui versava il Sud Italia negli anni Trenta.
Tale precisazione introduttiva è necessaria perchè Silone sembra voler indicare non la strada del disimpegno e degli astratti furori ma quella dell'impegno politico e sociale, non solo scandalo e denuncia, quindi, ma anche impegno ideologico, un impegno che diventerà critico e che porterà Silone a rivedere le sue scelte di adesione partitica ed ideologica.
Tale percorso è ben evidente nel romanzo "Fontamara" ma anche nel secondo suo romanzo "Pane e Vino" composto intorno agli anni 1935-36 e che sarà completamente revisionato negli anni '50 per assumere il titolo definitivo di "Vino e pane".

Le problematiche poste da Silone in "Vino e pane" riflettono la situazione dell'intellettuale inserito nel mondo contadino e che da quel mondo proviene, Silone è stato spesso accusato di ingenuità ma le sue riflessioni se sono uno sprone verso l'impegno sociale, lo sono anche dal punto di vita della reazione individuale nei confronti delle tematiche di sempre tra cui quella della libertà come condizione esistenziale del singolo individuo.

A questo proposito è necessaria la citazione letteraria perchè riteniamo questo passo del romanzo di straordinaria attualità, scrive Silone:

"La libertà non è una cosa che si possa ricevere in regalo..Si può vivere anche in un paese di dittatura ed essere libero, a una semplice condizione, basta lottare contro la dittatura. L'uomo che pensa con la propria testa e conserva il suo cuore incorrotto è libero. Per contro, si può vivere nel paese più democratico della terra, ma se si è interiormente pigri, ottusi, servili, non si è liberi, malgrado l'assenza di ogni coercizione morale si è schiavi. Questo è il male, non bisogna implorare la propria libertà dagli altri. La libertà bisogna prendersela, ognuno la porzione che può" (Vino e pane, p.67)

La libertà non è quindi qualcosa che ci viene data dall'alto ma è una condizione esistenziale, colui che è pigro e aspetta che gli altri agiscano al suo posto non è un uomo libero perchè è succube delle decisioni degli altri, oltre a ciò il servilismo e l'ottusità si riproducono in qualsiasi sistema a prescindere dalle condizioni politiche esistenti.
L'impegno sociale quindi non può essere l'alibi per coprire la propria vigliaccheria che tende a vendere se stessi, vendendo gli altri anzi, l'impegno sociale, in questo caso, diventa solo un'azione illusoria che serve a giustificazione della propria ottusità.
Quanta attualità in queste parole!
C''è chi la libertà la invoca e che poi una volta che l'ha ottenuta, non fa altro che riprodurre gli stessi meccanismi presenti nella condizione di assenza libertà: la libertà è impegno corale ma è prima di tutto una condizione esistenziale!

Un altro aspetto presente nel romanzo è quello che riguarda la vocazione della Chiesa intesa come comunità ma anche come istituzione ai cui rappresentanti Silone ricorda la vera missione autenticamente cristiana.
E' questo un nodo irrisolto e se vogliamo ancora di grandissima attualità e che costituisce una delle ragioni dell'allontanamento da parte di molti che vedono nella Chiesa una struttura verticistica intenta solo a fare dichiarazioni e a cui manca la coerenza di comportamenti.
La Chiesa non può che non essere Chiesa di poveri, dei poveri materiali e dei poveri di fede che si sono allontanati perdendo ogni speranza, questa è una delle ragioni storiche per cui una parte del mondo cattolico aderì a posizioni ideologiche socialiste che nascevano da quest'ansia di giustizia sociale che molti videro tradita nell'incoerenza dei comportamenti del clero, spesso lontano da una visione autenticamente vangelica.
L'essere cristiani è quindi, prima di tutto, coerenza di comportamenti ed è un discorso analogo a quello della libertà, l'opera della Divina Provvidenza non si attua con il servilismo e l'ottusità nei confronti del potere, sia esso politico o ecclesiastico, ma attraverso l'impegno personale aderente e coerente alla missione evangelica.

Silone aveva avuto un'educazione religiosa in cui il ruolo della madre era stato fondamentale nella trasmissione dei racconti evangelici, nella maturità crebbe la convinzione che il Vangelo si debba realizzare nella carità, nella testimonianza, nella coerenza dei comportamenti, un Cristianesimo vissuto senza testimonianza è solo formalismo, culto esteriore, servilismo.

Figura centrale del libro è quella di Pietro Spina che sotto le false generalità di Don Paolo Spada vive la clandestinità travestito da prete e le tematiche descritte nelle righe precedenti rientrano in questa scelta di commistione di ruoli dove il falso prete finisce per ragionare come un vero sacerdote.

E' un bel romanzo, forse troppo snobbato dalla critica, in cui Silone fa autocritica, rivede le proprie scelte ideologiche e giustifica i propri sbagli ma è anche un accorato invito a non rinunciare alla libertà anche se apparentemente l'impegno del singolo sembra non portare risultati immediati ed emblematica sembra essere la seguente frase:

"In ogni dittatura..un solo uomo, anche un piccolo uomo qualsiasi, il quale continua a pensare con la propria testa, mette in pericolo l'ordine pubblico".

  • Vino e pane, il vino offerto in sacrificio, simbolo di sacrificio nei riti del giudaismo antico, il vino simbolo del sangue di Cristo, il vino consustanziale, il pane corpo di Cristo, dono di Dio ed emblema della vita, vino e pane il pasto del Signore........

Prima di leggere l'ultimo best seller bisognerebbe scoprire le opere della nostra letteratura.......

 

Titolo: Vino e pane

Autore: Ignazio Silone

Editore: Mondadori

Collana: Oscar classici moderni

Pagine: 302

Anno di pubblicazione: 2001

Codice EAN: 9788804496045

 

  • Prezzo di copertina: euro 9,50.

 

 

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Published by Caiomario - in Libri
5 agosto 2012 7 05 /08 /agosto /2012 09:27

Se si potesse fare un'immaginaria classifica dei libri più complessi del Novecento questo è senza dubbio "Finzioni" di Jorge Luis Borge, un libro che è molto difficile ridurre nel breve spazio di una recensione non foss'altro per i passi a volte oscuri che nascono dal gusto della metafora del grande scrittore argentino. 

Il libro contiene un racconto scritto da Borge nel 1941 e pubblicato in Italia per le edizioni Einaudi nel 1955;   Borges immagina di riprodurre il manoscritto di un anonimo, non narra una vera e propria storia ma descrive una Biblioteca che corrisponde in realtà all' universo.Il tema trattato è quello del caos e del tentativo dell'uomo di dare un ordine, un significato alla molteplicità di cose che si sovrappongono senza una apparente connessione logica. 


Il mondo è quindi come una Biblioteca e questo paragone ha un alto valore simbolico come tutto il racconto che procede per allegorie: l'uomo si trova dinanzi a questo insieme di segni apparentemente ordinati che sono in realtà incomprensibili. 
Ma oltre ad essere indecifrabile il mondo si manifesta come una realtà illusoria e Borges parla della presenza nella Biblioteca di uno "specchio che fedelmente duplica le apparenze", è questo un ulteriore elemento di inquietudine in quanto il mondo stesso appare come una duplicazione di una realtà vastissima ma non certo infinita. 

E' un concetto questo non nuovo nella storia della letteratura e che ritroviamo, per sempio in Kafka che utilizzava nei suoi romanzi particolari surreali e inquietanti: la realtà è sempre tutta quanta presente dinanzi agli occhi dell'uomo che, tuttavia, non la riesce a comprenderla sino in fondo. 

Tanto questo è vero che nel tentativo di cercare un senso l'uomo è alla ricerca di quello che Borges chiama "il catalogo dei cataloghi", un libro che racchiuderebbe il significato di tutti gli altri libri, ma lo stesso Borges nella duplice veste di autore e narratore non sembra nemmeno certo della sua esistenza. 

Così ogni uomo intraprende un lungo viaggio, fatto di ostacoli e di difficoltà che lo porterà a conoscere solo una parte minima della biblioteca: in questo senso Borges rifiuta sia l'atteggiamento degli idealisti secondo cui le cose sono manifestazioni di principi eterni sia la posizione dei mistici che pretendono di avere nell'estasi una risposta a ciò che è inconcepibile e assurdo. 

Non esiste quindi una spiegazione comprensibile alla mente dell'uomo e lo stesso tentativo di dare un ordine all'universo attraverso delle leggi fisiche non è che il tentativo maldestro di coprire questa sua incapacità a comprendere. 

Il linguaggio dell'universo appare criptico, le leggi vere sembrano delle crittografie: l'origine dell'universo come quella del tempo rimane un mistero insondabile a cui il linguaggio dei filosofi non ha saputo dare esaurienti risposte ma ha solo contribuito ad aumentare la confusione ponendo nuovi interrogativi. 

L'uomo che abita questo mondo è un imperfetto bibliotecario che cerca inutilmente di dare ordine a ciò che vede e da qui anche la nascita delle religioni che Borges definisce come il culto dell'Uomo del libro. 

E' un libro che lascia l'amaro in bocca perchè rivela sotto forma di una splendida allegoria, quella della Biblioteca, l'eterna e vana ricerca dell'uomo che dinanzi agli eterni interrogativi, nonostante il progresso tecnologico, finisce coll'assomigliare ad un eterno viaggiatore senza meta che continua a tentare una scommessa che non sarà mai vinta. 

Un capolavoro che consigliamo a chi desidera leggere un bel libro che sarà spesso sfogliato, consultato e riletto...senza tempo!

 

Finzioni

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Published by Caiomario - in Libri
5 agosto 2012 7 05 /08 /agosto /2012 07:04

Diamanti

Definire Antonio Tabucchi come il narratore italiano più importante che si è imposto nel panorama letterario tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli anni '80 non è un'esagerazione. 
Scrittore molto raffinato che si abbandona volentieri alla citazione, riesce a comunicare, attraverso la forma scritta, in maniera chiara e scorrevole prediligendo una scrittura agile e fluida rispetto allo stile letterario ampollloso e pesante.
L'opera che ha reso famoso Tabucchi in Italia e all'estero è stata "Sostiene Pereira", opera uscita nel 1994 per le edizioni Feltrinelli. 

TRAMA 

Il romanzo narra la storia di Pereira, un giornalista di mezz'età, vedovo, grassoccio, mite e incline alla solitudine che si trova a vivere in un particolare periodo storico: nel Portogallo della dittatura di Salazar mentre in Spagna è appena avvenuta una terribile guerra fratricida. 
Siamo nel 1938, di lì a poco sarebbe scoppiata la seconda guerra mondiale. 

Pereira non è un giornalista politico, al contrario ha sempre curato la pagina culturale di un giornale che viene pubblicato il pomeriggio, il "Lisboa". 

Ad un certo punto avviene un incontro del tutto casuale e inaspettato, Pereira conosce un giovane di origine italiana, Monteiro Rossi e lo assume per fare del praticantato nel giornale e Pereira ha talmente fiducia in questo giovane che decide di mantenerlo a proprie spese. 
Ma sarà questo incontro che cambierà molte cose nella vita di Pereira il quale incomincerà a pensare che sarebbe stato necessario agire contro la dittatura. 

Ma in questo giovane Pereira non vede il personaggio appassionato di politica ma rivede se stesso con le sue ansie e i suoi desideri e vede anche quel figlio mai nato e in fondo sempre desiderato. 
Ma l'evento che muterà per sempre la vita di Pereira è la morte di Monteiro Rossi, morte che Pereira vivrà come un dramma personale anche perchè si rende conto dell'impotenza dinanzi a un fatto dinanzi al quale Pereira non può fare nulla. 

Ed ecco quindi l'idea di far conoscere al mondo le modalità della morte del giovane che si concretizzerà con un articolo sul giornale nel quale Pereira firmando con il proprio nome, fa conoscere a tutto il mondo come sono avvenuti i fatti. 
Alla fine scoperto, sarà costretto a rifugiarsi in Francia. 

Il libro è articolato in 25 capitoli e in tutti i capitoli ricorre una frase: 

"Sostiene Pereiradi averlo conosciuto in un giorno d'estate. La ragazza che arrivò, sostiene Pereira, portava un cappello di rife

L'intero romanzo, comunque non è frutto della fantasia di Tabucchi ma si ispira a un personaggio realmente vissuto, un giornalista che aveva pubblicato un articolo contro il regime e che poi venne costretto a rifugiarsi all'estero. 
Quando la dittatura terminò, Pereira decide di tornare in Portogallo dove morirà dimenticato da tutti. 


Possiamo definire "Sostiene Pereira" un romanzo all'incontrario nel senso che le parti sono rovesciate: una persona matura riacquista la coscienza di sè grazie a un giovane che gli fa capire che bisogna guardare al futuro e ribellarsi alle ingiustizie e all'oppressione e tutto questo senza rassegnazione e pagandone l'inevitabile costo. 

Il problema realtivo al ruolo dell'intellettuale e alla sua funzione nella letteratura è un problema che è stato affontato innumerevoli volte e Tabucchi da una sua chiave di lettura: l'intellettuale non deve essere acquiscente, anzi deve stimolare le coscienze, ponendo degli interrogativi al fine di non accontentarsi di una visione unica che infonde artificiosamente sicurezza ai cittadini. 

L'intellettuale deve essere , quindi,uno stimolatore di coscienze per aiutare le persone a scrollarsi di dosso quel conformismo dinanzi alla realtà che porta all'accettazione e alla rassegnazione anche dei peggiori soprusi. 

Un libro di grande coscienza civile che induce il lettore a pensare che non c'è età per aderire a nuovi ideali umani, politici e civili e che questa adesione può nascere solo quando ci riappropriamo della nostra coscienza anche perdendo qualcosa che ci da sicurezza , nonostante il succedersi inesorabile dei giorni. 


 L'impegno è per chiunque non solo per l'intellettuale.

 

Sostiene Pereira - Antonio Tabucchi Libri

 

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Published by Caiomario - in Libri
4 agosto 2012 6 04 /08 /agosto /2012 19:17

Il personaggio Moni Ovadia riesce sempre in un intento: quello di non passare inosservato e questo principalmente per due motivi: 

  • lo straordinario acume intellettuale 
  • una cultura ed un'erudizione non comune 

Da fine intellettuale qual'è Ovadia riesce a stupire ogni qual volta si ha la possibilità di ammirarne le doti non solo come autore teatrale ma anche come cantante e scopritore di curiosità musicali spesso relegate ai margini e destinate ad essere smarrite dalla memoria dei più. 

Nato a Budapest nel 1946 si trasferisce con la sua famiglia a Milano dove consegue la laurea in Scienze Politiche presso l'Università statale di Milano. 

Impregnato di cultura yiddish propria degli ebrei dell'Europa orientale, si è contraddistinto per aver iniziato una imponente opera di raccolta degli elementi costitutivi di questa particolare cultura che all'interno del mondo ebraico è stata generatrice di un patrimonio non solo religioso ma anche letterario ed artistico di grande spessore.

Proprio partendo da queste specificità, Ovadia ha dato il meglio di sè rivelando un interesse non solo culturale ma anche da autentico studioso antropologicamente orientato a ricostruire con pazienza certosina tutti gli elementi strutturali affrontando anche la lettura dei testi dal punto di vista demologico facendo subentrare alla rappresentatività puramente letteraria quella socio-culturale. 

Quindi questo studio delle proprie origini familiari e culturali non è stata solo una ricerca della propria memoria con l'intento di affermare il principio che questi elementi siano più validi e più belli ma con l'obiettivo ( a parere mio riuscito) di rappresentare una particolare e specifica condizione culturale. 

Proprio questa operazione, intellettualmente molto raffinata, ha consentito a Moni Ovadia di dialogare con il mondo non ebraico e di evitare qualsiasi celebrazione autoreferenziale che avrebbe potuto relegarlo all'interno di un gruppo etnico con il rischio di non avere alcuna possibilità di comunicazione se non con chi facesse parte di quella particolare cultura. 

Ogni formazione culturale vive una sua sorta di vita quando dura più o meno nel tempo, cominciando ad esistere e propagandosi nel tempo, fisicamente nello spazio e cessa quando muoiono gli usi praticati dagli individui, solo raccogliendo gli elementi culturali si riesce a farli circolare impedendone la dispersione al di là del fatto che questo avvenga all'interno di gruppi culturalmente omogenei. 

La pregevolissima opera di Ovadia quindi si è manifestata sia nel campo musicale con il gruppo Ensemble Havadia dove sono stati raccolti tutti quegli elementi della tradizione orale o che erano parzialmente scritti e che hanno permesso di fare conoscere un repertorio di musica etnica di straordinario interesse culturale. 

Di notevole interesse è l'attività nel campo teatrale, dove Ovadia ha dato il meglio di se non solo come autore dei testi ma come interprete unico e straordinario: basti pensare allo spettacolo Oylem Goylem dove vengono cantati testi musicali della tradizione klezmer che è un genere musicale molto particolare dove è presente una commistione di melodie yddish, polacche, russe e comunque riconducibili ad un'area geografica ben delimitata che è quella dell'Europa Orientale. 

Numerosi sono i testi scritti da Ovadia che ha dato alle stampe libri di grande successo come ad esempio "Oylem Goylem" che riprende il contenuto della rappresnetazione teatrale, dandogli forma scritta e permettendone una consultazione più meditata. 


Tutte le annotazioni riportate hanno evitato di riportare quanto è già scritto presso altre fonti, l'elenco dei libri pubblicati e del materiale pubblicato (DVD etc...) è reperibile presso il sito ufficiale dell'artista, ritenendo perfettamente inutile fare un elenco che già altri egregiamente hanno fatto, pensando, invece che possa essere un contributo valido quello che nasce esclusivamente dalla propria esperienza e dalle proprie riflessioni.

 

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Fonte immagine: http://farm2.static.flickr.com/1022/577193429_d3b90324ee.jpg

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Published by Caiomario - in Ritratti
4 agosto 2012 6 04 /08 /agosto /2012 09:01

saldatrici

 

 

 

 

"La notte della Repubblica" è il libro più famoso di Sergio Zavoli e prende il titolo dalla famosa trasmissione condotta dallo stesso Zavoli nel 1989 e andata in onda sulla Rai; quel programma documentario, da cui nacque l'idea del libro, rimane ancora oggi uno dei migliori esempi di giornalismo di alto livello a cui si sono poi ispirate tutte le trasmissioni televisive di inchiesta. 

L'obiettivo del libro come della trasmissione era quello di raccontare e di spiegare che cosa accadde in Italia dal 1968 alla fine degli anni '80, l'obiettivo di Sergio Zavoli che fu anche quello di Enzo Biagi era ambizioso purtroppo dei tentativi di colpo di stato che ci sono stati italiani e delle varie stragi che hanno insanguinato piazze, strade, stazioni e treni sappiamo poco e in tutti i casi non si sono mai conosciuti né i colpevoli né i mandanti. 

Rimane però l'aspetto cronachistico e il valore storico dei fatti raccontati che partono dal progetto di golpe militare organizzato nel 1964 dal generale Giovanni De Lorenzo, l'evento centrale da cui nacque tutto fu la strage di Piazza Fontana del 1969, non poteva sapere Zavoli in quel periodo gli sviluppo dell'inchiesta giudiziaria ma i dubbi di oggi sono quelli di allora: chi ha ordinato di mettere la bomba? Non basta la parziale verità processuale a dare spiegazioni e il capitolo sulla minaccia di destra golpe e golpisti aiuta parzialmente, se letto oggi, a fare chiarezza sulle collusioni dei servizi segreti con le frange più estreme della destra eversiva e della sinistra più estrema. 
Il problema purtroppo irrisolto è quello del cosiddetto "segreto di Stato" che riguarda tutti gli avvenimenti descritti nel libro, su questo aspetto probabilmente il lettore si sarebbe aspettato di più, l'attacco al cuore dello stato è stato condotto proprio da esponenti delle istituzioni e della politica. 

Nella carrellata di fatti e personaggi intervistati da Zavoli forse l'unico personaggio che avrebbe potuto fare chiarezza era Giulio Andreotti che in quegli anni era l'esponente più importante e più addentro nel potere. Nessun ministro dell'Interno e nessun presidente della Repubblica a partire dalla bomba di Piazza Fontana si è mai adoperato per  togliere il velo sul segreto di Stato, ancora oggi le indagini sono destinate ad arenarsi proprio perché ci si appella a chissà quali ragioni di sicurezza e a quali assurdi interessi di Stato che a quanto pare non sono quelli dei cittadini.

C'è il peggio del peggio dell'Italia che ci portiamo dietro e che ci ha portato dove siamo ora, non bisogna dimenticarlo e non dovrebbero dimenticarlo le nuove generazioni. 
Cosa sappiamo dell'omicidio Calvi e di quello Ambrosoli? Cosa sappiamo di Manuela Orlandi e delle collusioni con lo IOR oppure ancora cosa sappiamo della Strage di Ustica ? Cosa sappiamo oggi sulla trattativa Stato-Mafia o sulla Strage di Bologna?  Pochissimo e in molti casi nulla, assolutamente nulla.  La verità processuale non è la verità, questo bisognerebbe tenerlo a mente ad ogni ricorrenza

Se non partiamo da lì, allora di cosa vogliamo parlare? Il tentativo di Zavoli però è onesto e aiuta a comprendere il clima di quegli anni a partire dalla contestazione giovanile e dalla protesta operaia. 

Letto con gli occhi di oggi il libro di Zavoli può essere utile, soprattutto in un paese che ha la memoria corta e che dimentica troppo facilmente. 

 Quando si vogliono trovare dei colpevoli a tutti i costi e non i colpevoli, quando rappresentare un'associazione delle vittime diventa una professione, quando non si chiede ai rappresentanti delle istituzioni che cosa significa apporre il segreto di Stato su certe vicende, la ricerca della verità è inutile.

Chi sono i mandanti? Solo abolendo il segreto di stato è possibile saperlo, un libro purtroppo non basta  per superare la cortina fumogena che avvolge i tragici fatti della nostra recente storia....anche se l'ha scritto Sergio Zavoli.

 

Per maggiori informazioni sul prezzo e la disponibilità del libro consultare:

http://www.amazon.it/notte-della-Repubblica-Oscar-bestsellers/dp/8804401907/ref=sr_1_1?s=books&ie=UTF8&qid=1344069175&sr=1-1 

 

 

La notte della Repubblica (Oscar bestsellers)

 

 

Articolo di proprietà dell'autore, modificato per questo spazio.

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Published by Caiomario - in Libri
3 agosto 2012 5 03 /08 /agosto /2012 07:10

 

 

 

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Di Jules Verne scrittore anticonformista che sapeva raccontare il mondo fantastico delle avventure è stato detto tutto, non esiste però una proposta organica delle sue innumerevoli opere a differenza di quanto è accaduto per Emilio Salgari del quale sono state pubblicate delle validissime opere con apparato critico. 

Ci siamo formati sui libri di avventura e sui fumetti e da allora è nato l'amore verso tutti i libri di narrativa di viaggi e di avventure non solo quelli destinati ai ragazzi, ma anche quelli scritti per un pubblico adulto. 
E' opportuno tuttavia che il lettore moderno respinga  l'artificiosa distinzione che ha portato ad inquadrare i libri di avventura come genere letterario destinato ad un pubblico di adolescenti come se queste opere appartenessero ad un genere minore, solo in tal modo si dà la giusta importanza a delle opere letterarie che spesso sono dei capolavori.

"Il giro del mondo in ottanta giorni" è considerato, non a torto, il capolavoro di Jules Verne e sicuramente è quello più rappresentativo. Intanto è un libro dal quale si apprende molto per via dei numerosi riferimenti geografici e scientifici, oltre a questo aspetto "didattico" è apprezzabile il modo in cui Verne presenta i personaggi ricorrendo sovente alla caricatura e all'umorismo. 
Il romanzo è imperniato sulle gesta di Phileas Fogg, un gentiluomo dalla flemma immarcescibile che decide di fare il giro del mondo dopo aver fatto una scommessa nel club esclusivo di cui è socio. 
L'alter ego di Fogg e Passepartout, un factotum francese estroso e nel contempo turbolento. 

Il gioco narrativo è tutto tra le due figure che danno anima al racconto, la contrapposizione tra Flogg e Passepartout dà vita a due caratteri diversi che si completano a vicenda:da una parte il distaccato gentiluomo, preciso, sempre pronto a ricondurre tutto alla ragione e dall'altra il simpatico maggiordomo pronto alla chiacchiera facile, ma anche astuto e rapido nel prendere decisioni. 

Lo schema che utilizza Verne è un capolavoro di bella letteratura: prima vi è l'esposizione a cui segue l'esordio di un fatto o di alcuni personaggi su una determinata scena e poi la narrazione delle peripezie. Verne ricorre poi frequentemente alle pause descrittive, ai dialoghi e riesce in un modo unico a dare la sensazione al lettore di come scorre il tempo in questi ottanta giorni. 
Lo scrittore francese, poi, dà un'immagine articolata dei due personaggi e riesce a mantenere alta la tensione in ogni circostanza non rivelando mai del tutto la personalità di Fogg che rimane fino ad un certo punto del racconto un personaggio enigmatico e misterioso. 

Da Emilio Salgari a Robert Lewis Stevenson, da Jules Verne a Jonhatan Swift, sono numerosi gli autori che hanno scritto di viaggi ed avventure, uno dei generi letterari più affascinanti che secondo me rappresenta anche un momento di formazione oltre che un'occasione di evasione che merita di essere gustata anche in un'epoca in cui l'immagine prevale sulla parola scritta.

..e non dimenticate "Ventimila leghe sotto i mari", altro grande racconto di Jules Verne.

 

Articolo di proprietà dell'autore presente anche altrove.

 

 

Il giro del mondo in ottanta giorni - Jules Verne Libri

 

 

Fonte immagine in alto: http://farm3.static.flickr.com/2279/2145882179_7b476d8048.jpg

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