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25 luglio 2012 3 25 /07 /luglio /2012 14:58

 

 

 

 

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Ci sono nomi e date difficili da dimenticare, uno di questi è il sessantotto o se volete semplicemente Il '68, accade soprattutto quando chi parla di quel periodo è stato uno dei protagonisti che l'ha visto nascere e che periodicamente ne riecheggia dei contenuti che oggi sembrano decisamente demodè; se oggi possiamo raccontare il '68 possiamo farlo anche attingendo da quei racconti tramandati oralmente che finiscono con la fatidica frase "io ho fatto il '68" perché non si dice "ho partecipato ai movimenti di piazza che sono avvenuti nel '68" ma proprio "io ho fatto il '68", di contro c'è un'altra tendenza che si sente dire in giro da almeno un ventennio "E' tutta colpa del '68" che assomiglia al famoso "E' tutta colpa di Andreotti". In effetti c'è un tocco un po' lunatico e surreale in queste espressioni, sono entrate nel mito del linguaggio. 
Ma è proprio vero che tutto il cumulo di macerie morali (ormai si sono accumulate al punto di essere diventate una montagna) è colpa del '68? O forse dobbiamo proprio al '68 le conquiste e i diritti civili che i matusa non volevano rilasciare? Purtroppo la verità deve sempre competere con le menzogne che hanno un effetto sempre devastante e allora perché non affrontare il tema in modo più lieve? 

Il libro di Elfo non è quindi un'analisi sul '68 (ce ne sono troppe e alla fine stancano) ma il racconto su di un ragazzo, Rinaldo, che quel periodo lo visse con tutte le ritualità che sono ormai entrate nelle storia. All'epoca ad essere occupate non erano solo le università, ma ogni cosa veniva ridefinita, delegata e infine occupata compresi i viaggi che avevano sempre delle mete alternative e l'India era in cima a tutte le altre destinazioni. Ovviamente per i lettori di oggi quelle metafore sembrano lontane ma lo stile del '68 investiva anche altri aspetti e la militanza doveva essere quella dei "barbudos" e dell'eskimo. 
Elfo ci consegna quindi un'indagine esistenziale attraverso le immagini che è poi una potente metafora, densa e caleidoscopica su quella realtà che fu prima di tutto aggregazione che superò i limiti antropologici dell'uomo teso sempre alle solitudini personali. 
L'ansia di cambiamento covava ovunque e da allora molto costumi subirono una metamorfosi a partire dall'avanguardia sessuale e a quella culturale e in primis musicale. Il rock non era, ad esempio, l'industria commerciale di oggi, il rock era protestatario e il feticcio del vinile nasce all'interno di quel clima. 
Utopia? Forse, ma l'onda lunga del '68 è arrivata fino a noi e nulla è più come prima anche se non c'è stata nessuna rivoluzione e il potere sembra essersi rafforzato, ma si tratta di una conclusione molto superficiale perché è il potere che si è dovuto talvolta adattare. 
Ultimi, ma non meno importanti, vanno segnalati i malfunzionamenti conseguenti alla istituzionalizzazione del movimento; si passò da essere tribali per affinità alla gerarchizzazione della contestazione, ma è pur vero che i leader avevano il compito di "legare" le varie anime del movimento che prima della sua definitiva politicizzazione era l'epicentro della creatività. Ma poteva esistere un '68 senza cortei? No era impossibile. 
Dopo 42 anni possiamo dire che era fin troppo facile che tutto fosse andato bene, il pregio del libro di Elfo sta poi anche nel fatto che attraverso le immagini e i fumetti possiamo vedere il '68 e lo guardiamo senza patemi ma il lungo viaggio dei giovani di allora non è ancora concluso anche i cambiamenti possono sembrare minimali. Gran libro illustrato, insomma.

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Published by Caiomario - in Libri
25 luglio 2012 3 25 /07 /luglio /2012 14:47

Chi desidera documentarsi sulle opere di Italo Svevo può trovare in giro una gran mole di materiale, ma il modo migliore per conoscere Svevo è -a mio parere- quello di leggere il suo epistolario e il "Profilo autobiografico", in entrambi gli scritti si comprendono fino in fondo le ragioni e il retroterra culturale che stanno alla base della sua attività letteraria. 
Ho letto la "Lettera sulla psicanalisi a Valerio Jahier", un uomo di lettere che abitava a Parigi, dove Svevo esprime tutto il suo scetticismo nei confronti del metodo psicoanalitico di Freud utilizzato come terapia medica. 
L'equazione psicanalisi=Svevo è perciò un luogo comune perlomeno quando si tratta di vedere nella psicanalisi un metodo di cura di cui lo stesso Svevo ne rigetta le pretese terapeutiche. Si tratta di una presa di posizione importante per capire la "Coscienza di Zeno", "Senilità" e "Una vita". 
Non c'è dubbio che Svevo utilizza il sistema psicoanalitico per elaborare i suoi tre romanzi dove l'investigazione su se stessi serve per scoprire le proprie pulsioni inconsce, ma nello stesso tempo Svevo ritiene che la psicanalisi sia di per sé insufficiente per curare le nevrosi. 
Ritenendo che le nevrosi svolgano un ruolo importante nella vita di un individuo quale meccansimi di difesa contro tutte le forme di alienazione della civiltà moderna, Svevo rivaluta il ruolo dell'ammalato come diverso che non vuole rinunciare alla forza vitale del desiderio. Il desiderio di resistere alla morte, il desiderio di rivendicare la propria dversità e singolarità, il desiderio di vivere. 


L'ANGOLO PERSONALE 

"Una vita" è un romanzo che venne pubblicato nel 1892, nonostante sia un racconto scritto in un clima culturale profondamente diverso da quello contemporaneo, conserva tutta la sua carica di suggestione e di attualità perché è una storia incentrata sull'uomo, sulle sue autosuggestioni e sui suoi autoinganni. Temi questi che non hanno tempo e si ripresentano in tutte le generazioni, in tutte le esistenze. 
Ciò che rende "Una vita" un romanzo senza tempo è lo spirito che sta alla base del racconto stesso: la necessità di confessarsi agli altri. La confessione diventa perciò un momento liberatorio e terapeutico per liberarsi delle proprie ansie e dei propri fallimenti, un momento che lenisce parzialmente il proprio dolore e la propria incapacità di vivere il mondo. 

Il protagonista del romanzo è Alfonso Nitti, un impiegato che vive una profonda scissione interiore tra le sue aspirazioni e la vita che lo circonda. Nitti conosce il latino, ama la poesia, ha una sensibilità culturale non comune e dall'altra parte si trova costretto a fare un lavoro ripetitivo e automatico. Il lavoro di copista in una banca diventa una sorta di gabbia nella quale tutti i giorni si trova costretto a convivere e che accentua il suo sentirsi diverso. 
Il suo sogno è quello di riscattarsi da questa condizione di "estraneità" e il mezzo che utilizza per perseguire il suo fine è la letteratura e la filosofia dalla quale trae una concezione idealistica della vita fortemente influenzata dal pensiero di Schopenhauer. 
La volontà di potenza di Schopenhauer diventa megalomania e vana aspirazione, Alfonso Nitti tenta il salto sociale cercando di sedurre, Annetta, la figlia del proprietario della banca, anch'essa amante di cose letterarie. Annetta però diventa solo un mezzo per Alfonso e questo suo disprezzo lo pagherà molto caro. 

Se il desiderio di ascesa sociale non rappresenta una novità rispetto al passato, la descrizione di Alfonso Nitti fatta da Svevo è esemplare; Nitti rappresenta l'uomo incapace di trovare delle soluzioni. Dapprima si fa prendere dalla paura, poi scappa dalla madre morente, si ammala lui stesso, torna in banca, viene demansionato e quando viene a sapere che Annetta si è fidanzata con il suo rivale, tale Macario, un giovane brillante e atletico, decide di farla finita e si suicida. 

La lettura del romanzo è tutto incentrata sul tema dell'inettitudine ossia dell'incapacità di realizzare qualunque cosa, c'è un passo del romanzo in cui viene raccontato l'episodio di una gita in barca a cui partecipano Annetta, la figlia del proprietario della banca, Alfonso e Macario; la contrapposizione tra le due personalità non può che suscitare una grande pena nel lettore perché Alfonso appare in tutta la sua disarmante incapacità mentre Macario è colui che è adatto perfettamente alla vita e che sa trovare in modo brillante una soluzione in tutte le circostanze. 
In quelle gite in barca con il rivale Macario, Afonso da una parte riusciva a mitigare il suo senso di sofferenza provocato dalla sua triste vita, ma nello stesso tempo quei momenti di apparente spensieratezza acuivano il lui la percezione di essere misero, inutile ed inetto. 

Come Svevo non posso che esprimere un giudizio negativo su Alfonso, ma nello stesso tempo il senso di sdradicamento descritto è una condizione che noto ancora più accentuata nei tempi attuali. Pensiamo ad esempio alla svalutazione della funzione dell'intellettuale nella nostra epoca contemporanea, alla sua incapacità di adattarsi alla praticità di una vita dove il fare è l'unica capacità richiesta da una società sempre più complessa e selettiva. Per quanto possano esserci delle differenze tra la condizione di Alfonso e quella del giovane intellettuale contemporaneo che magari ha studiato per poi ritrovarsi a non sapere fare nulla, esistono anche numerose corrispondenze. 
Esiste allora un modello positivo che permette di uscire da questa contrapposizione frustrante che può avere esiti devastanti per la salute della persona? A mio parere esiste e questo metodo consiste nella capacità di sapersi adattare darwinisticamente alle circostanze, in questo modo il cervello può diventare davvero lo strumento che fa mettere le ali per non soccombere. 
E' l'unica strada per non perire da vittime e per combattere fino in fondo senza arrendersi alle prime difficoltà. 

Romanzo amaro ma stimolante di cui si consiglia la lettura.

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24 luglio 2012 2 24 /07 /luglio /2012 16:18

Carlo Emilio Gadda per il fatto che non ha mai aderito a nessuna corrente specifica può sembrare un isolato nel panorama letterario italiano del Novecento, in realtà se c'è qualcuno che più ha inciso dal punto di vista letterario nel periodo del dopoguerra, questi è stato proprio Gadda tanto da venir considerato dalla critica come uno spartiacque tra la narrativa neorealistica e le nuove forme di letteratura che verranno ad imporsi con un linguaggio completamente differente sia dal punto di vista della prosa che da quello dei contenuti. 

Nella sua opera, infatti, quello che colpisce di più è la straordinaria carica grottesca e disinvolta del testo scritto che modifica completamente, scombinandolo lo stile, i termini , la lingua del neorealismo. 

Piuttosto che calarsi nella realtà cercando di raccontarla fedelmente, Gadda fa emergere da questa realtà le contraddizioni, le assurdità, i paradossi cogliendone il fluire che sovente appare senza senso, tragico misterioso. 

Uno dei testi migliori di Gadda è senza dubbio "L'Adalgisa", un libro scritto con ironia graffiante dove la parola diventa il mezzo attraverso cui Gadda dimostra in tutta la sua perizia di acrobata del lessico. 

In questo romanzo che potremmo definire una raccolta di racconti, Gadda prende di mira alcuni settori della società lombarda da cui lui proveniva per nascita e per estrazione sociale. 

Ed è curiosa in questa serie di racconti la figura di Claudio Valeri, uno dei protagonisti delle storie narrate che invece di entrare a far parte della società che conta preferisce scontrarsi senza condividere rituali e convenevoli. 
Era infatti uso in quella società regolare l'ingresso tra la gente che contava attraverso l'osservanza di un rigoroso rituale. 
Forse il personaggio del libro potrebbe essere lo stesso Gadda, sta di fatto che l'autore finisce col deridere certi comportamenti di altezzosità propri della società lombarda e attraverso il personaggio di Claudio dice tutto quello che probabilmente lui stesso pensava. 
Proprio il rifiuto di entrare nella società lombarda farà si che Gadda concepisca una nuova locuzione verbale: "disimparare" a vivere e su questa locuzione bisogna porre l'attenzione per comprendere lo spirito del libro che è anche un rifiuto dell'ipocrisia e dell'adulazione. 

Ogni racconto de "L'Adalgisa" è corredato da note molto divertenti e ironiche che costituiscono la chiave di lettura di ogni singola storia che spesso è dissacrante verso uno o verso l'altro, come nel caso, per esempio, dei frequentatori del politecnico, la celebre università milanese di ingegneria dove secondo Gadda, studenti e professori si davano ( e si danno) delle arie ridicole camminando due metri sopra il pavimento. 

Altra figura centrale della raccolta è Adalgisa, una ex cantante lirica un pò avanti con gli anni che cerca in tutti i modi di sistemarsi con un matrimonio ma che nello stesso tempo è una contestatrice di quella classe borghese da cui lei stessa proviene. 

La galleria di personaggi descritti è molto varia ma tutti sono uniti da una vena di contestazione nei confronti della società borghese e milanese e questo costituisce il singolare impegno di Gadda per cui il racconto diventa una scusa, un'espediente per raggiungere questo scopo. 

Un'opera forse snobbata  rispetto al più noto "Quer pasticciaccio brutto de Via Merulana", che ha avuto la fortuna di essere stato pubblicato in un periodo editorialmente più propizio rispetto a quello in cui "L'Adalgisa" è stato dato alle stampe. 


 

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24 luglio 2012 2 24 /07 /luglio /2012 15:23

Di Giuseppe Mazzini sono noti a tutti i dati biografici e gli eventi più importanti che hanno contraddistinto la sua intensa vita. 
Ma quello che spesso viene messo in secondo piano è l'insieme degli scritti che fu veramente imponente: dagli opuscoli di tipo propagandistico agli articoli di giornale sino a vere e proprie opere organiche dove ha affrontato in maniera compita degli argomenti sempre in linea con le sue convinzioni politiche e spirituali. 

Tra gli scritti che consentono di poter meglio capire il pensiero di Mazzini, la sua concezione politica, i suoi valori spirituali e ideali vanno menzionate le seguenti due opere: 

"Dei doveri dell'uomo" e "Fede e avvenire

Si tratta di due scritti pubblicati in due periodi differenti "Dei doveri dell'uomo" nel 1860 mentre "Fede e avvenire" venne dato alle stampe nel 1835, in entrambe le opere, l'uomo politico genovese rivela la sua concezione spirituale e dove emerge una religiosità che pur distaccandosi da quella cattolica di rarissiam intensità forse paragonabile a quella del suo contemporaneo, Alessandro Manzoni che pur aderì a una forma di cattolicesimo non ortodosso come il giansenismo. 

Mazzini non si poteva accontentare di una religiosità scontata che si manifesta attraverso formule mandate a memoria, aveva bisogno di una sua religiosità e questa religiosità doveva essere prima di ogni cosa impegno dello spirito verso tutto ciò che ne era manifestazione dalla ragione al sentimento. 

Proprio da questa religiosità emerge una fede moralistica, mai scontata dove viene espressa una sua teologia: Dio esiste e la sua esistenza la possiamo vedere nell'Universo senza confondersi in esso. 

Per Mazzini la religiosità non può essere, ne deve essere una pratica di culto che si esaurisce con il momento liturgico ma la religiosità è prima di tutto adempimento dei doveri nei quali ritroviamo tanti tipi di doveri che sono sempre doveri verso Dio. 

Ecco perchè è riduttivo parlare di Mazzini patriota senza parlare di questo aspetto fondamentale che consente di capire il personaggio: i doveri verso la patria sono doveri verso Dio, la dottrina mazziniana del popolo è una dottina prima di tutto una dottrina teologica. 

Il popolo è destinatario di tutti i doveri (da qui la sua trascendenza): nel singolo individuo, per quanto possa avere una straordinaria statura morale, tutti i doveri non si possono esaurire. 

Dio e popolo per Mazzini sono inscindibili: tra Dio e il popolo non ci devono essere intermediari, non ci devono essere sovrani o gerarchie ecclesiastiche. 

Senza Dio non vi è popolo e il popolo è il consegnatario dell'idea di Dio: quindi Mazzini, proprio per questo mette l'accento sulla parte dei doveri e non è per niente scontata l'equazione diritti-doveri. 
Prima vengono i doveri che sono i doveri verso Dio, poi vengono i diritti ma questi ultimi sono sempre subordinati ai primi. 

Non si può capire il concetto di Patria, Progresso, Nazione di cui parla Mazzini senza capire quello che il Nostro così ben espresse: 

"L'origine dei vostri DOVERI sta in Dio. La definizione dei vostri DOVERI sta nella sua Legge. La scoperta progressiva, e l'applicazione della sua Legge appartengono all'umanità."

 

 Per capire il pensiero di Mazzini bisogna comprendere la sua teologia.

 

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24 luglio 2012 2 24 /07 /luglio /2012 15:14

Diamanti

Giorgio Bassani, bolognese di nascita ma ferrarese di adozione, mise, sempre al centro della sua ispirazione la città di Ferrara. 
Una Ferrara che con il suo mondo piccolo borghese è un microcosmo compiuto dove si riverberano tutte le tensioni e i fatti degli anni in cui Bassani visse. 
E proprio partendo da questa ambientazione le sue opere sono state da lui stesso raggruppate sotto il titolo comune "Il romanzo di Ferrara", quasi si trattasse di un ciclo dove ogni libro sembra rimandare ad un altro e dove ogni storia è compiuta solo se si conosce quella raccontata in un altro libro. 

La storia di quella Ferrara a cavallo degli anni Trenta e Quaranta è la Ferrara della comunità ebraica a cui Bassani appartiene e di cui, con sapienza letteraria, Bassani traspone in forma scritta, emozioni e pensieri, comunicando al lettore una narrativa fatta di sfumature e di intima sofferenza. 
Gl stessi personaggi dei suoi libri assurgono a simbolo di ogni famiglia ebrea presente in qualunque altra parte d'Europa, ogni personaggio è il simbolo di quella condizione fatta di solitudine e di emarginazione. 
Ma ridurre la narrativa di Bassani a una questione semplicemente ferrarese e in particolare della Ferrara della comunità ebraica di quegli anni sarebbe rendergli un torto perchè possiamo collocare le opere di Bassani in una più larga tradizione novecentesca fatta di scrittori borghesi che scrivono sulla borghesia, come Natalia Ginzburg o Lalla Romano. 

Ne "Gli Occhiali d'oro", opera pubblicata la prima volta nel 1958, Bassani affronta due tematiche che in parte lo discostano da quelle affrontate in altre opere: quelle della emarginazione dovuta non solo all'appartenenza alla comunità ebraica, ma anche quella derivante dall'omosessualità. 
Quest'ultimo tema, delicatissimo in quegli anni, non era stato mai affrontato in questi termini, come non era stata mai trattato il tema della diversità. 

Si tratta quindi non più della condizione di chi si trova ad essere travolto dalla persecuzione razziale ma di colui che vive la sua condizione di diversità e di emarginazione all'interno di una cittadina piccolo borghese dove tutti si conoscono e dove il pettegolezzo è l'unico svago che vede coinvolti i personaggi della piazza cittadina. 

Chi è occhiali d'oro? Già il soprannome rivela due aspetti: da un lato l'abitudine tutta provinciale di connotare qualcuno con un nome che evidenzia alcune particolarità e dall'altra parte il vezzo del protagonista di portare degli occhiali d'oro che danno al personaggio una caratterizzazione dalla forte valenza simbolica. 
L'indossare degli occhiali d' oro da una parte è un vezzo ma è anche un segno rivelatore della condizione sociale del dottor Fadigati (questo è il nome del protagonista) noto medico della città. 
Proprio questi occhiali d'oro rivelano un'eccessiva attenzione verso se stessi che in quegli anni non era ben accetta quando si trattava di uomini, ma nel contempo una forte disponibilità economica che finisce con fare identificare ricchezza ed essere ebreo. 
Se alla condizione sociale e a quella di appartenenza alla comunità ebraica aggiungiamo quella di omosessualità, la miscela esplosiva che condurrà Fadigati all'emarginazione più totale sarà così potente che non potrà avere che un esito tragico e drammatico. 

Bassani che amò Ferrara lancia anche un atto d'accusa contro quel mondo piccolo borghese fatto di comportamenti acquiescenti, spesso consenzienti nei confronti dei soprusi fatti anche di allusioni, di epiteti, di sguardi, di piccole cattiverie che condurranno il dottor Fadigati al suicidio. 
Un suicidio che rappresenterà l'unica via di fuga da una condizione in cui ogni rapporto finiva coll'essere pesantemente condizionato da una diversità mai vissuta in forma sfacciata ma sempre gelosamente nascosta con discrezione, quasi per non disturbare gli altri. 


Un ottimo libro scritto con stile fluente, ricco di sfumature che tratta un tema attuale con molta discrezione ma con una capacità di analisi introspettiva unica e piacevole per il lettore.

 

Opinione di proprietà dell'autore già pubblicata altrove


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Fonte immagine:http://farm8.static.flickr.com/7164/6436035819_a482f890d9.jpg

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24 luglio 2012 2 24 /07 /luglio /2012 14:57

Primo Levi è noto soprattutto per "Se questo è un uomo" che, senza il rischio di scadere nella retorica, possiamo definire un monumento alla memoria che sembra esser stato scalfito sulla pietra ad uso delle future generazioni. 
Ma non meno interessanti sono le altre opere dello scrittore torinese, opere che pur non potendo inscriversi in quel filone della cosiddetta "memorialistica", sono a pieno titolo delle riflessioni che traggono spunto dalla propria esperienza vissuta in ambito lavorativo. Come è noto Primo Levi era un chimico di professione che ebbe sempre una straordinaria volontà di capire e di raccontare. 

Merita pertanto una rivalutazione "La chiave a stella", il libro pubblicato nel 1978 che ha il pregio di parlare di lavoro sotto forma di dialogo; il dialogo si svolge tra due lavoratori italiani: un chimico delle vernici (la figura professionale dello stesso Levi) e un operaio specializzato. Tra i due si instaura immediatamente una corrispondenza e incominciano a parlare delle loro esperienze di lavoro. 
Uno dei due è tale Faussone detto Tino che ad un certo punto prende la decisione di lasciare la fabbrica Lancia dove lavorava in qualità di operaio addetto alla catena di montaggio e decide di andare all'estero a fare il montatore di gru a torre, di ponteggi, di strutture metalliche e di ponti sospesi. 
Quella del montatore all'estero era ed è una professione ben remunerata che portava e porta un lavoratore ad andare in giro per il mondo in tutti quei paesi in cui è richiesta manodopera specializzata. 
Bisogna considerare che circa 30/40 anni fa non esisteva ancora la concorrenza a basso costo dei lavoratori provenienti da aree quali la Cina e l'India e gli italiani erano considerati i migliori in determinati ambiti lavoratovi soprattutto in quelli che si occupavano della costruzione di sovrastrutture. 
Tino quindi gira per il mondo, va in India, Russia, in Africa e con lui vi è sempre un prezioso strumento: la chiave a stella (da qui il titolo del libro) necessaria per serrare i dadi. 
Il racconto di Tino è quindi un tributo anche ad un utensile che non lo tradisce mai e che, insieme alle sue mani, è artefice della sua fortuna. 

Dall'altra parte il chimico che a sua volta racconta le sue esperienze di lavoro indulgendo sulle qualità di una vernice che lui ha formulato, si tratta di una vernice speciale ad uso alimentare che deve proteggere le scatole di conserva dalla corrosione. 
Due storie apparentemente banali e comuni in quegli anni, ma la chiave di lettura del libro sta nell'invito che Tino dà al chimico invitandolo a desistere dal proposito di voler fare lo scrittore a cui si rivolge dicendogli:

 
"Guardi che fare delle cose che si toccano con le mani è un vantaggio". 

"Il sistema periodico" è chiaramente autobiografico, Primo Levi di professione chimico come il personaggio del libro si dedicò ad entrambe le attività: quella di scrittore e quella di chimico, senza dubbio oggi è ricordato per la sua attività di scrittore; la figura di Tino è quella che più fotografa la realtà operaia portata a semplificare la realtà e a vedere concretamente il mondo del lavoro. 
Il tema centrale è quindi quello del proprio lavoro che dovrebbe essere sempre un lavoro che si svolge perché lo si ama; è un tema che trovo attualissimo perché oggi pochi hanno la possibilità di scegliere quello che realmente gli piace e quando questo accade si realizza una parte della felicità dell'individuo, a tal proposito nel libro troviamo una felice espressione sul lavoro che viene definito "la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra". 

Un bel libro, positivo ed ironico che ci rivela un Primo Levi lontano dal dramma raccontato in "Se questo è un uomo".

 

 ...fare le cose che si toccano con le mani è un vantaggio....

 

Opinione di proprietà dell'autore già pubblicata altrove

 

 

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24 luglio 2012 2 24 /07 /luglio /2012 10:07

 

 

La cicala e la formica - Jean de la Fontaine

 

 

 

 

 

 

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Frontespizio dell'edizione originale delle Favole di La Fontaine

 

Fonte immagine: https://www.flickr.com/photos/96437739@N00/251277848

 

 

EPPURE MOLTI CONFONDONO 

Chissà perché Jean de La Fontaine ha deciso di riscrivere la celebre favola di Esopo? Non era meglio scriverne un'altra di sana pianta con un argomento originale? sono interrogativi a cui è difficile dare una risposta sicura ed anche i filologi su questo interrogativo hanno avanzato delle ipotesi, ma nessuna sembra abbastanza convincente da sciogliere l'interrogativo. 
Eppure molti confondono la favola di Esopo con quella di Jean de la Fontaine, ma quali sono le differenze tra le due favole? 

  •  Prima di tutto Esopo parla di formiche e non di una formica, usa infatti il termine "oi murmeches " oi murmeches (le formiche). 

 

  • Collocazione nel tempo: Esopo colloca l'inizio della favola nel periodo invernale "Era d'inverno", La Fontaine anche ma esplicita immediatamente la condizione della cicala definendola "imprudente" ed anticipa il motivo della sua richiesta scrivendo che "tutta l'estate al sol restò". 

 

  •  L'azione delle formiche di Esopo è corale, la formica di La Fontaine parla come genere avocando a sè tutti i meriti per la sua previdenza. 



La morale di entrambe le favole sembra uguale, per Esopo una persona in ogni circostanza non deve essere trascurato nel senso che di negligente per non trovarsi a dovere affrontare dolori e ristrettezze (usa esattamente questi termini). La Fontaine non rende conclude alla maniera di Esopo che preferisce l'ammaestramento morale, ma in modo molto ironico termina con la risposta della formica "Balla adesso se ti pare" ossia "Canta che ti passa". 

In entrambe le favole però la cicala è poco accorta e sfrontata, di contro le formiche (Esopo) e la formica (la Fontaine) non sono da meno e danno una risposta canzonatoria che non lascia scampo. Insomma "peggio per te che invece di lavorare hai perso tempo a cantare". 

LA FORMICA 

Ha ragione, ma è antipatica, mette il dito nella piaga ed è refrattaria a qualsiasi sentimento di carità, mi sembra che ci sia un senso di rivalsa più che di giustizia. Il senso di futuro della formica poi è previdente fino ad un certo punto perché nella vita diventa difficile programmare tutto e l'imponderabile è sempre in agguato. 

LA CICALA 

Quando si rende conto di stare male chiede aiuto agli altri, ma la sua risposta assomiglia ad una burla e provoca la reazione stizzita della formica che è una gran faticatrice, abbassa la testa e va avanti lavorando per sé e per la comunità ma non è stupida. 


UN'INTERPRETAZIONE DELLA MORALE

  • Non chiedere mai aiuto ai vicini ( la cicala chiese aiuto alla formica sua vicina che gli rispose picche); 
  •  I furbi sono destinati prima o poi a rimanere con un pugno di mosche in mano; 
  • Essere previdenti va bene, ma non bisogna esagerare, la formica lavora sempre ma non si divaga mai; 
  •  Non dire mai "te lo avevo detto", si rischia di diventare antipatici. 





Il libro della Giunti ha solo 16 pagine, è un libro illustrato adatto per i bambini, come molte fiabe e storie illustrate l'immagine prevale sulla parola, ovviamente sfugge ai bambini il significato più profondo della favola, ma può essere un modo per avvicinarli alla lettura. 
Se si ha pazienza ad argomentare le tavole qualcosa rimane nella fantasia dei bambini, non è poco sotto l'aspetto educativo; ma facciamo però vivere i bambini un po' da cicale, avranno poi tutto il tempo di fare le formiche. 

Il libretto costa  meno di 6 euro.

Il libro illustrato è un modo efficace per avvicinare i bambini alla bellissima favola.

 


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Published by Caiomario - in Letteratura
24 luglio 2012 2 24 /07 /luglio /2012 04:51

"La saga della legione perduta" di Harry Turtledove è un libro di genere che negli ultimi anni ha conquistato fasce sempre più vaste di lettori, ma nessuno deve dimenticare che il punto di riferimento rimane John R.R. Tolkien, il padre della magia delle grandi saghe, pertanto le mie critiche (benevole) al racconto saranno condizionate dalle letture dell'inarrivabile maestro britannico. 
La storia de "La saga della legione perduta" si muove oltre la storia, il Marco Emilio Scauro del racconto è un personaggio della fantasia e non ha nulla a che fare con gli omonimi realmente vissuti, mentre l'invio di una sola legione in Britannia avvenuta nel I secolo a.C si riferisce alle attività militari iniziate con Caio Giulio Cesare quando furono avviati i primi tentativi di romanizzazione del territorio. 
Comunque in tutto il libro, Turtledove usa il riferimento storico in modo appropriato ma a proprio piacimento mischiando diversi periodi secondo una tecnica asincrona che giustappone fatti ed avvenimenti realmente accaduti con altri di pura fantasia. 

ASPETTO MITOLOGICO SIMBOLICO 

E' la parte più rilevante di un viaggio che si rivela irto dei pericoli a partire dall'episodio in cui il generale romano entra in contatto con la sua "spatha" con quella di Viridovix, in questo caso abbiamo un dato asincrono in quanto il personaggio è realmente vissuto all'epoca in cui Giulio Cesare andò in Britannia nel 43 a.C. 

Dopo un racconto credibile, inizia la parte magica del libro quando la legione, Scauro e Viridovix si ritrovano catapultati in un tempo indefinito nell'impero di Videssos, un impero di fantasia che presenta molte analogie con quello di Costantinopoli. Una piccola curiosità: i legionari romani ovviamente non parlano la lingua di Videssos ma riescono ad impararla e ad adattarsi alla nuova situazione traendo beneficio dei potere taumaturgici. 
Turtledove è molto minuzioso nelle sue descrizioni, attinge a piene mani dai documenti di corte dell'impero romano d'oriente adattandoli alla complessa ed articolata burocrazia di Videssos; paradossalmente poi a dispetto del titolo la legione romana perduta ad un certo punto si perde davvero nel racconto, in quanto al centro dell'attenzione vi è l'impero di Videssos e dei regni confinanti. 

Il libro consta di quattro parti: 


  •  La legione perduta; 
  •  Un imperatore per la legione; 
  •  La legione di Videssos; 
  •  Le daghe della legione. 


ASPETTO STORICO E MONDO RAPPRESENTATO 

L'intreccio è avvincente e pieno di sorprese, nelle 1765 pagine del libro, il lettore viene trasportato in un labirinto narrativo complesso, il racconto procede tuttavia diretto con la tensione dell'evento decisivo, per poi ricadere nelle pause dove sono illustrati molti particolari di tipo rituale religioso come quello che riguardano il dio Phos, una creazione della fantasia creativa di Turtledove. 
Il comune denominatore che lega tutti i quattro libri della saga è costituito dal fatto che gli avvenimenti si susseguono su due piani temporali: nella parte iniziale del primo libro si parte dall'evento storico e si segue rigorosamente l'ordine degli accadimenti, nel momento in cui si passa alla dimensione atemporale, il riferimento agli avvenimenti precedenti è sempre legato all'antefatto che costituisce il punto di vista della legione romana. 
I legionari quindi non perdono mai le caratteristiche tipiche dell'esercito romano come, ad esempio, lo spirito di dedizione e di disciplina, il coraggio e il sodalizio adattandosi alla nuova dimensione a alla struttura della società in cui sono stati catapultati. 
Se si riflette sul mondo rappresentato da Turtledove ci rendiamo conto che l'insieme delle vicende sembra ambientato in un'epoca storica accuratamente ricostruita anche se tutto il contesto dei personaggi è assolutamente fantastico anche se è riconducibile a numerosi riferimenti di carattere storico a cui l'autore stesso si è ispirato. 

Suggerimento per la lettura: il libro è l'ideale per una lettura d'evasione che non richiede un particolare impegno o una preconoscenza dei fatti storici, l'unico accorgimento che bisogna avere è quello di non lasciare e riprendere il racconto in quanto si incontrano nell'opera molti registri narrativi che si rischia di non cogliere o collegare se si fa una lettura troppo diluita nel tempo.

Conclusione: Nonostante la lunghezza, il racconto si legge speditamente ed avvince

 

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Published by Caiomario - in Libri
23 luglio 2012 1 23 /07 /luglio /2012 10:34

In tante situazioni chiediamo aiuto a parenti ed amici che spesso, senza volerlo, contribuiscono ad aggiungere confusione a confusione. Un libro come "L'Avvocato di me stesso" invece si propone di aiutare il lettore fornendogli risposte chiare e semplici su tutta una serie di questioni che lo interessano e lo coinvolgono e, come puntualizzano gli autori nella parte introduttiva "per non subire ingiustizie e per non farsi imbrogliare". 

CHI SONO GLI AUTORI 

Osvaldo e Lorenzo Cantone sono due avvocati del Foro di Verona. Hanno scritto altre opere aventi argomenti di carattere legale e rivolte a tutti coloro che cercano delle risposte su argomenti specifici. 
Le altre opere scritte dai due autori sono le seguenti: "Compare e vendere case, negozi e terreni, "Separazione e divorzio", "Assicurazioni", "Il mondo del lavoro". 

COME È  STRUTTURATO IL MANUALE 

Il manuale si compone di dodici parti, l'ultima intitolata "Il Diritto dalla A alla Z" si sviluppa in 80 pagine e contiene un dizionario dei termini giuridici di uso più frequente. Sotto il titolo si trova la seguente specifica" Il cerca trova. Un dizionario, ma anche un indice analitico". 

Il capitolo primo si apre con la trattazione del diritto naturale e il concetto di giustizia, sulla differenza tra diritto pubblico e diritto privato e sulle fonti del diritto. 
Illuminante ed utilissimo è poi il capitolo sulla Costituzione italiana e sui valori della stessa. 

Le successive parti trattano di singoli argomenti e seguono lo schema della domanda e della risposta; ad esempio, nel capitolo sulla separazione viene posta la domanda "a chi resta la casa?" segue poi la riposta espressa in modo molto chiaro e semplice. 

LE AREE TRATTATE NEL MANUALE 

Nel manuale si trova un'ampia trattazione dei seguenti argomenti: 

  • La casa e la famiglia; 
  •  I diritti della persona; 
  • Il mondo del lavoro; 
  • Imprese e società; 
  • Eredità, testamento, donazioni; 
  • I diritti del consumatore; 
  • Delitti, danni, risarcimenti; 
  • Difendersi dalla burocrazia. 




COME USARE IL LIBRO 

Questo manuale come tutti i libri/prontuario è importante che venga usato in modo corretto, prima di tutto per evitare di commettere un errore imperdonabile frutto più dell'ignoranza che della presunzione ossia pensare che, dopo aver consultato il manuale, ci si possa sostituire ad un legale. E' un errore che si rischia di pagare molto caro in quanto nel testo non vengono trattati tutti gli aspetti procedurali in materia civilistica che costituiscono il presupposto fondamentale per affrontare in modo corretto qualsiasi tipo di controversia. Chiarito questo aspetto che fa parte del corredo delle avvertenze iniziali, si può invece suggerire un uso consapevole del manuale che può diventare un "mezzo" utilissimo a patto che si seguano in primis le indicazioni che gli autori stessi danno nell'introduzione, vediamole nel dettaglio: 

  • il lettore può usare il libro semplicemente leggendolo dall'inizio alla fine in modo da poter acquisire tutta una serie di conoscenze di base su istituti e norme che regolano la nostra vita nei più diversi ambiti: da quello familiare a quello lavorativo. 

 

  •  il lettore può consultarlo di volta in volta, scegliendo l'argomento o l'area che maggiormente interessa. 

 

  •  il lettore può utilizzare i formulari e le lettere da inviare a questo o quel soggetto con il quale si è iniziato un rapporto giuridico. 






ALTRE INFORMAZIONI: 

Autori: Lorenzo e Osvaldo Cantone 
Titolo: L'Avvocato di me stessto 
Editore: Giunti Demetra 
Pagine: 697 
ISBN:978-88-440-37703-1 
Prezzo di copertina: 17,90 euro 

Prima edizione: giugno 2003 
Nuova edizione aggiornata: gennaio 2007 

Reperibile in libreria, online e negli uffici di Poste Italiane.

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Published by Caiomario - in Libri
23 luglio 2012 1 23 /07 /luglio /2012 06:18

 

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La trappola. Come banche e finanza mettono le mani sui nostri soldi ( e come non farsi fregare dalla crisi) scritto a quattro mani da Sandro Mangiaterra e Carmelo Abbate è stato pubblicato subito dopo l'inizio della crisi che - è bene sempre ricordarlo- è nata negli Stati Uniti e si è diffusa come un virus in tutto il mondo . 
Forse -come ammesso dagli stessi autori- questo è il libro più rimaneggiato perché, proprio quando doveva essere dato alle stampe, è scoppiata in tutta la sua virulenza la tempesta finanziaria che ha travolto non solo il sistema bancario e finanziario ma anche i sistemi economici di nazioni che pur geograficamente lontane, dipendono una dall'altra.
Dato il perdurare dello stato di crisi che vede sempre più coinvolte le banche di mezzo mondo, il libro potrebbe essere stampato ogni sei mesi con dei continui aggiornamenti che siano di giovamento ai lettori e consumatori che non vogliono farsi fregare dalla crisi.


Mentre erano intenti a scrivere il loro libro, Carmelo Abbate, giornalista del settimanale Panorama e Sandro Mangiaterra, giornalista del quotidiano finanziario Sole 24 Ore. si trovano nel bel mezzo della crisi finanziaria scoppiata in seguito alla erogazione dei cosiddetti mutui subprime; ora che la voragine apertasi sembra non avere mai fine possiamo dire che ad essere stato coinvolto non è solo il mondo delle banche ma quello di milioni di esistenze di individui che sono stati scaraventati nell'indigenza e in un baratro di speranze stroncate.

Se 122 banche americane falliscono non si può più parlare di semplici crisi , siamo dinanzi al fallimento di un modo di fare economia contrario alle leggi stesse del capitalismo perchè è un sistema che depaupera i più e finisce col fagocitare anche se stesso.
Henry Ford fu il primo a dire che doveva pagare bene i suoi operai se voleva vendere le proprie auto, in un mondo di poveri e diseredati quale possibilità ha di risollevarsi un'economia drogata che sopravvive grazie e solo ad iniezioni gigantesche di denaro pubblico.

'Abbiamo assistito al fallimento di colossi come Merryl Linch, Lehman Brothers, Goldman Sachs, Morgan Stanley e decine di altre, ma anche in Italia ben prima della crisi finanziaria abbiamo assistito al caso Parmalat e qui sono utili i consigli dati dagli autori su come difendersi per quanto riguarda gli eventuali investimenti finanziari che ciascun cliente dovesse fare.

La lettura del libro forse non è appassionante, ma è utilissima perché La trappola. Come banche e finanza mettono le mani sui nostri soldi ( e come non farsi fregare dalla crisi) è un'analisi aggiornatissima degli avvenimenti finanziari che hanno dato avvio a una crisi forse peggiore di quella del '29.
Allo scoppio della crisi molti inizialmente pensavano di non venirne travolti ma tutti proprio tutti hanno dovuto fare i conti con una realtà che appare incredibilmente complicata e dove nessuno può dire di non essere interessato.

Ecco che gli autori ci danno tutta una serie di preziosi suggerimenti per difenderci in un momento drammatico come quello che stiamo vivendo, impreziosendo la loro analisi con anedotti ed esmpi, per cui la lettura risulta facile, agevole e appassionante.


In conclusione se ne consiglia la lettura in quanto come diceva un vecchi adagio sessantottino:

Se non ci interessiamo di politica e la politica che si interessa di noi

 

INFORMAZIONI SUL LIBRO

  • Autori: Carmelo Abbate e Sandro Mangiaterra
  • Titolo:La trappola
  • Editore:  Piemme
  • Pag: 264
  • Prezzo: euro 17,50 (prezzo di copertina riferito al momento della pubblicazione). Alla data del 23 luglio 2012 il libro è venduto da Ibs al prezzo di euro 7,88.

 

http://giotto.ibs.it/cop/copj170.asp?f=9788856604450

 

Fonte immagine: http://farm8.static.flickr.com/7006/6775186605_4e423b59d4.jpg

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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