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27 luglio 2012 5 27 /07 /luglio /2012 21:10

EMOZIONI D'AFRICA 

Questo bellissimo romanzo pubblicato in Italia per la prima volta nel 1991 dalla scrittrice Kuki Gallmann che per quanto il nome possa dire il contrario, è nata e ha compiuto il suo percorso di studi in Italia, è un racconto emotivamente coinvolgente per il lettore. 
Nonostante il paragone possa sembrare azzardato un altro celebre romanzo, intitolato "Verdi colline d'Africa" di Ernest Hemingway è in grado di trasmettere quel mal d'Africa che è più che una nostalgia vissuta sull'onda dei ricordi personali, la Gallmann a differenza di Hemingway non riesce a tradire il richiamo originario alla sua terra adottiva e per quanto la trama sia incentrata apparentmente sul ricordo del figlio e del marito morto in Africa, la Gilmann come anche nell'altro romanzo "Notti Africane", mira a comunicare delle emozioni: ricordo, rimorso e rimpianto si rincorrono in una miscela di sentimenti che colpiscono per le capacità narrative della scrittrice che sembra non finire mai di stupirsi per la bellezza del Continente Nero e per le sue creature misteriose. 

Il racconto autobiografico parte dal periodo di studi in Italia della Galmann e poi dal successivo trasferimento avvenuto in Kenia nel 1972, cosa spinge una donna bianca a rimanere in una terra lontana dopo la morte del marito e del figlio, sola e per di più con una figlia ancora piccola e da crescere?. 
Probabilmente gli stessi motivi per cui spingono delle persone a lasciare i luoghi originari per andare in terre lontane dove vi sono culture e abituidini differenti, il viaggio a cui si accompagna la meraviglia e lo stupore per la bellezza dei luoghi, diventa un cammino interiore dopo il quale non è possibile più tornare indietro, sapori, odori, rumori, volti si mischiano creando una sorte di sindrome che rende impossibile qualsiasi adattamento alla terra originaria e come esiste il "mal d'Africa", esiste il male di tante altre terre, forse visitate per caso da turisti che improvvisamente diventano il luogo eletto nel quale passare il resto della propria esistenza. 
Quando nelle vene incomincia a scorrere l'aroma di una terra non esiste più possibilità di ritorno e al frettoloso turista contemporaneo che vede velocemente paesaggi, musei e luoghi di incomparabile bellezza può sembrare alquanto bizzarro che un occidentale decida di lasciare il suo quotidiano per cambiare radicalmente abitudini, ma non è questa forse la motivazione che ha spinto i viaggiatori di ogni epoca a spingersi verso terre lontane e sconosciute?
Al di là della trama e della bellezza del Continente Nero, il libro è l'occasione anche per misurarsi con la forza interiore di questa donna svizzera che con ostinazione persegue un sogno fino a realizzarlo amando la nuova terra più della sua terra d'origine come una figlia adottata che ama la madre che l'ha cresciuta. 

A tratti stucchevole il romanzo rimane comunque un ottimo esempio di bella narrativa, consigliabile prima di un viaggio in Africa.

 

http://giotto.ibs.it/cop/copt13.asp?f=9788804373629

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Published by Caiomario - in Libri
27 luglio 2012 5 27 /07 /luglio /2012 17:05

 

 

 

 

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MILIONI DI GIOVANI HANNO LETTO IL LIBRO, AI VECCHI NON INTERESSA 

Quando Klaus Werner-Lobo e Hans Weiss hanno scritto questo libro non avevano intenzione di fare un manifesto politico, il loro scopo era quello di scrivere un libro denuncia sulla realtà delle aziende multinazionali. Eppure hanno fatto politica. 
Quando poi il libro venne pubblicato il clamore e lo scandalo suscitato hanno preso una via inaspettata, milioni di giovani hanno incominciato a leggere il libro e a cambiare il modo di porsi davanti ai consumi. Il fenomeno "no global" da piccolo è diventato grande, internazionale e trasversale, all'origine di molti gruppi di protesta vi è prima di tutto una critica al sistema economico e solo dopo una insofferenza alla politica dei politicanti di professione. 
Ancora una volta il cambiamento può venire solo dai giovani, i vecchi sono tendenzialmente restii al cambiamento salvo qualche rara eccezione, ecco perché questo libro trova consenso soprattutto tra i giovani: vogliono cambiare nonostante le resistenze dei matusa. 


IL LIBRO 

* AUTORI:Klaus Werner-Lobo, Hans Weiss 
* TITOLO: I crimini delle multinazionali 
* EDITORE: Newton & Compton Editori 
* ANNO DI PUBBLICAZIONE: 2010 
* PAGINE: 333 
* PREZZO. Euro 12,90 



"I crimini delle multinazionali" è stato pubblicato da Newton & Compton nel 2010 in edizione economica, letto a distanza di due anni dalla pubblicazione appare fastidiosamente attuale, terribilmente provocatorio, purtroppo realisticamente vero. I due autori ci fanno conoscere da vicino le contraddizioni delle aziende multinazionali che da una parte producono i loro prodotti in condizioni di lavoro disumane e dall'altra, per vendere i loro prodotti si presentano in modo pulito ed eticamente impegnato. Dal quadro delineato nel libro emerge che questo agire nasconde un'ipocrisia e una falsità che sono esattamente il contrario di quanto si voglia fare credere ai consumatori occidentali, gli autori denunciano il doppio volto delle multinazionali insensibili ad ogni diritto umano pronte a fare qualsiasi cosa nell'ombelico del mondo e dall'altra parte capaci di presentarsi nei mercati occidentali con il volto ipocrita di chi sposa le cause della difesa degli animali o dell'ambiente. 

Le aziende più coinvolte nelle pratiche di un neo-colonialismo delle risorse e dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo sono secondo Klaus Werner e Hans Weiss quelle dell'elettronica e quelle farmaceutiche. Entrambe mettono in pratica numerose pratiche -tra cui l'acquisizione di terreni, miniere, accordi con forze politiche corrotte - per riuscire ad accaparrarsi le materie prime necessarie alla fabbricazione dei loro prodotti. Nel secondo capitolo del libro vengono pubblicati tutta una serie di documenti che provano l'esistenza di vere e proprie corruzioni elevate a sistema nei paesi africani, luoghi in cui si possono reperire materie prime rarissime come, ad esempio, la columbite-tantalite un minerale indispensabile per la fabbricazione di cellulari, computer, lettori Dvd e altri prodotti elettronici. 

I ROSSO MALPELO DEL CONGO, LA CORSA AL COLTAN 

I giacimenti più consistenti di columbite-tantalite sono in Congo, una delle zone più dilaniate dai conflitti e dalle guerre civili, gli autori riportano importanti documenti dai quali si evince che importanti multinazionali del settore dell'elettronica hanno intessuto una rete d'affari con le forze contendenti per finanziare i conflitti e come molti di questi conflitti siano strettamente legati ai proventi derivanti dall'estrazione della columbite-tantalite. 
Se in Italia il fenomeno dello sfruttamento del lavoro minorile è in gran parte debellato e persiste in alcune zone marginali del paese, in Congo circa il 30 per cento della forza lavoro adibita nell'estrazione di columbite-tantalite è formata da bambini in età scolare. 

NO TESTATO SUGLI ANIMALI MA TESTATO SUGLI ESSERI UMANI...E POI IL RESTO 

E' terribile venire a sapere che molte case farmaceutiche (nel libro vengono denunciati i nomi) utilizzano cavie umane per sperimentare l'efficacia dei farmaci. Se in molti paesi è vietata detta pratica ecco che diverse aziende multinazionali vanno ad effettuare queste pratiche dove è tollerato come, ad esempio, in Ungheria. 
Se tali pratiche sono sconcertanti e condannabili, lo sono altrettanto quelle che producono danni ambientali dalle proporzioni gigantesche causate da importanti aziend multinazionali nel settore alimentare che hanno sottratto centinaia di migliaia di ettari di terra agli autoctoni per impiantare coltivazioni intensive. 

LEGGERE L'ELENCO 

Nella seconda parte del libro si trova un elenco dettagliato di tutte le aziende coinvolte, in questo elenco si trovano aziende multinazionali che operano nel settore petrolifero, dell'elettronica, dell'abbigliamento, dei farmaci e persino dei giocattoli. I proprietari di queste aziende? Sono gli stessi della grande finanza internazionale. 

IN CONCLUSIONE 

I crimini delle multinazionali di Klaus Werner-Lobo e Hans Weiss non è un libro che deve piacere, come non piace il foglio che riporta i risultati delle analisi del sangue, è un libro-documento di denuncia di fatti reali, di fenomeni che troppi nel mondo occidentale volutamente ignorano per non fare conoscere all'opinione pubblica quello che accade davvero in quelle aree del mondo. Il colonialismo continua sotto altre forme. 

***Libro consigliato per sapere che dietro al "profumo dell'ottimismo" gronda del sangue.**** 

In Italia, a parte la trasmissione "Report" condotta da Milena Gabanelli, nessuno ha mai denunciato questi fatti.

Complimenti alla casa editrice che ha avuto il coraggio di pubblicarlo.

 

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Published by Caiomario - in Libri
27 luglio 2012 5 27 /07 /luglio /2012 09:26

 

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L'AUTORE 

La singolarità di Anthony De Mello sta nel fatto che è l'unico prete al mondo che parla per metafore utilizzando, in perfetta aderenza con lo spirito del Fondatore, la parabola quale strumento di comunicazione. Come il Fondatore che sapeva moltiplicare pesci e pani anche questo gesuita di Bombay è riuscito a fare un miracolo: il suo "Messaggio per un'aquila che si crede un pollo" in un anno è arrivato a vendere oltre 200 mila copie e il suo "breviario" di successo in soli 12 mesi è andato in stampa per ben 10 volte arrivando a toccare le 10 edizioni. Una performance straordinaria considerando che De Mello, prima della pubblicazione del libro, era un perfetto sconosciuto. 

La caratteristica dello stile di Anthony De Mello è l'umorismo, affronta argomenti interessanti senza farli pesare, non è uno psicologo di professione ma come il Fondatore capisce gli uomini e sa parlare al cuore delle persone e non c'è modo migliore, davanti all'imprevidibilità della vita, che quello di usare un linguaggio semplice e comprensibile a tutti. 
Questo contraddistingue lo scrittore di talento da quello mediocre, il suo "Messaggio per un'aquila che si crede un pollo" come il seguente "Istruzioni di volo per aquile e polli" sono due capolavori di semplicità ma non di banalità. 
De Mello assume le vesti del primatologo e va a scavare nel'intimo dell'uomo, i suoi libri pur non essendo dei testi di religione attingono a piene mani dal "Libro dei libri", il suo è un messaggio di speranza che potrebbe essere sintetizzato in questa frase: 

"( Talvolta mi trovo a dire alle persone): Voi resterete a bocca aperta quando arriverete lassù e scoprirete che non c'è alcun peccato che Dio non possa perdonare". 

"Messaggio per un aquila che si crede un pollo" è quindi un libro di speranza che parte dal concetto di peccato depurandolo di tutto ciò che di negativo questo termine si porta dietro. De Mello ci vuole dimostrare che credendo in noi stessi, ma vivendo intensamente. 

De Mello ama citare il Budda e racconta un episodio, un giorno un anziano si avvicinò a Budda che si trovava circondato dai suoi discepoli e gli chiese quanto tempo avrebbe voluto vivere, precisando che avrebbe potuto chiedere anche di vivere 1 milione di anni, Budda guardando il vecchio gli rispose con decisione: 8 anni. 
Si trattava di una strana risposta, quanto mai paradossale e ciò apparve tale anche ai suoi discepoli; uno di loro chiese al Maestro perché non avesse chiesto un milione di anni, osservando che in tal modo avrebbe potuto fare del bene a centinaia di generazioni. Ma ecco la risposta di Budda: "Se vivo un milione di anni, gli uomini saranno interessati più a prolungare la propria vita che a ottenere la sapienza". 

Ecco l'essenza del pensiero di Budda condiviso da De Mello: gli uomini sono più interessati a prolungare la propria esistenza che a migliorarne la qualità. 

Se prendiamo coscienza del nostro valore -sostiene l'autore- è il momento di spiccare il volo, smettere di essere un pollo e diventare un'aquila; inizia allora un vita totalmente nuova e possiamo trasformare la nostra vita in un'esperienza di gioia e di serenità. Questo non dipende dagli avvenimenti, ma dal modo in cui li affrontiamo e li percepiamo. La chiave della felicità quindi sta dentro di noi, ecco la morale dell'insegnamento di De Mello. 


CI SONO UOMINI CHE PENSANO....... 

.......di essere vivi perché respirano, mangiano, parlano etc, ed è chiaro che non sono morti , ma cosa significa essere vivi. 
La regola fondamentale della vita non è quindi vivere di sensazioni, ma vivere le sensazioni in quanto è l'emozione la regola fondamentale della vita, gli animali hanno bisogno di stimoli sensitivi, ma l'uomo ha bisogno di stimoli emotivi, senza stimoli noi ci deprimiamo, ci blocchiamo e allora abbiamo bisogno di fare sgorgare le emozioni cessando di avere timore e credendo nella ricchezza che abbiamo in noi. 
Se le paure bloccano gli uomini questi vivranno come polli non saranno liberi, non riusciranno a volare. 

Le idee esposte in "Messaggio di un pollo che si crede un'aquila" non costituiscono quindi una sorta di prontuario di formazione ad uso aziendale, ma sono una serie di insegnamenti che aiutano a scegliere l'amore, a desiderare qualcosa e a essere liberi. 
De Mello sviluppa poi questi temi nel libro seguente intitolato "Istruzioni di volo per aquile e polli", ma in "Messaggio per un'aquila che si crede un pollo" se ne trova larga anticipazione 

ATTENZIONE AI COLLEZIONISTI 

Da buon divulgatore De Mello non segue la via facile delle solite e improbabili istruzioni per raggiungere la felicità, se avete letto un romanzo come "Il collezionista" di John Flowes potete comprendere cosa significa non saper volare; il collezionista è un tizio che amava le farfalle al tal punto che le teneva infilzate e le ammirava impedendogli di volare. Un bel giorno si innamora di una ragazza di nome Miranda, la rapisce e le fa fare la fine delle farfalle. Chi era il collezionista? Uno che non aveva un buona opinione di sé stesso e che per ottenere i suoi fini imprigionava tutto ciò che gli piaceva. 

La ricetta di De Mello è esattamente il contrario, per stare meglio non bisogna sacrificare gli altri, ma cercare un proprio equilibrio. 


Concludo con una frase di De Mello che secondo me è una vera e propria perla di saggezza: 

"Esperienze gradite rendono piacevole la vita, esperienze dolorose la fanno crescere"

NOTA FINALE: Fino a qualche anno fa Anthony De Mello era uno dei miei scrittori preferiti e devo ammettere che ho attinto molto dalla sua visione di vita per creare il mio universo di valori. La suggestione che avevano su di me i suoi valori mi ha spinto a mettere in pratica alcuni suoi insegnamenti, spesso ci sono riuscito, altre volte no. Non sempre, infatti, riusciamo a vincere, la parte debole di noi e la vita che è un'esperienza meravigliosa, può dare anche delle cocenti delusioni, ma credo che alla fine non serva ragliare come un asino; e come dice De Mello "se vogliamo essere felici, possiamo esserlo immediatamente, perché la felicità sta nel momento presente". 


"Messaggio per un'aquila che si crede un pollo" di Anthony De Mello è edito da: 


EDIZIONI PIEMME SpA 

15033 Casale Monferrato (AL) - Via del Carmine, 5 
Tel. 0142/3361 Fax 0142/74233 



Ne consigliamo vivamente l'acquisto per smettere di essere polli e diventare AQUILE.

 

 Il breviario di Anthony De Mello...istruzioni per volare.

 

Scritto di proprietà dell'autore pubblicato anche altrove.

 

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Published by Caiomario - in Libri
27 luglio 2012 5 27 /07 /luglio /2012 05:08

STUDIARE LA STORIA SECONDO L'ACCEZIONE DEGLI "STUDIOSI" 

E' opportuno fare un chiarimento su tutto il periodo che va dall'inizio del 1900 al 1945, credo poi che possa risultare di una certa utilità cosa significa studiare la storia. 
Che la maggior parte degli individui abbiano una scarsa memoria storica questo è lapalissiano constatarlo, meno evidente è invece rilevare che, a parte gli accademici, la maggior parte delle persone confonde la conoscenza dello svolgersi degli eventi storici con una fugace lettura dei manuali scolastici. 

Ecco leggere un manuale scolastico, non è studiare la storia, un manuale ad uso didattico puà esere uno strumento di lavoro che può rispondere a degli intenti educativi che si propone la scuola, ma niente di più. 
Anzi, una conoscenza dei fatti storici attraverso la lettura di un manuale scolastico è assolutamente fuorviante e quando dico "assolutamente" mi riferisco ai risultati circa la conoscenza media degli italiani della storia. 

Studiare la storia secondo l'accezione degli studiosi è invece cosa ben diversa, significa prima di tutto andare alla ricerca di tutte le fonti documentarie che permettono di ricostruire questo o quel periodo storico. 
La storiografia moderna -e in particolare quella italiana- è piena di trappole perché non si è mai liberata di un vizio di fondo che trae le sue orgini dal modo di procedere del Macchiavelli e del Guicciardini; entrambi, infatti, cercarono di dare una risposta al crollo degli Stati italiani alla fine del Quattrocento secondo un'interpretazione "militante". Sia Macchivelli che Guicciardini (menti fervide e geniali) diedero una chiave di lettura di quegli avvenimenti ma espressero un giudizio di valore che rimane ancora oggi il vizio di fondo di tutta la storiografia moderna. 

La stessa cosa è avvenuta per il "Fascismo", periodo complesissimo della storia d'Italia, studiato spesso troppo presto in modo frammentario e pregiudiziale, questo ha impedito di conoscere per molto tempo fatti, eventi e personaggi di quel periodo alimentando luoghi comuni dovuti a "cattivi studi". 


IL MERITO DI RENZO DE FELICE 

Il merito di Renzo De Felice è stato quello di aver iniziato una monumentale ricognizione sul Fascismo e sul consenso che la maggior parte degli italiani diedero a Mussolini e al sistema fascista. 
Se non si comprende questo punto cruciale non si riesce a capire il fascismo e le scelte di Mussolini. Piuttosto scarsa è stata, invece, da parte degli storici che hanno preceduto De Felice la comprensione dei motivi che hanno portato a questo consenso. 
L'idea di fondo - contrastata sul piano storico da De Felice- di questi storici è stata che il fascismo fu un evento improvviso ed estraneo alla società italiana. 
Niente di più fazioso in questa "chiave di lettura" da rinvenire nel giudizio che Benedetto Croce diede sul fascismo che definì come un' invasione degli Hyksos; quello di Croce è stato un giudizio che ha pesato in tutta la storiografia comtemporanea e che è stato amplificato in maniera improvvida. 
Si è trattato ovviamente di un giudizio ch ha poco di storico e che è da rinvenire nella posizione -legittima peraltro- del Croce stesso nei confronti del fascisimo e del suo capo. 


Mussolini il fascista I: la conquista del potere (1921-1925) è lo studio più approfondito sull'avvento al potere di Mussolini e del fascismo. l'identificazione di Mussolini con il fascismo è l'operazione tipicamente defeliciana, 
secondo De Felice il fascismo fu Mussolini, morto Mussolini il fascismo si dissolse. 
Il libro -il primo di una serie di tomi dedicati al fascismo- è ancora il punto di riferimento più autorevole per chi voglia studiare il fascismo fin dalle sue origini. 
Il tomo si compone di 802 pagine dove vengono raccontati gli avvenimenti in modo puntuale e certosino, il ricchissimo apparato di note, implica uno sforzo per il lettore medio in quanto non basta semplicemente leggere lo svolgersi degli avvenimenti bisogna fare un'opera di ricognizione sulla parte documentaria. 

E' interessante , ad esempio, apprendere da De Felice che durante il periodo dell'avvento al potere di Mussolini alcuni ambienti del repubblicanesimo italiano furono attratti dal fascismo, oppure in che modo si creò l'adesione al fascismo e come il fascismo fu un elemento composito dove confluirono numerose parti della politica italiana: monarchici, nazionalisti, socialisti, repubblicani, cattolici e anticlericali. 

Interessantissima è poi la riproduzione di molti documenti originali, il modo migliore per andare alla fonte senza che venga espresso alcun giudizio di valore. Credo che proprio questo sia stato il motivo per cui quando si pronunciava (e si pronuncia) il nome di Renzo De Felice, gi animi si accendevano (e si accendono). 
Consiglio a tal proposito di leggere gli articoli scritti da Nicola Tranfaglia contro De Felice, i due articoli celeberrimi vennero pubblicati nel quotidiano "Il Giorno" del 6 e 23 luglio 1975; da questi interventi si comprende perché De Felice provocò le reazione di quasi tutta l'intellighenzia italiana che contava nel periodo in cui il professore pubblicava i suoi studi. 





SCHEDA DEL LIBRO 

  • TITOLO: Mussolini il fascista: La conquista del potere: 1921-1925, Volume 1 
  • AUTORE: Renzo De Felice 
  • EDITORE: Einaudi (prima edizione 1966) 
  • ISBN: 8806139916, 9788806139919 
  • PAGINE: 802 pagine

 

Stuidare e ricostruire un periodo storico non significa condividerne lo spirito.

 

Scritto di propietà intellettuale dell'autore già pubblicato altrove.

 

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Published by Caiomario - in Storia
27 luglio 2012 5 27 /07 /luglio /2012 04:56

Sappiamo che quando si dà un giudizio non molto positivo su un libro si rischia di cadere nella presunzione, ma la valutazione personale proprio perché è tale, non deve dispiacere all'autore; però quando leggo un manuale che parla di filosofia devo trovare determinati requisiti e la stessa cosa vale per quei libri che trattano di cose filosofiche. 
Qualche anno fa erano molto in voga dei libri che avevano la pretesa di spiegare la filosofia in modo simpatico, erano scritti da un autore che doveva la sua notorietà in gran parte al mezzo televisivo. Non era un insegnante di filosofia, né un docente universitario, né un laureato in filosofia, probabilmente aveva fatto il liceo classico, insomma aveva masticato un poco di filosofia, in grandi linee conosceva alcuni aspetti ma la sua "riduzione" trovava sicuramente il riscontro favorevole di coloro i quali non avevano mai letto un testo filosofico. L'autore in questione non ha scritto più libri del genere e non poteva essere diversamente, lo sapevamo noi studenti di filosofia che di lui invidiavamo solo il successo letterario. 


DIDATTICA 

"Cinquanta Grandi Idee di Filosofia" di Ben Duprè non può essere messo sullo stesso piano di quel genere di libri a cui ho fatto riferimento nelle righe precedenti, non è un manuale ma è stato scritto con lo spirito del sunto, cosa intendo per spirito del sunto? In cinquanta brevi capitoli l'autore vorrebbe spiegare argomenti che necessiterebbero di ben altra trattazione, l'intenzione è ammirevole e l'operazione in parte è riuscita; la scrittura è brillante, sul piano del rigore non si può rivolgere all'autore alcuna critica, ma è troppo poco per capire cinquanta idee? E poi perché proprio cinquanta? Se mettiamo una dietro l'altra le idee che i filosofi hanno generato dai pre-socratici fino ai nostri giorni, constateremo che le idee sono centinaia di migliaia e che spesso sono concatenate le une alle altre. 

Prendiamo ad esempio il capitolo che tratta dell'Estetica, Duprè presenta un breve saggio intitolato "cos'è l'arte?" Manca una trattazione di quella che può essere considerata l'opera principale sul giudizio estetico: "La Critica della facoltà di giudizio", non ci si può domandare su cosa sia l'arte senza fare un riferimento a Kant in modo sistematico anche se l'intenzione dell'autore è quella di spiegare in modo non complicato questioni che hanno reimpito biblioteche intere. 
Un altro esempio: la trattazione del problema del peccato originale, del male e del libero arbitrio è ben impostata ma non vi è alcun riferimento al tomismo, assenti del tutto i riferimenti teologici così come mancano quelli bibliografici. E' una valutazione ex post "viziata" dall'approfondimento, ma non è un ipercriticismo spocchioso, bensì è l'impressione che sarebbe la medesima da parte di qualsiasi studente di filosofia. So che è sbagliata la prospettiva, ma è una valutazione personalissima. 


L'ANGOLO PERSONALE 

Non è marginale invece la buona intenzione dell'autore, divulgare i principi della filosofia, i grandi interrogativi che da sempre accompagnano l'uomo; non c'è dubbio che restringere solo in ambito specialistico determinate questione significherebbe eliminare il 98 per cento dei potenziali lettori. 
Non posso che esprimere un giudizio meno severo che non contraddice quanto detto prima, credo che il più grande errore che sia stato ingenerato riguardo alla filosofia sia quello di averla man mano ristretta ad un ambito accademico e questo ha portato ad una sua marginalità nell'ambito del sapere umano. 
Assistiamo da tempo (uso il plurale riferendomi a molti che avendo studiato filosofia condividono questa mia posizione) all'attività degli iniziati della filosofia che con spocchia si sono chiusi nella loro torre d'avorio. 
Chi sono questi iniziati? Alcuni accademici che saranno del tutto ininfluenti in ambito filosofico, non si tratta della magnifica schiera dei "professori tedeschi" a cui apparteneva Hegel, Kant, Nietzsche e tutti gli altri, ma di fruitori di cose altrui, di cose già dette, di ripetitori a cui manca persino l'intuizione dell'esegeta. 

Allora ben vengano i Duprè che lanciano corde dalla torre d'avorio e ben vengano tutti coloro che divulgano (con rigore) determinate tematiche; le questioni di carattere etico (leggere i capitoli 25 "Gli animali provano dolore?" e 26 "Gli animali hanno diritti?") riguardano tutti, quello che è importante invece è non liquidare in modo semplicistico questioni complesse facendole diventare complicate. 

Duprè non pretende di fare lo storico della filosofia ma bisogna riconoscergli che, dal punto di vista divulgativo, è riuscito nell'intento, peccato per la brevità dell'opera, poco più di 200 pagine è poca cosa. Di contro invece è apprezzabile la presenza delle illustrazioni e la copertina rigida, la veste grafica rende agevole la lettura, quel che basta per non fare prendere il libro e metterlo da parte. 

La lettura dell'opera è consigliata a tutti gli spiriti pensanti, alcune delle domande che vengono poste da Duprè ognuno, almeno una volta, se le è chieste. Ma oltre alle domande bisogna argomentare una risposta, l'autore in questo ha centrato l'obiettivo aiutando il lettore a trovare la bussola. 



  • Bisogna essere dei grandi ignoranti per rispondere a tutto quanto ci viene richiesto. (Voltaire


ma oguno di noi deve ricordare sempre quanto ha detto Socrate

  • So di non sapere

 Libro divulgativo che pone domande più o meno impegnative.

 

Scritto di proprietà dell'autore, già pubblicato anche altrove.

 

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Published by Caiomario - in Filosofia
26 luglio 2012 4 26 /07 /luglio /2012 19:08

 

 

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Se c'è un periodo che porta a conclusioni fuorvianti è quello del ventennio fascista, chi ha contribuito ad aprire un squarcio su quel periodo è stato Arrigo Petacco, giornalista incline alla ricostruzione storica, il quale tra i suoi numerosi scritti può annoverare anche una pregevole "Storia del Fascismo" in cui sono presenti diversi aspetti affrontati in modo più sistematico nei suoi libri su personaggi e fatti di quella complessa vicenda storica. 

Uno degli argomenti più interessanti dal punto di vista storico è quello che riguarda l'archivio segreto di Mussolini, un archivio di cui oggi conosciamo solo una parte, mentre è probabile che numerosi documenti siano stati fatti letteralmente sparire prima del tragico epilogo di Dongo dove trovarono la morte Mussolini e Claretta Petacci. 
Uno dei problemi irrisolti che gli storici si sono sempre posti è stato il seguente: che fine ha fatto l'archivio di Mussolini conservato a Palazzo Venezia all'indomani del 25 luglio? I documenti ufficiali e segreti vennero in parte ritrovati, non sono stati mai invece rinvenuti quelli contenuti nelle famose borse che Mussolini portava con se prima della drammatica fine. Quei documenti -secondo diversi storici- vennero prelevati da agenti inglesi dietro diretto comando di Winston Churchill, è probabile che vennero distrutti. Quei momenti furono al centro di intrighi internazionali che hanno rivelato una verità oramai assodata: Mussolini venne giustiziato da uomini di Churchill e non da Walter Audisio come ha sempre raccontato la storiografia ufficiale. 

Quello che invece conosciamo (in parte) è l'archivio della polizia politica fascista, l'Ovra che agiva dietro impulso di Mussolini il cui fedele esecutore era Arturo Bocchini il quale impiantò un vero e proprio sistema di dossieraggio ad uso del Capo. Le informative di Bocchini e dei suoi collaboratori venivano usate nei confronti di tutti, senza nessuna esclusione, compresi gli stessi gerarchi fascisti. E' interessante constatare che il "sistema Bocchini" viene ancora oggi sistematicamente praticato nella politica italiana ed è triste constatare che gli archivi segreti "democratici" non sono meno inquietanti di quelli di Mussolini; proprio da questi archivi coperti da segreto di Stato potrebbe venire la verità sui tanti misteri irrisolti in cui sono coinvolti esponenti degli apparati dello Stato. 
La lettura del libro porta quindi ad un'inevitabile paragone con la storia attuale dove l'alta burocrazia maneggiona e peggiore comanda più della politica; Arturo Bocchini, alto burocrate durante il regime fascista, contribuì in modo determinante a creare quello stato di polizia che caratterizzò il fascismo e che venne ereditato e copiato in "versione democratica" dopo il 2 giugno 1946 con totale approvazione da parte delle forze antifasciste che pur avrebbero dovuto cambiare sin dal profondo le fondamenta dello Stato. 


L'ANGOLO PERSONALE 

Petacco non esprime un parere personale sui fatti raccontati, ma presenta dei documenti, in questo senso è storico, ma non si limita però a elencare una serie di documenti riesce a mantenere alta l'attenzione e l'interesse del lettore e sotto questo punto di vista è un giornalista di razza. 
Il lettore, poi, che volesse approfondire determinati aspetti può attingere dalla bibliografia presente nella parte finale del libro in cui sono presenti numerosi titoli. 

Dalla lettura del libro emerge un ritratto impietoso non sul Regime ma sull'andazzo di molti italiani di quattro generazioni fa, pronti a salire sul carro dei vincitori per lucrare su tutto ciò che passava loro sotto mano. 
La pratica della corruzione era diffusissima nel periodo fascista esattamente come lo è oggi, Mussolini lo sapeva e avendo una diffidenza quasi congenita nei confronti dei propri connazionali non si fidava neanche dei gerarchi che spesso approfittavano della loro posizione per arricchirsi in maniera illecita. 
Nel Regime vi erano anche i duri e i puri che però potevano sempre costituire un pericolo e se costoro erano integerrimi sotto il profilo della gestione della cosa pubblica nascondevano qualche scheletro nell'armadio che all'occorrenza poteva essere tirato fuori per frenarne le ambizioni politiche. 
Le informative della polizia politica in questo caso riguardavano le abitudini sessuali: relazioni extaconiugali, omosessuali o frequentazione di donnine allegre. 
Uno dei gerarchi più vicini a Mussolini negli anni del consenso come Achille Starace, prima potentissimo segretario del PNF e poi caduto in disgrazia dopo il 25 luglio era sospettato di avere una relazione con un membro della sua guardia del corpo; ma si trattava di illazioni e di fango gettato su Starace attraverso una serie di informative messe su ad arte da Arturo Bocchini, capo dell'Ovra, Mussolini lo sapeva e diffidava di quei documenti creati ad hoc per colpire un rivale politico quale era Achille Starace. 
Un altro esempio di una pratica odiosa a cui noi italiani non abbiamo mai rinunciato: il depistaggio. 
Altro esempio di continuità con il passato: durante il Fascismo gli italiani a qualsiasi livello era soliti inviare denunce anonime, una pratica odiosa che serviva spesso per colpire tutti coloro verso i quali si nutriva un'antipatia viscerale. Purtroppo molte di queste denunce anonime vennero poi utilizzate, durante il periodo delle leggi razziali, per denunciare la presenza di israeliti in questo o quel luogo. 


NIENTE DI NUOVO...I PRECURSORI DEL "METODO BOFFO" 

* Informative di polizia 
* Denunce anonime 
* Pratica sistematica del fascicolo (leggasi dossier) 
* Segnalazioni 
* Attività di spionaggio 
* Sistema clientelare 
* Traffici illeciti 
* Corruzione 
* Concussione 
*......... 
*......... etc etc 


ALTRE INFORMAZIONI SUL LIBRO 

Autore: Arrigo Petacco 
Titolo: L' archivio segreto di Mussolini 
Editore: Mondadori (pubblicato nella collana Oscar) 
Anno di pubblicazione: 1998 
Pagine: 192 
Codice EAN 9788804449140 
Prezzo: 10,00 euro 

 

http://giotto.ibs.it/cop/copj170.asp?f=9788804449140







Se ne consiglia la lettura per capire che quello che siamo oggi. La corruzione, l'imbroglio, l'approfittare della situazione di potere in ci si trova non appartengono solo ai tempi odierni. E' singolare il fatto che cambiano i sistemi politici ma il classico andazzo è sempre lo stesso.

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Published by Caiomario - in Storia
26 luglio 2012 4 26 /07 /luglio /2012 10:31

 

 

 

 

 

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Per Marchionne nell'industria auotmobilistica europea i margini si sono ridotti perché l'offerta è superiore alla domanda, propone di contingentare la produzione e chiede l'intervento della Commissione europea, poi se la prende con la Volkswagen, fa troppi sconti.

 

 

 

Secondo Sergio Marchionne i produttori di automobili europei stanno attraversando una crisi che non ha confronti con il passato e punta il dito contro la Volkswagen colpevole di praticare una politica dei prezzi troppo aggressiva. Tradotto: la casa germanica fa troppi sconti e in questo modo danneggia la Fiat. Questo il succo del discorso di un'intervista rilasciata da Sergio Marchionne al quotidiano International Herald Tribune e diffusa in data 26 luglio 2012 

Marchionne ha dichiarato che tutti i nodi irrisolti che hanno colpito l'industria automobilistica europea sono ormai venuti al pettine e suggerisce la sua ricetta, destinataria la Commissione europea che dovrebbe promuovere una razionalizzazione dell'area, ossia imporre alle aziende di diminuire la produzione per riportare i prezzi a un livello tale che possa esserne garantito il margine di guadagno. La soluzione prospettata da Marchionne è quindi quella di ridurre la produzione di auto e rimprovera ai produttori tedeschi e francesi di non aver ancora intrapreso questa strada.

Marchionne ha concluso l'intervista dando la colpa dell'intera situazione alla Volkswagen la quale, nei paesi in cui c'è più crisi ne approfitterebbe vendendo le sue auto con forti sconti avendo un solo obiettivo: conquistare nuovi clienti.

Marchionne  è diventato protezionista? qualche mese fa sosteneva che se in Italia non si fossero vendute più auto, non si sarebbe potuta aumentare la produzione e che di conseguenza la Fiat sarebbe stata costretta a chiudere qualche stabilimento. Oggi, dato che i consumatori, preferiscono comprare  auto Volkswagen non si chiede il motivo di questa scelta. In questo "bagno di sangue" a rimetterci è in primo luogo la Fiat, secondo Marchionne il protezionista quindi bisognerebbe aumentare i prezzi delle auto solo in un modo: fabbricandone di meno...per legge.

Caro Marchionne questo si chiama libero mercato e libertà di scelta dei consumatori che ovviamente comprano dove gli conviene e forse dove la qualità è migliore. Ma non era Lei che qualche mese fa diceva: "Siamo zingari, andiamo dove ci conviene"? Appunto.

 

Prima la colpa era di Landini, ora è della Volkswagen.....(secondo Marchionne). 

 

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Published by Caiomario - in Società
26 luglio 2012 4 26 /07 /luglio /2012 03:40

NAPOLI, UN PARADISO PER GOETHE PADRE E GOETHE FIGLIO 


Racconta J. Wolfgang Goethe che suo padre perse la tranquillità perché non poteva vedere più Napoli, non sappiamo quali siano state le ragioni di questo impedimento, ma il racconto è sintomatico del fatto che nella famiglia tedesca dei Goethe, Napoli venisse considerata in modo specialissimo, così speciale che ciò che provocava nel loro spirito era superiore anche a quello che provocava Roma o Firenze. 
Goethe che fu uno straordinario raccontatore di viaggi, ci ha lasciato delle bellissime cartoline dell'Italia dell'epoca, delle illustrazioni che ci permettono di gettare uno sguardo sul Bel Paese in un periodo in cui non era ancora stato devastato dalla cementificazione selvaggia che oggi -come un cancro- ha colpito ogni zona del nostro paese. 

Goethe figlio, suggestionato dal padre, volle poi andare in quello che all'epoca veniva definito dal genitore un paradiso e si avvicinò alla città senza pregiudizi semplicemente perché all'epoca non esisteva alcun giudizio precostituito nei confronto di Napoli. Ma la Napoli raccontata da Johann Caspar Goethe e quella poi cantata dal figlio ,non aveva niente a che fare con quella attuale. 
Quindi, affrontando la lettura del libro, giova dimenticarsi completamente di tutto ciò che oggi affligge Napoli, della cattive abitudini e dei mali che sembrano insolubili. Siamo nel '700, circa 8 generazioni fa rispetto alla generazione attuale. 
Il padre di Goethe si preparò meticolosamente prima di intraprendere il viaggio in Italia, imparò l'italiano e scrisse proprio in lingua italiana un diario -ora diventato un libro- sulla sua permanenza a Napoli. Il diario ad uso familiare non doveva essere pubblicato e per questo è animato da uno spirito sincero e senza secondi fini. 

Goethe padre come il figlio amava l'arte, la poesia, la letteratura e la bella architettura, a Napoli trovò tutto questo; proprio l'armonia e l'equilibrio che regnava in città provocarono in lui, al ritorno, un senso di nostalgia malinconica. 
Il diario non riguarda solo Napoli ma tutte le tappe del viaggio che portarono Johann Caspar nel Regno di Napoli che era separato dallo Stato pontificio da un muraglia che divideva due mondi completamente diversi. 
Napoli era definita gentile per due motivi: il primo perché era una città molto accogliente e poi perché era il salotto buono degli intellettuali, è a Napoli che l'illuminismo produsse le migliori menti della cultura filosofica italiana. 
Questo fatto, oltre le Alpi. lo sapevano ed ecco il motivo per cui gli austeri teutonici venivano non in Italia, ma a Napoli da cui se ne andavano colmi di "soddisfazione e di civiltà" 
Johann Caspar era un visionario? Niente affatto, anche altri illustri personaggi che appartengono alla storia maggiore come, ad esempio, Charles Dickens o Percey Shelley ritenevano non solo Napoli una città gentile (nell'accezione indicata) ma anche la città romantica per eccellenza. 


Tutto questo oggi suona strano, ma era così, perché oggi le cose siano cambiate non lo sappiamo e ha poco senso chiederselo, sarebbe bello leggere il diario di Johann Caspar scritto oggi dopo una visita alla Napoli attuale, probabilmente quell'epiteto gentile non farebbe parte del suo vocabolario. 

Dopo l'Unità d'Italia la storiografia sabauda ha voluto dipingere il Regno dei Borboni come il regno dell'arretratezza, niente di più falso, a Napoli vi fu la prima ferrovia italiana e a Napoli i Borboni inventarono la raccolta differenziata dei rifiuti, ma a Napoli vi era anche una fiorente industria siderurgica, oltre alla pesca in un mare non inquinato. Purtroppo la storiografia attuale persevera in questa direzione diffamatoria. 
Il Regno venne spogliato delle sue ricchezze, i ribelli fucilati e trattati come briganti...da allora Napoli non si è più ripresa. 

E' un peccato che le giovani generazioni e (quelle vecchie) siano piene di luoghi comuni su Napoli, la storia andrebbe conosciuta attraverso i documenti e non leggendo distrattamente i manuali scolastici ripetuti a pappardella. 


Goethe ritornato nei luoghi descritti dal padre invitava i suoi conoscenti e i suoi lettori a lasciarsi trasportate dalla sublime visione del Golfo di Napoli, delle sue baite sovrastate dalla "mole piramidale" del Vesuvio. 

***"il chiarore della luna batteva triste or su' burroni, e su' colli, ora su' risalti coronati di merli e di guglie"*** (Goethe) 

L'autore del diario è Johann Caspar e non Johann Wolfgang, uno è il padre e l'altro è il figlio

 

 Ritratto di una Napoli che affascinò i Goethe, Dickens, Shelley e tanti altri...

 

 

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25 luglio 2012 3 25 /07 /luglio /2012 15:39

 

Benito Jacovitti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

UN GENERE DI FUMETTO CHE SI E' PERSO 

Si leggono in giro numerose opinioni sui fumetti di "ultima generazione", spesso di scuola giapponese, un genere intorno al quale ho spesso tentato un approccio non semplicemente da lettore distratto e pur apprezzandone la straordinaria plasticità, non riesco ad appassionarmi in modo particolar non  tanto per l'assenza di una trama interessante quanto per l'assoluta assenza di humor; anche il genere di avventura che l'editore Sergio Bonelli ha da sempre trattato con le sue straordinarie pubblicazioni è ricco di esempi di storie di personaggi che riescono sempre a strapparci un sorriso e a coinvolgerci emotivamente, anche qui l'elenco è lungo ma fra vanno senz'altro citati Tex e Zagor. 

  • Oltre alla trama, ai personaggi c'è l'aspetto che ritengo fondamentale per gli estimatori del fumetto e che è costituito dal disegno, i disegnatori di tavole per fumetti non appartengono a un genere minore di arte, sono artisti a tutto tondo che non solo sanno disegnare possedendo la tecnica ma hanno il tratto disitintivo dell'originalità, un tratto inconfondibile che è costituito dallo stile inconfondibile ed unico di quell'artista e che ne permette l'immediata identificazione. 

L'occhio dell'appassionato sa riconoscere un disegno di Tex creato dall'immenso Galep (Aurelio Galleppini) o quello di Hugo Pratt o di Crepax ( solo per citare alcuni dei maggiori autori del fumetto italiano) e Jacovitti appartiene, senza dubbio, a quella categoria di disegnatori che gli appassionati sanno riconoscere immediatamente con una caratteristica aggiuntiva: i dialoghi dai contenuti surreali, le battute salaci e mai volgari, un "marchio di fabbrica" difficilmente riproducibile e imitabile anche dal più abile dei copiatori. 

  • Benito Jacovitti iniziò, sedicenne, la sua carriera di disegnatore esordendo su una delle riviste storiche del fumetto italiano "Il Vittorioso", un fumetto autarchico che nasceva in un periodo di grande fermento per ciò che concerne i fumetti al livello mondiale, se Disney era già affermato con il suo Topolino, in Italia rispondevamo con Pippo (un altro Pippo), Pertica e Palla e già in questi disegni giovanili era possibile vedere una creatività e una fantasia che ne caratterizzeranno anche la successiva produzione. 

Solo alla fine degli anni '50 (1957), Jacovitti creerà quel personaggio che l'ha reso celebre, Cocco Bill: ho un ricordo personale a proposito, la mia conoscenza con il mondo di Jacovitti è avvenuto grazie ai famosi diari scolastici che negli anni '70 erano molto in voga tra gli scolari e gli studenti, aspettavo settembre per acquistare il nuovo diario con nuove storie e nuovi disegni, di quei diari ne conservo ancora cinque, uno per ogni anno, lì incominciai ad apprezzare Jacovitti, solo successivamente alla parte estetica meno consapevole ho aggiunto quella documentale che mi ha permesso di apprezzarne anche le doti di disegnatore unico, capace e abile. 

  • Proprio su questo aspetto vorrei soffermarmi, quando leggiamo e guardiamo un fumetto, ci troviamo dinanzi alla parte cosiddetta tipografica, cioè alla realizzazione finale, fatta in serie, alla versione stampata di un disegno, manca totalmente la possibilità di apprezzare la parte creativa dell'autore, cioè il momento in cui il disegnatore realizza il disegno che è unico e costituisce la parte artistica dell'opera, questi due tempi costituiti dalla parte realizzativa-creativa e da quella stampata-tipografica sono i tempi del fumetto che è un disegno riprodotto in serie, se possiamo fare un esempio nel campo dell'arte una cosa è il disegno originale, una cosa è la litografia. 


Nel fumetto le storie sono narrate in sequenze che possono essere paragonate ai capitoli di un romanzo e nel fumetto, in particolare,la sequenza è costituita da vignette e di solito le vignette sono montate in strisce ( difatti i primi fumetti venivano pubblicati nelle famose "strisce" e gli albi successivi non sono altro che un insieme di più strisce disposte su più piani). 

Jacovitti non poteva sottrarsi al modo in cui viene costruito un fumetto ma lo faceva con l'abilità del grande disegnatore che usa una delle tecniche più difficili: non usava la matita ma disegnava direttamente ad inchiostro, ciò significa che non ripassava sul disegno, non correggeva. 
Solo un grandissimo disegnatore era in grado di poter fare questo e queste abilità naturali di Jacovitti sono il motivo del suo modo di fare disegno, possiamo quindi nella specificità analizzarne alcune caratteristiche: 

  • L'uso della prospettiva su più piani, campi lunghissimi con inquadrature che illustrano vasti panorami e che nella sua profondità si estende fino all'orizzonte. 

 

  • Campi lunghi con un'attenzione particolare all'ambiente. 

 

  • Campi medi dove le vignette non solo illustrano l'ambiente ma lo spazio è animato da numerose figure che occupano più di un terzo della scena. 

 

  • Figure intere rappresentate dalla testa ai piedi, figure espressive usate soprattutto per presentare un personaggio. 
  • Dettagli: è forsel'aspetto più evidente delle vignette di Jacovitti, alcuni particolari vengono inquadrati da distanza molto ravvicinata, sono ingranditi, oggetti, anche di dimensioni modeste diventano protagoniste, il particolare è curato, ogni spazio è occupato. 


La cosa più saggia per apprezzare un disegno è guardarlo e quando si parla di Jacovitti è meglio usare la parola disegno rispetto a quella fumetto perchè Benito Jacovitti è stato prima di tutto uno straordinario artista e illustratore e poi anche...un vignettista, non dimentichiamolo prima di abbandonarci alle suggestioni asiatiche. 

 

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Published by Caiomario - in Ritratti
25 luglio 2012 3 25 /07 /luglio /2012 15:04

Le opere di Luigi Pirandello sono spesso caratterizzate dalla presenza di personaggi commoventi e divertenti, ma anche eccentrici e bizzarri e i sentimenti da loro espressi si possono definire universali perché appartengono agli infiniti modi attraverso i quali si manifesta il comportamento umano. 
Pirandello per tutta la vita ha scritto delle opere non facendo prediche ma illustrando degli esempi, delle patologie, delle sindromi individuali che diventano collettive oppure prendendo il posto del personaggio principale del suo racconto ed esprimendo attraverso di lui la sua verve polemica e provocatoria 

"Quaderni di Serafino Gubbio operatore" è un romanzo che rappresenta la continuazione de "Il fu Mattia Pascal"; chi è Serafino Gubbio? E' Mattia Pascal reincarnato che come lui, svolge un lavoro di operatore del cinema, così si presenta: "Studio la gente nelle sue più ordinarie occupazioni, se mi riesca di scoprire negli altri quello che manca a me per ogni cosa ch'io faccia: la certezza che capiscano ciò che fanno". Pirandello quindi pone Serafino Gubbio in una duplice veste: quella dell'osservatore e quella del narratore, ancora una volta l'autore privilegia uno stile che è un ibrido tra la narrativa e il canovaccio teatrale che permette anche la lettura del testo destrutturata ed episodica senza che ne risenta affatto la comprensione del racconto nella sua totalità. 

NON SAPERE PER PAURA DI SCALFIRE IL PROPRIO SISTEMA DI VITA 

Ecco allora che Serafino nel suo ruolo di indagatore degli altri crea turbamento al punto che solo con lo sguardo induce il prossimo a trasformare la propria certezza in perplessità in questo modo la vita appare come qualcosa di insensato. 
Ritorna quindi il tema dell'oltre, ossia della verità che c'è dietro ad ogni situazione, dice infatti Serafino rivolgendosi a degli interlocutori ideali: "Voi non volete o non sapete vederlo" riferendosi al fatto che la maggior parte delle persone non mette in discussione niente perché ha paura che il proprio sistema di vita venga scardinato (quanta verità c'è in questo!). 

PIRANDELLO CONTRO LA DISUMANIZZAZIONE DEL LAVORO 

Ad un certo punto Serafino/Pirandello affronta il tema delle macchine, profetica è questa frase: 

"....vorrei dir meccanico della vita che fragorosamente e vertiginosamente ci affaccenda senza requie. Oggi, così e così, questo e quell'altro, correre qua, con l'orologio alla mano, per essere in tempo là"..... 

....la colazione, il giornale, la borsa, l'ufficio, la scuola, la bottega, la fabbrica, il tribunale e se volessimo aggiornare l'elenco: l'ufficio, la fabbrica, le poste, lo spread e alla fine della giornata tanta stanchezza da sentirsi -per dirla alla Serafino/Pirandello- intronati da tanto stordimento. 
Serafino/Pirandello osserva che nessuno si sofferma a pensare se quello che vede fare agli altri sia davvero conveniente farlo, al punto che anche quando dovrebbero svagarsi finiscono collo stancarsi (quanta verità anche in questa osservazione!). 

E' il meccanismo fragoroso della vita che rapportato al nostro tempo costringe la gente a lavorare di più per acquistare cose che la fanno solo indebitare e lavorare di più. 

PIRANDELLO IL SOVVERSIVO ANARCHICO 

Con sarcasmo Serafino parla del suo lavoro definendosi un operatore che non opera, il suo lavoro consiste nel sistemare un treppiedi sotto le indicazioni del direttore ossia del regista, un lavoro se vogliamo inutile dove l'uomo è solo una protesi della macchina, ma che proprio per questo nasconde un'insidia come tutti i lavori che soppiantati dalla tecnologia, rendono l'uomo stesso inutile a svolgerlo. 
Nel libro ricorre spesso l'idea della macchina come una sorta di mostro insaziabile che divora tutto anche l'anima dell'uomo. 
La domanda che Serafino si pone dovrebbe fare riflettere, si chiede infatti come mai dinanzi a tanta insensatezza l'umanità non sia impazzita distruggendo tutto. Quello di Serafino/Pirandello è una osservazione o un auspicio? Si può propendere per la seconda ipotesi, considerando che questa ideologia di stampo piccolo borghese è presente in molti altri autori "pacifici" come ad esempio Italo Svevo, per non parlare poi del cinema e di quel capolavoro de "Un borghese piccolo piccolo" di Mario Monicelli in cui vengono messi alla berlina i vizi degli italiani. 

LA DISTRUZIONE O IL MUTISMO 

Quale può essere allora il modo migliore per difendersi? Serafino sceglie il mutismo che rappresenta una forma di difesa e di salvezza, dice Serafino in questo modo sono diventato "perfetto", un perfetto finto alienato in un modo realmente alienato. Impassibile dinanzi a tutto, insomma un perfetto seguace dello stoicismo. 

E' IL SUPERFLUO LA CAUSA DEI CONFLITTI 

I geni dell'economia dicono che i consumi sono lo sviluppo, lo pensano anche i sindacati e gli operai, più c'è consumo, più c'è lavoro e la giostra in tal modo rincomincia, l'operaio prende lo stipendio, spende e si indebita, ma per Serafino/Pirandello è il superfluo la causa dell'infelicità. Invito il lettore a soffermarsi sulla parte finale del romanzo, è illuminante. 

Tra le diverse edizioni presenti in commercio si consiglia la seguente: 

Quaderni di Serafino Gubbio operatore, a cura di M.A. Grignani, intr. N.Borsellino, Garzanti, Milano, 1993.

 

 

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