Ci sono nomi e date difficili da dimenticare, uno di questi è il sessantotto o se volete semplicemente Il '68, accade soprattutto quando chi parla di quel periodo è stato uno dei protagonisti che l'ha visto nascere e che periodicamente ne riecheggia dei contenuti che oggi sembrano decisamente demodè; se oggi possiamo raccontare il '68 possiamo farlo anche attingendo da quei racconti tramandati oralmente che finiscono con la fatidica frase "io ho fatto il '68" perché non si dice "ho partecipato ai movimenti di piazza che sono avvenuti nel '68" ma proprio "io ho fatto il '68", di contro c'è un'altra tendenza che si sente dire in giro da almeno un ventennio "E' tutta colpa del '68" che assomiglia al famoso "E' tutta colpa di Andreotti". In effetti c'è un tocco un po' lunatico e surreale in queste espressioni, sono entrate nel mito del linguaggio.
Ma è proprio vero che tutto il cumulo di macerie morali (ormai si sono accumulate al punto di essere diventate una montagna) è colpa del '68? O forse dobbiamo proprio al '68 le conquiste e i diritti civili che i matusa non volevano rilasciare? Purtroppo la verità deve sempre competere con le menzogne che hanno un effetto sempre devastante e allora perché non affrontare il tema in modo più lieve?
Il libro di Elfo non è quindi un'analisi sul '68 (ce ne sono troppe e alla fine stancano) ma il racconto su di un ragazzo, Rinaldo, che quel periodo lo visse con tutte le ritualità che sono ormai entrate nelle storia. All'epoca ad essere occupate non erano solo le università, ma ogni cosa veniva ridefinita, delegata e infine occupata compresi i viaggi che avevano sempre delle mete alternative e l'India era in cima a tutte le altre destinazioni. Ovviamente per i lettori di oggi quelle metafore sembrano lontane ma lo stile del '68 investiva anche altri aspetti e la militanza doveva essere quella dei "barbudos" e dell'eskimo.
Elfo ci consegna quindi un'indagine esistenziale attraverso le immagini che è poi una potente metafora, densa e caleidoscopica su quella realtà che fu prima di tutto aggregazione che superò i limiti antropologici dell'uomo teso sempre alle solitudini personali.
L'ansia di cambiamento covava ovunque e da allora molto costumi subirono una metamorfosi a partire dall'avanguardia sessuale e a quella culturale e in primis musicale. Il rock non era, ad esempio, l'industria commerciale di oggi, il rock era protestatario e il feticcio del vinile nasce all'interno di quel clima.
Utopia? Forse, ma l'onda lunga del '68 è arrivata fino a noi e nulla è più come prima anche se non c'è stata nessuna rivoluzione e il potere sembra essersi rafforzato, ma si tratta di una conclusione molto superficiale perché è il potere che si è dovuto talvolta adattare.
Ultimi, ma non meno importanti, vanno segnalati i malfunzionamenti conseguenti alla istituzionalizzazione del movimento; si passò da essere tribali per affinità alla gerarchizzazione della contestazione, ma è pur vero che i leader avevano il compito di "legare" le varie anime del movimento che prima della sua definitiva politicizzazione era l'epicentro della creatività. Ma poteva esistere un '68 senza cortei? No era impossibile.
Dopo 42 anni possiamo dire che era fin troppo facile che tutto fosse andato bene, il pregio del libro di Elfo sta poi anche nel fatto che attraverso le immagini e i fumetti possiamo vedere il '68 e lo guardiamo senza patemi ma il lungo viaggio dei giovani di allora non è ancora concluso anche i cambiamenti possono sembrare minimali. Gran libro illustrato, insomma.