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1 giugno 2018 5 01 /06 /giugno /2018 05:11
I racconti di mamma Oca - Charles Perrault

Credo che sia capitato a tutti parlando di fare qualche citazione del tipo "come il lupo di Cappuccetto Rosso" oppure "ecco la bella addormentata" o ancora "cerca il principe della bella addormentata" e via seguendo. Molti di noi sono cresciuti con le favole scritte da Charles Perrault, il favolista francese che ha avuto il merito di non fare disperdere dei racconti che sussistevano nella tradizione orale contadina con vari rimaneggiamenti e finali.
Gli studiosi delle tradizioni popolari hanno fatto anche una ricostruzione filologica di quelle favolette e inaspettatamente si è arrivati alla conclusione che sono esistite varie versione della Bella addormentata,  di Cappuccetto Rosso etc.
Per una strana ironia quelle favole della tradizione contadina diventarono ai tempi di Perrault ad uso e consumo della annoiata aristocrazia francese che avendo poco da fare si divertiva ad ascoltare infinite volte le stesse storie. Esistono delle versioni dell'epoca de "I racconti di mamma d'Oca" che sono straordinariamente illustrati in quanto venivano mostrati  ai più piccini durante la lettura.
 Vladimir Propp, il più grande studioso di fiabe e favole, ha scritto numerosissime opere sull'argomento tra cui il libro  Morfologia della fiaba.  Prima di Propp non vi era stata una letteratura scientifica vera e propria sulle favole e sulle fiabe, i suoi studi sono stati quindi fondamentali per comprendere la struttura della fiaba; Propp faceva riferimento alle fiabe russe ma leggendo Perrault si possono per analogia applicare gli stessi criteri interpretativi .

L'AUTORE E IL VOLUME

Tralasciando questi aspetti riservati agli specialisti e rivolgendosi al lettore medio, è bene sottolineare che la lettura de "I racconti di mamma Oca" non necessita di questa preparazione specifica così come non serve fare delle comparazioni tra un racconto ed un altro, è invece interessante vedere la storia di questo volume ora edito da Feltrinelli.
Il titolo originario del volumetto era "Storie e racconti del tempo passato, con la morale - I racconti di mamma Oca", si noti che "I racconti di mamma Oca" era un sottotitolo mentre il titolo lungo era esplicativo e faceva riferimento a storie già esistenti, è lo stesso Perrault a dichiararlo senza alcuna pretesa di volersi attribuire la paternità delle storie raccolte nel volume.

Ecco i titoli dei racconti presenti nel volume pubblicato 1697:

  •  Cappuccetto rosso
  •  Pollicino
  •  La bella addormentata nel bosco
  •  Barbablù
  •  Cenerentola
  •  Il gatto con gli stivali
  •  Le fate
  •  Enrichetto dal ciuffo
  •  La principessa furba
  •  Pelle d'asino
  •  I desideri ridicoli


Ecco invece i titoli pubblicati nell'edizione della Feltrinelli che è una riproposizione di quella pubblicata dalla Hoepli, entrambe sono ancora in commercio:

  •  Cappuccetto Rosso
  •  Le fate
  •  La bella addormentata nel bosco
  •  Il gatto con gli stivali
  •  Cenerentola
  •  Enrichetto dal ciuffo
  •  Pollicino
  •  Pelle d'asino
  •  Barbablù


Rispetto all'edizione originale sono raccolti 9 racconti, ne mancano due: I desideri ridicoli e La principessa furba.
Ad integrazione dei racconti contenuti nel volume consiglio comunque di leggere i due racconti mancanti (sono presenti in Rete),  in particolare il gustosissimo "I desideri ridicoli" che pone il seguente quesito:

"  È  meglio essere brutti e avere il potere o essere persone normali e non soffrire?".

CURIOSITÀ

  •  Carlo Lorenzini (Collodi) scrisse che per la sua fata turchina consultò il racconto di Perrault intitolato "Le fate". Abbiamo  poi una sua versione ispirata alle opere di Perrault intitolata: "I racconti delle fate". Barbablù diventa con Collodi "Barba-blu".
  •  I nomi delle due sorellastre sono  Genoveffa e Anastasia nel racconto di Perrault e nella trasposizione di Disney, in alcune versioni minori diventano Matilde e Carlotta.
  •  Quando si parla di una matrigna si pensa sempre a quella di Cenerentola, perché?
  •  La favola più inquietante di Perrault? Barbablù.
  • Mamma oca oggi ha un diverso significato rispetto a quello usato da Perrault. Oggi vuol dire che una mamma è una chioccia ed anche un'oca.


NdA

Charles Perrault rispetto ad Hans Christian Andersen (Piccola fiammiferaia, Brutto Anatroccolo, La Sirenetta etc. etc)  manca sicuramente di originalità, ma ha il merito di aver raccolto una serie di racconti che sarebbero andati dispersi e che costituiscono un patrimonio che da generazioni i bambini sanno apprezzare...e anche gli adulti.

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Published by Caiomario - in Libri
2 maggio 2018 3 02 /05 /maggio /2018 06:49

"Come uno che, per strada deserta
cammina tra paura e terrore,
e, guardatosi indietro, prosegue
e non volta mai più la testa
perché sa che un orrendo demonio
a breve distanza lo segue
"
(Mary Shelley, Frankestein ovvero il moderno Prometeo)

Le parole sono tratte da un celebre passo del libro della scrittrice inglese Mary Godwin Shelley (1797-1851) e possono essere considerate emblematiche di quel gusto per i racconti del terrore (o dell'orrore) di cui gli autori inglesi sono stati maestri. Prima di loro la narrazione fantastica d'intrattenimento era stata ampiamente trattata dagli scrittori tedeschi  che la Shelley conosceva bene per averne in parte tratto ispirazione.

Immaginate l'ambiente e le circostanze in cui è nato "la storia del mostro": Mary Shelley si trova a Ginevra  in una villa che si affaccia sul lago, è una serata del mese di giugno del 1816, la pioggia cade fitta impedendo la visione di cose e persone. Insieme alla Shelley si trovano George Gordon Byron, il suo segretario John William Polidori e una sua amica, Mary Godwin.  La serata trascorre a ritmi lenti mentre Polidori legge  storie di fantasmi più o meno conosciute di autori tedeschi, in quel momento nella mente della Shelley incomincia a nascere l'idea di costruire una storia che avesse come protagonista un mostro.
 l'inizio di quella che è ancora oggi considerata la storia più originale di tutti i romanzi dell'orrore: "Frankenstein, ovvero il moderno Prometeo".

All'epoca in cui la Shelley concepì il suo racconto erano di "moda" delle teorie scientifiche di stampo positivistico che ipotizzavano la possibilità di riportare in vita un cadavere attraverso il magnetismo. Gli scienziati impegnati in questo sforzo prometeico che voleva sfidare le leggi della natura, erano spesso dei solitari che nei loro laboratori tra alambicchi e marchingegni scientifici assai poco credibili sezionavano i corpi morti nella speranza di trovare il modo per ridare loro vita.
Al contrario quindi di quanto possa pensare il lettore odierno, alla fine dell'Ottocento in Europa esistevano dei veri Frankenstein che hanno rappresentato il prototipo dello scienziato moderno che si è spinto al limite della conoscenza nella speranza di scoprire la "particella di Dio" e le ragioni che stanno all'origine e alla fine della vita.

La tragica e, per certi versi drammatica storia di Frankenstein e della sua mostruosa creatura, è ancora oggi un romanzo appassionante (più delle varie rappresentazioni cinematografiche che si sono succedute nel tempo) che è ricco di significati e che induce il lettore alla riflessione.
La prima riflessione che continua ad appassionare i dibattiti, più o meno dotti,  dell'uomo moderno riguarda il ruolo della scienza per l'umanità e delle sue finalità.
Viktor Frankenstein rappresenta l'emblema dello scienziato che vuole rivaleggiare con il Creatore, ma (è questa la chiave di lettura del romanzo) alla fine concepisce un mostro demoniaco che gli si rivolta contro.

Molti si sono interrogati sul significato allegorico della creatura mostruosa figlio prima di tutto delle innovazioni tecnologiche che nel periodo della prima rivoluzione industriale sembravano avere come obiettivo quello dell'annientamento dell'uomo; si pensi a tal proposito all'organizzazione del lavoro che in seguito all'introduzione delle macchine escludeva molti dal processo produttivo.
Il mostro che si ribella al suo creatore è come la macchina che l'uomo non è più in grado di dominare e che rischia di distruggere l'intera umanità; non ci vuole molta fantasia per riflettere, ad esempio, sui pericoli e sui danni derivanti dall'energia atomica che l'uomo non è riuscito mai pienamente a controllare.
Questo è forse l'aspetto del "mostro" che più terrorizza e che  dimostra di essere incontrollabile come la creatura del professor Frankenstein; dall'altro canto questa creatura mostruosa non può che generare dei sentimenti di pietà come quelli che si provano nei confronti di tutti i diversi che vengono respinti a causa delle loro sembianze. Cogliere l'aspetto della  "diversità" ci induce a pensare a quel corto circuito che nasce in tutti coloro che, essendo respinti, compiono azioni malvagie al punto che diventa quasi impossibile distinguere la causa dall'effetto.

Al di là dei motivi di riflessione che non possono essere esauriti in questo spazio, ho trovato il romanzo molto complesso e per questo interessante per ciò che concerne la formazione (del lettore), grazie alla genialità della Shelley che è riuscita in modo sapiente ad articolare gli avvenimenti filtrandoli secondo tre punti di vista: quello dell'esploratore-viaggiatore Watson, quello del professor Frankenstein e quello della stessa creatura mostruosa che esprime sentimenti di ribellione e rabbia.

FRANKENSTEIN NEL CINEMA

Una delle più celebri trasposizioni cinematografiche del romanzo di Mary Shelley è stato il celebre film del 1931 dove la mostruosa creatura era interpretata da Boris Karloff. Nonostante il bianco e nero e i classici movimenti da cinema muto, il film continua ad essere il  migliore di sempre, quando si pensa alle sembianze di Frankenstein è inevitabile pensare a quella pellicola in cui il mostro  si muoveva come un robot.
"Frankenstein junior" di Mel Brooks è una parodia che ha il pregio di ridicolizzare ed esorcizzare le paure che da sempre hanno accompagnato tutti coloro che pensano alla mostruosa creatura.
Pregevole è infine il "Frankenstein" (1994) di Kenneth Branagh con Robert De Niro anche se  nella pellicola manca quel fascino dell'antico e dell'oscurità che Boris Karloff riuscì ad imprimere nella sua magistrale interpretazione.

"Oh! Nessun mortale avrebbe sostenuto l'orrore del suo aspetto. Una mummia, che venisse rianimata, non sarebbe rivoltante come quel miserabile





Nota finale: Nel comune senso del sentire la mostruosa creatura di Frankenstein viene chiamata semplicemente Frankenstein, in realtà il mostro è in un certo senso il figlio di Victor, lo scienziato che lo ha creato.
In piena assonanza con l'immaginario collettivo del pubblico dei lettori continueremo però a chiamare il mostro Frankenstein.

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Published by Caiomario - in Libri
1 aprile 2018 7 01 /04 /aprile /2018 17:58

Secondo la pedagogia contemporanea l'apprendimento significativo è un tipo di acquisizione delle conoscenze che consente di sviluppare i processi cognitivi di discernimento, analisi e valutazione del soggetto discente. Il questo tipo di apprendimento il soggetto discente collabora attivamente e le conoscenze non sono fini a se stesse ma sono funzionali al miglioramento delle relazioni interpersonali in chiave  comunicativa. All'opposto dell'apprendimento significativo si trova l'apprendimento meccanico che è un tipo di apprendimento ricettivo dove le conoscenze sono trasmesse in modo unidirezionale dal docente. Nella pratica tuttavia l'apprendimento significativo se può essere utile per sviluppare la riflessione, dall'altra parte non è funzionale a quello che viene richiesto in diversi ambiti in cui la verifica delle conoscenze è valutata in base alla somma delle nozioni possedute. Si pensi ad esempio ad uno studente che deve sostenere un esame universitario  nel quale non si richiede alcuna capacità di valutazione individuale ma esclusivamente delle nozioni,in questo caso l'apprendimento meccanico risulterà più efficace per la preparazione della prova consentendo di aumentare le possibilità di superarla. Ipotizziamo invece che un insegnante assegni come compito in classe l'elaborazione di un articolo di giornale, in questo caso è necessario che lo studente abbia sviluppato il pensiero critico. Le difficoltà di molti studenti nello svolgere componimenti a tema libero dipende spesso dal fatto che le capacità creative sono atrofizzate per cui può accadere che da una parte uno studente dimostri di essere brillante in una prova in cui sono previste domande e risposte multiple e dall'altra parte,  lo stesso studente presenti criticità comunicative e riflessive quando si tratta di sviluppare un elaborato a libero componimento.

Non si tratta quindi di privilegiare l'apprendimento significativo a discapito di quello meccanico, nella pratica entrambi gli apprendimenti sono necessari, il primo per sviluppare il pensiero critico, il secondo per memorizzare nozioni ed avere padronanza di questa o quella disciplina. Pensare che si possa avere una preparazione in qualunque ambito non solo scolastico ma anche professionale prescindendo dalle nozioni è impossibile, ma è altrettanto impossibile non sviluppare la capacità di discernimento come momento obbligato in moltissime attività umane dove la capacità  valutazione è essenziale per poter prendere una decisione. 

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1 aprile 2018 7 01 /04 /aprile /2018 17:07

Sui metodi di apprendimento – Metodologia dell'apprendimento per abilità (mastery learning)

 

La metodologia dell'apprendimento per abilità è una particolare forma di insegnamento che si fonda su un percorso formativo personalizzato. Elemento centrale della formazione è il processo di apprendimento, per questo motivo diventa importante in questa metodologia didattica, predisporre un piano educativo personalizzato che includa un'analisi delle capacità del singolo alunno, le sue competenze e gli obiettivi che ci si propone di raggiungere. Mentre nella lezione frontale l'insegnamento è indifferenziato e non tiene conto delle specificità e del livello delle capacità del discente, nell'insegnamento per abilità è importante procedere in primo luogo elaborando delle unità didattiche in cui vengono misurate le competenze dello studente al fine di intervenire per apportare i necessari correttivi. Il divario di conoscenze viene quindi valutato prima dell'attività didattica in modo da rendere l'apprendimento proficuo, i risultati poi vengono valutati attentamente al fine di verificare il raggiungimento degli obiettivi prefissati.

 

Autori del metodo

Jerome Bruner e Benjamin S.Bloom

    Elemento centrale

    Insegnamento personalizzato. Le discipline sono viste come un complesso organico e non come somma di nozioni. Importanza dell'aspetto cognitivo e non psicologico dell'istruzione.

      Obiettivo del metodo

      Risultato finale: alto livello di apprendimento di tutti i partecipanti

        Tecnica impiegata

        Intorno all'obiettivo vengono elaborate le unità didattiche e predisposte le prove di valutazione

          Teoria di Bloom – Tassonomia degli obiettivi educativi

          Si opera per obiettivi:

          • Obiettivi di padronanza

          • Obiettivi di competenze

          • Obiettivi di espressione

          • Obiettivi di interesse

          • Obiettivi di impegno

          • Obiettivi di partecipazione

          Teoria di Bruner

          • Importanza del momento cognitivo;

          • I modelli di apprendimento sono individualizzati.

          Vantaggi

          • I discenti raggiungono un alto livello di conoscenza;

          • L'istituzione scolastica acquista maggior valore.

           

             

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            Published by Caiomario - in Pedagogia, Metodologie Didattiche, Psicologia
            1 aprile 2018 7 01 /04 /aprile /2018 03:56

            L'apprendimento inteso come processo di acquisizione delle conoscenze può essere applicato seguendo diversi principi, tra i vari metodi funzionali a raggiungere questo scopo va annoverato l'apprendimento cooperativo denominato anche cooperative learning. Il fondamento di questo metodo si basa sulla partecipazione dei discenti divisi in gruppi di lavoro al fine di stimolarne la partecipazione. Il coinvolgimento degli studenti, secondo i principi ci questa metodica aiuta a sviluppare l'impegno, il senso di solidarietà e la serietà nel portare a termine il lavoro che viene assegnato. Attraverso l'apprendimento cooperativo si realizza poi l'assimilazione del singolo in un gruppo prevenendo possibili atteggiamenti di auto isolamento o di esclusione emotiva; il punto di forza di questo tipo di apprendimento è il coinvolgimento attivo dello studente che essendo coinvolto in un lavoro di gruppo, sviluppa e migliora l'autostima e la fiducia nei confronti dei propri compagni di classe, è l'attuazione del cameratismo in chiave scolastica dove il condividere le idee e i propositi di un determinato progetto favoriscono l'unione e il consenso. Il corrispondente metodo di insegnamento che ha le finalità su descritte viene denominato "team teaching" (insegnamento di gruppo) e può essere attuato dal singolo docente o da più docenti che perseguono un obiettivo comune. Facciamo un esempio: ipotizziamo che un insegnante di filosofia debba affrontare come argomento  la figura e il metodo di Newton; le possibilità di applicare il team teaching si possono esplicare nei seguenti modi:

            1° modo 

            • La classe viene divisa in piccoli gruppi di lavoro a cui viene assegnato un tema di ricerca;
            • Il risultato di ogni singola ricerca viene fatto confluire in un lavoro finale dove viene valorizzato l'impegno di ogni singolo gruppo.

            2° modo

            • Vengono coinvolti più insegnanti, nel caso specifico che abbiamo riportato come esempio, il tema può essere affrontato in modo proficuo coinvolgendo l'insegnante di matematica e fisica per quanto riguarda la metodologia matematica e la fisica di Newton. Ciascun insegnante coinvolto nel progetto può portare il proprio contributo optando per un argomento pertinente che ritenga coerente con le proprie conoscenze.

            In entrambi i casi diventa fondamentale organizzare il lavoro di gruppo coordinando in modo funzionale ogni fase del progetto.

            La tecnica del team teaching può essere applicata sia in ambito scolastico che in ambito formativo, in entrambi i casi è comunque importante tenere presente che per il conseguimento di un apprendimento proficuo è necessaria la motivazione di ogni singolo partecipante. Congiuntamente all'applicazione del metodo del team taching, è sicuramente proficua e funzionale allo scopo,fare precedere una fase motivazionale in cui, ad esempio, possono essere evidenziati gli aspetti premianti che possono essere raggiunti dal singolo partecipante una volta che è stato portato a termine il progetto.

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            Published by Caiomario - in Pedagogia, Psicologia, Metodologie Didattiche
            1 marzo 2018 4 01 /03 /marzo /2018 17:41

            Uno degli argomenti non conclusi che riguarda il modo di acquisire i fatti storici verte sul metodo impiegato per fare ricerca. La branca dell'epistemologia che studia la metodologia storica è l'euristica (da εὑρίσκω, verbo greco che significa scopro, trovo).  L'euristica si occupa essenzialmente sull'uso delle fonti e  metodo di approccio osservato nel campo della ricerca.

            Il problema delle fonti o meglio su cosa siano le fonti è fondamentale per lo storico, non c'è ricostruzione storica senza fare riferimento alle fonti. Se questo punto sembra ormai acquisito da tempo,  tanto che la figura dello storico moderno presenta caratteristiche profondamente diverse rispetto agli storici dell'antichità è altrettanto vero che vi sono state e vi sono "scuole di pensiero" differenti su cosa siano le fonti storiche. La discussione su cosa siano le fonti storiche è una discussione che è nata nell'Ottocento in pieno clima positivistico ma possiamo dire che i primi approcci finalizzati alla classificazione dei fatti e degli eventi sono da fare risalire al periodo illuminista quando incominciarono i primi lavori di sistemazione ordinata dello scibile umano compresa quindi la storia, intesa come narrazione degli eventi passati.

            In tutti i manuali viene riportata la distinzione tra fonti dirette o primarie e fonti indirette o secondarie; è possibile quindi schematicamente distinguere:

            Fonti scritte tra cui rientrano:

            • le fonti letterarie quali ad esempio documenti istituzionali, opere letterarie e di qualunque altro campo del pensiero  umano;

            • le fonti epigrafiche che pur rientrando nell'ambito generale della scrittura, si caratterizzano per il fatto di essere incise sui più svariati supporti materiali.

            Fonti non scritte tra cui vanno annoverate:

            • le fonti iconografiche quali ad esempio dipinti, disegni, immagini incisi etc.

            • le fonti monumentali;

            • le fonti orali che comprendono tutte le testimonianze chi ha vissuto direttamente un fatto o un evento.


             

            La distinzione su riportata ha uno scopo pratico, utile sul piano espositivo ma apre delle discussioni su cosa sia una fonte. Una discussione che è ancora in atto e che è iniziata alla fine dell'Ottocento quando lo storico Johann Gustav Droysen, sul piano dottrinario, sentì l'esigenza di dare alla storia una dignità scientifica stabilendo compiti e competenze dello storico. Droysen era ben conscio del fatto che la storia abbracciasse tutta una serie di problematiche che originariamente non avevano a che fare con la storiografia vera e propria. Innanzitutto Drosen sentì l'esigenza di trovare un metodo storico che fosse del tutto autonomo rispetto all'alternativa tra la concezione speculativa e quella materialistica, un'alternativa falsa e che riteneva astratta e di natura essenzialmente spirituale mentre lo storico si sarebbe dovuto muovere nel campo della realtà empirica. Questa esigenza - secondo il Droysen- non doveva essere solo dello storico ma di chiunque operasse nel campo della ricerca e che avesse avuto a che fare con il mondo empirico. Proprio da questa consapevolezza era necessario partire per non perdere il senso per le realtà e per senso per le realtà Droysen riteneva con Wilheelm von Humboldt che si dovesse pervenire alle verità. Sotto questo punto di vista - sosteneva lo storico tedesco - la storia è scienza perché ogni scienza che possa essere definita tale vuole raggiungere la verità.

            La storia è una disciplina che si deve occupare di realtà empiriche e per questo è una scienza empirica che deve essere autonoma e che non può avere alcuna commistione con la filosofia e la teologia che operano in altri ambiti e che hanno altre finalità. Oggetto della storia è tuttavia tutto il contenuto di un popolo (Droysen si riferiva al popolo tedesco e nello specifico prussiano) per ciò che concerne il passato, passato che però esercita la sua influenza nel presente che è il risultato di ciò che rimane del passato.  Nella distinzione che Droysen ci ha fornito, possiamo riassumere schematicamente tra  fonti vere e proprie e i cosiddetti "avanzi". La distinzione operata dallo storico prussiano si fonda sulle intenzioni, per Droysen possiamo distinguere fonti intenzionali mediate da fonti immediate ossia scevre da qualsiasi interesse di tipo testimoniale. Il primo passo per una corretta conoscenza storica, è tenere presente che la storia ha a che fare con dei materiali, materiali che possono essere utilizzati ed afferrati in vista di una corretta ricostruzione. Bisogna quindi partire dal materiale che si trova nel presente e andare a ritroso nel passato. A tal proposito Droysen afferma: " Si potrebbe dire che l'essenza della ricerca consiste nel ravvivare i tratti sbiaditi, le tracce latenti nel punto del presente che essa coglie, nel proiettare il lume di una lanterna a ritroso nella notte dell'oblìo" 1.

            Ogni punto della realtà è storia, ogni persona è il risultato di un processo storico, il passato è tale nel momento in cui viene interiorizzato riverberandosi nel presente. La comprensione e la forza di un uomo risiedono nella comprensione del passato, soltanto attraverso la conoscenza del passato l'uomo - sostiene convintamente Droysen – non sarebbe spirito.

            La storia senza la coscienza del proprio passato, è una storia senza memoria e senza speranza. Droysen poi dice chiaramente che laddove c'è l'impronta della mano umana, c'è storia: è storia l'architettura, la scultura, l'industria, lo Stato, la società, il linguaggio, la religione, la scienza ecc.; non c'è ambito dell'attività umana che non possa non definirsi storica. Ogni storia umana è prima di tutto storia e non esiste uomo se non come risultanza di ciò che “è stato vissuto dalla sua famiglia, dal suo popolo, dalla sua epoca, dalla sua umanità2


             

            Nel metodo storico prospettato da Droysen assume una grande rilevanza leanomalie in quanto la ricerca storica non è rivolta a rinvenire leggi universali ma varianti mutabili. Ciò che però caratterizza in maniera unica il metodo storico, la sua quintessenza è il Verstehen, ossia comprendere indagando, l'interpretazione. Nella storia le variabili producono risultati diversi e solo l'interpretazione delle variabili può portare alla comprensione dei fatti.

            Nel contempo Droysen argomenta in modo puntuale i limiti del metodo storico che non può comprendere il singolo senza considerare la totalità. Ma quali sono le condizioni che permettono di osservare ? Innanzitutto – sostiene Droysen – gli osservatori si devono trovare nelle medesime condizioni etiche ed intellettuali, solo allora possono comprendere ed interpretare i fatti. La disamina fatta da Droysen passa dall'universale al particolare con uno stile che oggi appare dispersivo, le frequenti disgressioni così evidenti, stridono con il nostro modo di comunicare ma è proprio questa caratteristica che ci mostra non solo lo storico ma l'uomo di cultura straordinaria, dalle conoscenze vaste e solide che con l'esemplificazione rende la sua argomentazione convicente e affascinante.

            Non vi può essere attività dell'intrpretare i fatti storici se lo storico non sviluppa la capacità di comprendere tutte le forme in cui si manifesta la cultura umana, a questo proposito Droysen afferma:


             

            "Ogni uomo è in certa misura uno storico, ma colui che fa dello ἱσtορεῖν la sua professione, questi ha da compiere qualcosa che è umano in una misura e con un'ampiezza particolari perchè in lui deve compiersi lo γνῶθι σεαυτον del genere umano (almeno nella forma dello ναγιγνώσκεισν, dacchè deve comprendere, leggere l'essente come un divenuto, quasi conoscerlo risalendo all'indietro e fin sino alla sua origine)"3

            Al di là del contenuto del metodo indicato da Droysen, ciò che assume una rilevante importanza è il fatto che lo studioso tedesco ha posto le basi della moderna metodologia storica intuendo che l'individuazione delle fonti deve essere un processo continuo che investe tutto l'agire umano, tutto il materiale prodotto umano, l'unico che permette di conoscere ed interpretare il passato.

             

            Uno degli argomenti non conclusi che riguarda il modo di acquisire i fatti storici riguarda il metodo impiegato per fare ricerca. La branca dell'epistemologia che studia la metodologia storica è l'euristica (da εὑρίσκω, verbo greco che significa scopro, trovo).  L'euristica si occupa essenzialmente sull'uso delle fonti e  metodo di approccio osservato nel campo della ricerca.

            Il problema delle fonti o meglio su cosa siano le fonti è fondamentale per lo storico, non c'è ricostruzione storica senza fare riferimento alle fonti. Se questo punto sembra ormai acquisito da tempo,  tanto che la figura dello storico moderno presenta caratteristiche profondamente diverse rispetto agli storici dell'antichità è altrettanto vero che vi sono state e vi sono "scuole di pensiero" differenti su cosa siano le fonti storiche. La discussione su cosa siano le fonti storiche è una discussione che è nata nell'Ottocento in pieno clima positivistico ma possiamo dire che i primi approcci finalizzati alla classificazione dei fatti e degli eventi sono da fare risalire al periodo illuminista quando incominciarono i primi lavori di sistemazione ordinata dello scibile umano compresa quindi la storia, intesa come narrazione degli eventi passati.

            In tutti i manuali viene riportata la distinzione tra fonti dirette o primarie e fonti indirette o secondarie; è possibile quindi schematicamente distinguere:

            Fonti scritte tra cui rientrano:

            • le fonti letterarie quali ad esempio documenti istituzionali, opere letterarie e di qualunque altro campo del pensiero  umano;

            • le fonti epigrafiche che pur rientrando nell'ambito generale della scrittura, si caratterizzano per il fatto di essere incise sui più svariati supporti materiali.

            Fonti non scritte tra cui vanno annoverate:

            • le fonti iconografiche quali ad esempio dipinti, disegni, immagini incisi etc.

            • le fonti monumentali;

            • le fonti orali che comprendono tutte le testimonianze chi ha vissuto direttamente un fatto o un evento.


             

            La distinzione su riportata ha uno scopo pratico, utile sul piano espositivo ma apre delle discussioni su cosa sia una fonte. Una discussione che è ancora in atto e che è iniziata alla fine dell'Ottocento quando lo storico Johann Gustav Droysen, sul piano dottrinario, sentì l'esigenza di dare alla storia una dignità scientifica stabilendo compiti e competenze dello storico. Droysen era ben conscio del fatto che la storia abbracciasse tutta una serie di problematiche che originariamente non avevano a che fare con la storiografia vera e propria. Innanzitutto Droysen sentì l'esigenza di trovare un metodo storico che fosse del tutto autonomo rispetto all'alternativa tra la concezione speculativa e quella materialistica, un'alternativa falsa e che riteneva astratta e di natura essenzialmente spirituale mentre lo storico si sarebbe dovuto muovere nel campo della realtà empirica. Questa esigenza - secondo il Droysen- non doveva essere solo dello storico ma di chiunque operasse nel campo della ricerca e che avesse avuto a che fare con il mondo empirico. Proprio da questa consapevolezza era necessario partire per non perdere il senso per le realtà e per senso per le realtà Droysen riteneva con Wilheelm von Humboldt che si dovesse pervenire alle verità. Sotto questo punto di vista - sosteneva lo storico tedesco - la storia è scienza perché ogni scienza che possa essere definita tale vuole raggiungere la verità.

            La storia è una disciplina che si deve occupare di realtà empiriche e per questo è una scienza empirica che deve essere autonoma e che non può avere alcuna commistione con la filosofia e la teologia che operano in altri ambiti e che hanno altre finalità. Oggetto della storia è tuttavia tutto il contenuto di un popolo (Droysen si riferiva al popolo tedesco e nello specifico prussiano) per ciò che concerne il passato, passato che però esercita la sua influenza nel presente che è il risultato di ciò che rimane del passato.  Nella distinzione che Droysen ci ha fornito, possiamo riassumere schematicamente tra  fonti vere e proprie e i cosiddetti "avanzi". La distinzione operata dallo storico prussiano si fonda sulle intenzioni, per Droysen possiamo distinguere fonti intenzionali mediate da fonti immediate ossia scevre da qualsiasi interesse di tipo testimoniale. Il primo passo per una corretta conoscenza storica, è tenere presente che la storia ha a che fare con dei materiali, materiali che possono essere utilizzati ed afferrati in vista di una corretta ricostruzione. Bisogna quindi partire dal materiale che si trova nel presente e andare a ritroso nel passato. A tal proposito Droysen afferma: " Si potrebbe dire che l'essenza della ricerca consiste nel ravvivare i tratti sbiaditi, le tracce latenti nel punto del presente che essa coglie, nel proiettare il lume di una lanterna a ritroso nella notte dell'oblìo" 1.

            Ogni punto della realtà è storia, ogni persona è il risultato di un processo storico, il passato è tale nel momento in cui viene interiorizzato riverberandosi nel presente. La comprensione e la forza di un uomo risiedono nella comprensione del passato, soltanto attraverso la conoscenza del passato l'uomo - sostiene convintamente Droysen – non sarebbe spirito.

            La storia senza la coscienza del proprio passato, è una storia senza memoria e senza speranza. Droysen poi dice chiaramente che laddove c'è l'impronta della mano umana, c'è storia: è storia l'architettura, la scultura, l'industria, lo Stato, la società, il linguaggio, la religione, la scienza ecc.; non c'è ambito dell'attività umana che non possa non definirsi storica. Ogni storia umana è prima di tutto storia e non esiste uomo se non come risultanza di ciò che “è stato vissuto dalla sua famiglia, dal suo popolo, dalla sua epoca, dalla sua umanità2


             

            Nel metodo storico prospettato da Droysen assume una grande rilevanza leanomalie in quanto la ricerca storica non è rivolta a rinvenire leggi universali ma varianti mutabili. Ciò che però caratterizza in maniera unica il metodo storico, la sua quintessenza è il Verstehen, ossia comprendere indagando, l'interpretazione. Nella storia le variabili producono risultati diversi e solo l'interpretazione delle variabili può portare alla comprensione dei fatti.

            Nel contempo Droysen argomenta in modo puntuale i limiti del metodo storico che non può comprendere il singolo senza considerare la totalità. Ma quali sono le condizioni che permettono di osservare ? Innanzitutto – sostiene Droysen – gli osservatori si devono trovare nelle medesime condizioni etiche ed intellettuali, solo allora possono comprendere ed interpretare i fatti. La disamina fatta da Droysen passa dall'universale al particolare con uno stile che oggi appare dispersivo, le frequenti disgressioni così evidenti, stridono con il nostro modo di comunicare ma è proprio questa caratteristica che ci mostra non solo lo storico ma l'uomo di cultura straordinaria, dalle conoscenze vaste e solide che con l'esemplificazione rende la sua argomentazione convicente e affascinante.

            Non vi può essere attività dell'intrpretare i fatti storici se lo storico non sviluppa la capacità di comprendere tutte le forme in cui si manifesta la cultura umana, a questo proposito Droysen afferma:


             

            "Ogni uomo è in certa misura uno storico, ma colui che fa dello ἱσtορεῖν la sua professione, questi ha da compiere qualcosa che è umano in una misura e con un'ampiezza particolari perchè in lui deve compiersi lo γνῶθι σεαυτον del genere umano (almeno nella forma dello ναγιγνώσκεισν, dacchè deve comprendere, leggere l'essente come un divenuto, quasi conoscerlo risalendo all'indietro e fin sino alla sua origine)"3

            Al di là del contenuto del metodo indicato da Droysen, ciò che assume una rilevante importanza è il fatto che lo studioso tedesco ha posto le basi della moderna metodologia storica intuendo che l'individuazione delle fonti deve essere un processo continuo che investe tutto l'agire umano, tutto il materiale prodotto umano, l'unico che permette di conoscere ed interpretare il passato.

            1Johann Gustav Droysen, Istorica: lezioni di enciclopedia e metodologia della storia (1857) a cura di Silvia Caianello, 2003, Alfredo Guida Editore, Napoli, 2003, p.88.

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            Published by Caiomario - in Storia
            2 febbraio 2018 5 02 /02 /febbraio /2018 03:35

            "Il piacere", pubblicato nel 1989, è il primo romanzo scritto da Gabriele D'Annunzio. Ed è proprio con esso che in Italia inizia la diffusione del cultura decadente. "Il piacere" fu scritto tra l'estate e l'autunno del 1888 e nel 1889 venne pubblicato dall'editore Treves che diventerà  in seguito l'editore ufficiale di D'Annunzio.

            L'IDENTIFICAZIONE DI ARTE E VITA, L'ARTE PER L'ARTE

            Il protagonista assoluto del romanzo è Andrea Sperelli che rappresenta l'incarnazione più riuscita della  figura dell'esteta quale lo concepì d'Annunzio, ma il valore assoluto che muove ogni azione di Andrea Sperelli è l'arte, "l'arte per l'arte" che è soprattutto stile di vita al punto che non è possibile distinguerla dalla vita vissuta.
            In sintesi questo fu per tutta la sua esistenza il motivo dominante che mosse  la visione estetica di Gabriele D'Annunzio; cosa comporta per Andrea Sperelli/D'Annunzio questa sovrapposizione dei due piani (vita ed arte)?   L'identificazione di arte e vita costituì l'essenza più autentica del pensiero decadente del D'Annunzio che elaborò una visione estetica della vita in cui l'etica era subordinata all'estetica le cui uniche cose importanti erano la raffinatezza e la bellezza.
            L'estetizzazione di una vita immaginifica portò lo stesso D'Annunzio a sviluppare una sensibilità unica che lo rese disponibile ad affrontare sempre nuove esperienze che potrebbero essere sintetizzate in queste frasi contenute nel  Libro primo, capitolo II de "Il piacere":

            "Bisogna conservare ad ogni costo intiera la libertà, fin nell'ebbrezza. La regola dell'uomo d'intelletto, eccola: - Habere, non haberi".

            e ancora:

            "Bisogna fare la propria vita, come si fa un'opera d'arte. Bisogna che la vita d'un uomo d'intelletto sia opera di lui. La superiorità vera è tutta qui".

            La superiorità vera dell'uomo che si distingue dalla pletora degli individui comuni risiede quindi per D'Annunzio nell'esaltazione di quei valori aristocratici che nella raffinatezza e nella bellezza trovano la loro più autentica sublimazione.


            LA LETTURA DE "IL PIACERE" OGGI

            (L'inevitabile confronto) tra  l'esteta Andrea Sperelli e il travet del telefonino: per ragioni evidenti è auspicabile che il lettore odierno  legga "Il piacere" con la lente della sua contemporaneità e con la sensibilità della sua epoca; se così non facesse, la lettura di ogni racconto sarebbe semplicemente una sequenza di parole scritte che non hanno alcun aggancio con la realtà.
            Leggere un romanzo, vedere un'opera d'arte, affrontare la lettura di un saggio sono tutte attività che non devono mai fare perdere il contatto con la realtà. Il lettore dei primi di fine Ottocento avrebbe letto "Il piacere" identificandosi con Andrea Sperelli, ne avrebbe ammirato le gesta, condiviso i pensieri e soprattutto avrebbe cercato di imitarne lo stile di vita. Oggi gli esteti non esistono più, perché gli amanti del lusso spesso non sono ricchi, sono semplicemente arricchiti privi di classe; il lusso democratico è cosa ben diversa dall'amore dell'arte per l'arte, è cosa diversissima dal fare della propria vita un'opera d'arte.
            Chissà che cosa avrebbe pensato oggi Andrea Sperelli/D'Annunzio del tizio col telefonino avvezzo a far trillare la sua protesi nei luoghi più disparati, sicuramente lo avrebbe disprezzato e guardato con orrore e avrebbe pronunciato la seguente frase:

            "Sotto il grigio diluvio democratico odierno, che molte belle cose e rare sommerge miseramente, va anche a poco a poco scomparendo quella special classe di antica nobiltà italica, in cui era tenuta viva di generazione una certa tradizione familiare d'eletta cultura, d'eleganza e di arte".

            Non esiste godimento del lusso senza essersi nutriti profondamente dell'amore per l'arte - D'Annunzio dice che Sperelli è "impregnato di arte" e che ha "il culto passionato della bellezza"- ma è propria questa concezione estetica della vita portata alle sue estreme conseguenze che è anche la causa principale di un carattere contradditorio e di una condotta di vita corrotta.
            Eppure nonostante questa contraddizione che fa di Sperelli un protagonista negativo incline all'inettitudine, la sua figura è ricca di fascino e non lascia indifferente anche il lettore odierno ; è infatti nell'ultimo capitolo del romanzo che il lettore riesce a cogliere appieno la portata del fallimento del protagonista.
            Personalmente ritengo il capitolo finale la sezione più interessante dell'intero romanzo perché in quelle righe D'Annunzio esprime l'impossibilità di realizzare fino in fondo il progetto di vivere una vita da esteta.
            La sconfitta della bellezza è la sconfitta del protagonista coincidono, l'irruzione della volgarità delle masse diventa soffocante al punto che il disprezzo nei confronti della pletora degradata gli causa un senso di nausea fino a fargli provare un senso di soffocamento.
            In questo clima di profonda angoscia morale si avverte il senso di morte che avvolge casa Ferres che sembra essere diventata una sorta di tomba in cui tutto è fallito, dove gli stessi muri paiono esser stati profanati da "uomini impuri" dalle "fronti sudate".

            Eccessivo? È D'Annunzio che pur non disdegnava le popolane e gli odori profani, ma un conto è quello che l'Immaginifico fece nella sua vita con divine e (moltissime) servette, un conto è invece la teorizzazione del pensiero dell'esteta.

            PUZZE, SUDORE E URLI DEI CARRETTIERI, ALCUNE OSSERVAZIONI RIVOLTE ALLO SPIRITO DEL VATE

            Però, però caro Vate lo so che i piedi, le facce e i gomiti dell'uomo che lavora non sono certo il massimo dell'estetismo, anzi le "puzze" non attirano per niente, allontanano, ma tu che amavi la bellezza e il mondo classico sapevi bene che Achille piè veloce, lo scaltro Odisseo e il valoroso Ettorre (con due erre, è corretto) quando combattevano urlavano come dei carrettieri, sudavano e puzzavano.
            E i facchini che fumavano e cantavano mentre portavano via i mobili dalla casa di Sperelli erano uguali a tutti i facchini, uomini di fatica e operai di ogni epoca che lavorano e che sollevando pesi sudano e puzzano, ma che facciamo di costoro? Li eliminiamo perché emanano un odore sgradevole?

            So che non era tua intenzione fare de "Il piacere" un ode al profumo, ma quei facchini che scaricavano i mobili, erano meglio di Andrea Sperelli e di tutti quelli come lui che non hanno voglia di rimboccarsi le maniche ma vogliono fare lavorare gli altri. E poi permettimi di farti osservare che la puzza di sudore io l'ho sentita emanare anche da persone che stanno sedute e non fanno fatica...è questione di acqua e sapone, non di censo o condizione sociale.
            Hai scritto un capolavoro unico ma il tuo scritto eccellente è il trionfo dell'egoismo più sfrenato, del solipsismo più deleterio, della vacuità della vita e poi caro Gabriele consentimi di ricordarti  che -proprio a te che sostenevi l'idea dell'arte per l'arte-  Michelagnolo (Michelagnolo alla maniera dei fiorentini a lui coevi)  quando batteva il marmo sudava e puzzava, ma da quella fatica immane è uscito fuori il David e grondava di sudore anche Donatello con quell'altro David....
             

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            Published by Caiomario - in Libri Letteratura
            2 gennaio 2018 2 02 /01 /gennaio /2018 22:05

            Qualche chiarimento in merito, su come va intesa la denominazione "Nuova versione ufficiale". 

            Il Fondatore del Cristianesimo muore senza lasciare scritti, quando fu scritto il primo Vangelo? Probabilmente nel 70 d.C., 30 anni dopo la morte di Gesù.Passata la prima generazione, la comunità giudeo-cristiana  sentì l'esigenza lasciare qualcosa di scritto, da qui le differenze tra i vari Vangeli, Marco, ad esempio, rispetto a Luca, pur attingendo dalla stessa fonte, fa delle aggiunte.
            A titolo di esempio prendiamo in considerazione una preghiera comunissima come il "Padre Nostro":

            * Nel Pater Noster le petizioni di Matteo sono 7, in Luca 5, l'aggiunta quindi viene dopo, è importante sapere che il testo breve è quello più vicino all'originale, tra gli evangelisti, Matteo è quello che aggiunge.

            Vediamo le differenze tra le due versioni:

            - In Luca l'incipit del Pater Noster è : "Padre che sei nei cieli sia santificato il tuo nome venga il tuo regno..............".

            - In Matteo l'inizio del Pater Noster è invece il seguente: " Padre Nostro che sei nei cieli sia santificato il tuo nome venga il tuo Regno............".

            e ancora:

            Luca: "Dacci oggi il nostro pane quotidiano/ Rimetti a noi i nostri debiti/ come noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori/ Non ci indurre in tentazione........".

            Matteo: "Sia fatta la tua volontà/ come in cielo anche in terra/ Dacci oggi il nostro pane quotidiano/ Rimetti a noi i nostri debiti/ come noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori/ Non ci indurre in tentazione/ Liberaci dal male".

            Si tratta' solo un esempio di come le differenze tra i Vangeli sinottici non siano immediatamente rilevabili da chi si limita semplicemente alla lettura senza fare un raffronto dei  testi.
            Perché allora c'è l'esigenza di pubblicare una nuova versione dei Vangeli?
            I testi originali dei Vangeli non presentano la forma che siamo abituati a conoscere e il testo su cui le edizioni attuali partono è la "Vulgata" di San Girolamo scritta nel 380 d.C. quando ebbe l'incarico di fare una revisione della "Vetus latina" (la cosiddetta "Itala").
            Ma è solo con la scoperta dei manoscritti a partire dalla Rivoluzione francese che si afferma la critica testuale. Spesso, infatti, in molti codici vi erano molte varianti dovuti ad errori di trascrizione o correzioni volontarie.
            Gli errori di trascrizione consistono in un testo senza stacchi e interpunzione, mentre le correzioni volontarie sono quelle del copista per rendere il testo più chiaro per lui.
            L'obiettivo della critica testuale è quello di ricostruire il testo originale con fedeltà vale a dire come è uscito dalla penna dell'autore.
            Dal 1700 in poi venne preferito come criterio di scelta dei testi la cosiddetta "Lectio difficilior" ( tra un codice di difficile interpretazione e uno più chiaro è da preferire quello più difficile perché si suppone che il redattore abbia voluto semplificare un testo più complesso e quindi autentico).
            In base a questi presupposti due grandi studiosi: Mest Adams per i protestanti e Merk per i cattolici, hanno fatto un'opera di critica testuale.
            Pertanto la denominazione "Nuovissima versione ufficiale" non va intesa come versione riveduta e corretta dei sinottici, in quanto tale denominazione è praticamente invariata da circa 50 anni. Si tratta, infatti, della famosa "Bibbia del centenario" la cui edizione venne curata da Don Alberione per le Edizioni Paoline e riproposta nel 1984 con la denominazione "Nuovissima versione".

            Perché dunque l'esigenza di fare una nuova versione? Consideriamo lo stato attuale della ricerca: le posizioni più accreditate sono quelle dei critici tedeschi, i Vangeli constano di molte pericopi, cioè di sezioni che non sono frutto dell'autore. Il Vangelo di Marco, in particolare, consta di tante pericopi, di racconti di miracoli, di controversie con i giudei.
            Chi ha creato queste pericopi? Molti sono concordi nell'affermare che queste pericopi sono frutto dell'elaborazione delle prime comunità giudeo-cristiane.
            Quanto è accaduto in letteratura nel caso della questione omerica dove si ritiene che l'Iliade e l'Odissea siano il frutto dell'opera dello stesso popolo greco così nel Vangelo è la comunità che ha bisogno di mettere per iscritto: quando Marco scrive nel 70 d.C, Gesù è morto da 40 anni, può uno ricordare "de verbo" parola per parola quello che è stato detto?
            Probabilmente qualcosa è stato appuntato, ma quello che è nelle pericopi è già patrimonio della comunità quindi nessuno oggi pensa che siano "Ipsissimo Verba Domini (le stesse parole del Signore)", ma siano il frutto della elaborazione della comunità che sentiva la necessità di mettere per iscritto i fatti della storicità sotto una prospettiva di chiara impronta teologica.
            Quello che è accaduto prima dell'8 aprile del 30 si chiama il Gesù storico, ma il Gesù pre-pasquale che cosa ha fatto, che cosa ha  veramente detto? Tutto quello che viene dopo e che viene messo per iscritto è il Cristo della fede.
            Nei Vangeli non abbiamo, infatti, il Gesù storico ma il Cristo della fede, certamente qualcosa i suoi discepoli hanno appuntato ma oralmente, poi abbiamo uno scritto che ha un'importanza fondamentale perché è venuto prima degli altri.

            Il primo scritto dal punto di vista cronologico è una lettera di Paolo scritta nel 53 d.C.: la "Prima lettera ai Tessalocinesi". L'argomento è quindi molto più complesso di quanto comunemente si possa pensare non può essere esaminato in questo ambito, tuttavia gli esempi fatti possono essere utili a chi senta la necessità di approfondire questi argomenti anche dal punto di vista storico.

            Una delle edizioni più popolari è stata in ambito cattolico "La Nuovissima versione della Bibbia dai testi originali", vi è pertanto ancora la possibilità di aggiungere una "Nuova versione ufficiale"? E in cosa consistono le differenze rispetto al testo contenuto ne "La Bibbia di Gerusalemme"?
            Dal punto di vista della sostanzialità dello scritto non è presente alcuna "revisione", nè poteva essere diversamente rispetto all'impostazione teologica scaturita dopo il Concilio Vaticano II, mentre la novità consiste nel taglio del testo adatto per una rapida consultazione rispetto a quello del libro maggiore che contiene anche gli scritti dell'Antico Testamento.
            Questa edizione ad uso dei ragazzi  è una "estrazione" del testo maggiore, ma ha il pregio di avere un costo contenuto (viene venduta ad un prezzo inferiore ai 2,00 euro), è comunque inadeguata per chi voglia approfondire il testo scritto dal punto di vista esegetico.
            A casa ne abbiamo un paio di edizioni  che sono state utilizzate  in ambito scolastico, negli anni le varie edizioni della "Nuova versione ufficiale" hanno avuto diverse copertine, mentre il testo scritto è rimasto invariato.
            Merita senz'altro apprezzamento il fatto che prima di ogni ciclo di parabole si trovi un breve riassunto che ne spiega il contenuto.
            Chi vuole avere un testo più completo può acquistare la "BIBBIA nuovissima versione dai testi originali" pubblicata per le Edizioni Paoline, dove si trova il medesimo testo arricchito da numerose note che ne agevolano la lettura.
            Pregevole ed interessante è la parte introduttiva scritta  da Pietro Rossano già Vescovo ausiliare di Roma per la pastorale della cultura e Rettore Magnifico della Pontificia Università Lateranense.
            Chi vuole invece approfondire la parta esegetica può fare riferimento alla versione con traduzione interlineare a condizione che almeno si conosca il greco e il latino, personalmente credo che accontentarsi delle versioni già tradotte esponga i più deboli a qualsiasi accettazione di interpretazioni discutibili (da qualunque parte provengano).

            Nda
            Le considerazioni presenti in questo articolo sono il frutto dei miei studi affrontati in occasione della preparazione di un esame denominato "SS Sinottici Opera Giovannea Corpus Paulinum". In tale occasione ho esaminato tutte le versioni della Bibbia e dei Vangeli più comunemente utilizzate, comprese quelle non ortodosse.
            Gli argomenti affrontati, data la complessità del tema, non sono esauribili in questo spazio, ma possono dare ai lettori la possibilità di comprendere alcuni aspetti delle tematiche affrontate.
            È  comunque utile sapere che nessun testo biblico può essere "letto", ma necessita di opportuni approfondimenti  e che, comunque, le problematiche sollevate dagli studiosi di esegetica spesso ne aprono delle altre a cui in parte si è data una risposta, altre rimarranno, invece, nel campo delle ipotesi.

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            Published by Caiomario - in Teologia e scienze religiose
            1 giugno 2017 4 01 /06 /giugno /2017 16:30
            Ossi di seppia - Eugenio Montale

            Leggere Montale svincolandosi dai residui della cultura scolastica

            È  un peccato che i migliori talenti della nostra letteratura vengano affrontati durante il periodo scolastico e poi vengano dimenticati, in realtà a scuola si lambisce un autore e gli insegnanti  stretti dal programma che deve avanzare, salvo qualche rara eccezione,  non fanno nulla per suscitare un interesse che vada al di là di una preparazione da Bignami stile ultimi giorni prima dell'esame.
            Esiste una differenza tra il professore e l'insegnante, il primo professa senza preoccuparsi della didattica, il secondo insegna preoccupandosi che lo studente abbia compreso e siccome tutti ( salvo rare eccezioni) si autodefiniscono professori in realtà finiscono per non essere né l'uno né l'altro.....pochi e rari sono i maestri, Montale è da collocare tra i maestri immortali eppure non fu mai professore e l'invito prima di addentrarmi nella critica dell'opera, è di abbandonare qualsiasi residuo di cultura scolastica con tutto il suo ciarpame da programma ministeriale che non serve assolutamente a nulla e finisce per condizionare anche il giudizio su un approccio alla lettura del grande poeta genovese.
            Credo che siano pochi quelli  che da adulti rileggano Montale dopo il periodo scolastico, eppure la lettura delle  sue poesie può essere una  continua scoperta che provoca emozione soprattutto quando si riesce a vivere le emozioni del poeta come se fossero le proprie.



            Ossi di Seppia è un libro che per stile e carattere presenta una varietà di elementi, di manifestazioni e di influssi in cui si ritrovano diverse espressioni di orientamento poetico che fanno si che l'opera possa essere definita il libro del percorso, possiamo così individuare tre grandi correnti che influiscono sia sul piano stilistico che linguistico:

            1.  quella della poesia crepuscolare ed espressionista che caratterizzò buona parte del primo Novecento letterario e che fu una tendenza innovatrice e di rottura con la tradizione e la sensibilità contemporanea ed immediatamente precedente;
            2.  quella del simbolismo che ebbe i suoi maggiori rappresentanti in Mallarmè, Rimbaud, Verlaine e Baudelaire e in Italia Pascoli e D'Annunzio;
            3.  quella del ritorno a posizioni antecedenti all'avanguardismo letterario e al classicismo poetico.

            Questo percorso che porta anche ad un ritorno potrebbe apparire contradditorio (e in parte lo è) le ragioni delle apparenti contraddizioni "letterarie" stanno prima di tutto nell'impossibilità di trovare una coerenza nell'animo del poeta, poi anche nel fatto che quando venne pubblicata l'opera nel 1925 si stava assistendo ad un mutamento culturale e politico che ne influenzò il percorso stesso.


            LE EDIZIONI...IL TITOLO

            La prima edizione di Ossi di Seppia è del 1925 ed è un'edizione di grande valore, non solo perché è la prima ma anche perché non è quella definitiva, la possiamo definire un'opera provvisoria perché contiene le liriche scritte tra il 1921 e il 1924; nel 1928 venne pubblicata una seconda edizione che si differenzia dalla prima perché ha sei poesie in più e anche per il fatto che la struttura interna del libro viene modificata assumendo la veste che conosciamo nelle versioni odierne.
            Moltissimo si è detto sul titolo scelto per la raccolta, giova conoscerne le ragioni che possiamo desumere anche dalla biografia di Montale che è stata ricostruita dettagliatamente e che aiuta a comprenderne il percorso letterario; senza dubbio la frequentazione dei luoghi del ponente ligure influì in maniera determinante nella scelta delle tematiche presenti nell'opera ed influì anche, in parte sul titolo che tuttavia non appare del tutto originale perché l'immagine marina degli ossi di seppia, come è noto, richiama quella già utilizzata da D'Annunzio nell'Alcyone, ma questa apparente non originalità è voluta, il Montale delle estati di Monterosso si confronta a distanza con il D'Annunzio delle Madrigali d'estate.
            Sul significato del titolo si ripetono scolasticamente interpretazioni trite e ritrite e quella più comune fa riferimento all'osso di seppia che sbattuto sulla riva del mare si ritrova solitario e abbandonato lungo la battigia da qui il loro essere relitti, avanzi ma non tutti gli ossi di seppia arrivano sulla spiaggia, alcuni galleggiano nel mare dal quale si lasciano trasportare perchè il mare è il simbolo stesso della felicità: nell'osso di seppia che galleggia nel mare c'è tutto D'Annunzio con il suo simbolismo panico, nell'osso di seppia scagliato sulla spiaggia e abbandonato a se stesso c'è il simbolismo negativo di Montale che si caratterizza per la sua disarmonia con il mondo.
            Nessuna opera poetica potrà dirsi immune dall'influenza di D'Annunzio anche quando, come nel caso di Montale, vuole procedere simmetricamente in una direzione opposta, è come se ci trovassimo ad osservare il flusso che procede su due rette parallele ma in senso contrario, tutti i punti si toccano ma ognuno procede in direzione contraria all'altro.

            LA TEMATICA

            E così il percorso delineato in Ossi di Seppia è un percorso che ha due fasi:

            1.  la prima è quella dell'incoscienza, dell'adesione panica alla natura in cui il soggetto vive la sua inconsapevolezza come l'osso di seppia che si lascia trasportare dal mare, sottratto al controllo razionale della coscienza, vive una situazione provvisoria di felicità.
            2.  la seconda è quella del disincanto, caratterizzata da una chiara presa di coscienza della realtà così com'è, fuori da ogni illusione, è l'età della maturità come l'osso di seppia scagliato sulla terra che diventa il luogo emblematico di tutti i limiti della condizione umana impossibilitata a ritornare indietro nella condizione di felicità preesistente e che vive come un relitto in attesa della sua fine.


            Un commento di tutte le poesie richiederebbe uno spazio che, quì non sarebbe opportuno ma vale la pena ( cosa che può interessare tutti gli amanti della letteratura e in particolare della poesia) prendere a titolo esemplificativo due poesie, a parere mio emblematiche e rappresentative dell'intera opera.
            La prima è Corno inglese, la seconda è una lirica senza titolo, secondo me una delle più belle poesie del Novecento letterario:
            Corno inglese è una delle poesie giovanili di Montale che venne inserita in Ossi di seppia e che esprime il desiderio di un "accordo" con la natura, desiderio che rimane frustrato per l'impossibilità del cuore di accordarsi con il mondo naturale.

            Il vento che stasera suona attento
            -ricorda un forte scotere di lame-
            gli strumenti dei fitti alberi e spazza
            l'orizzonte di rame
            dove strisce di luce si protendono
            come aquiloni al cielo che rimbomba
            (nuvole in viaggio, chiari
            reami di lassù! D'alti Eldoradi
            malchiuse porte!)
            e il mare che scaglia a scaglia,
            livido, muta colore,
            lancia a terra una tromba
            di schiume intorte;
            il vento che nasce e muore
            nell'ora che lenta s'annera
            scordato strumento cuore.


            Ho riportato integralmente la poesia che fu scritta da un Montale giovanissimo e che risente fortemente del simbolismo di cui Verlaine fu maestro, il verso diventa musica come nell'espressione e il mare che scaglia a scaglia/muta colore , numerose sono le assonanze vento/attento e gli effetti ritmici il vento che nasce e muore nell'ora che lenta s'annera, ritroviamo il D'Annunzio di Alcyone con i suoi Madrigali d'estate ( che meritano un discorso a sè) , si vedano, ad esempio, questi versi della poesia L'onda che presentano una straordinaria musicalità ritmica:


            Sciacqua, sciaborda
            scroscia, schiocca, schianta
            romba, ride, canta
            accorda,discorda


            La sonorità e la musicalità dei versi assomigliano a una melodia che prende corpo dallo spartito per diffondersi nello spazio, il lettore stesso ne rimane così affascinato da voler leggere a voce alta i versi....
            È  interessante notare che il Montale giovane cerca una corrispondenza con il mondo naturale ma non la trova, al punto da scrivere il cuore è uno scordato strumento mentre D'Annunzio si annega nella natura che è divina (ne La Pioggia del Pineto, l'individuo si fonde con la natura fino a divenire una sola cosa); Montale abbandonerà questa ricerca delle corrisponde simboliche (negative) fra l'uomo e la natura per rintracciare le ragioni del disaccordo con la natura.
            Questo mutamento di rotta appare evidente nella seconda lirica che andiamo ad esaminare:


            Senza titolo
            Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
            l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco
            lo dichiari e risplenda come un croco
            perduto in mezzo a un polveroso prato
            Ah l'uomo che se ne va sicuro,
            agli altri ed a se stesso amico,
            e l'ombra sua non cura che la canicola
            stampa sopra uno scalcinato muro!
            Non domandarci la formula che mondi possa aprirti.
            sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
            Codesto solo oggi possiamo dirti,
            ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.


            ciò che non siamo, ciò che non vogliamo è una frase amara, che non lascia spazio al alcuna speranza, è la negazione del valore di ogni fede positiva, ogni possibile certezza è vana: noi non siamo quello che vogliamo ma non vogliamo essere neppure quello che siamo.
            Taluni ciitici hanno voluto vedere in questa frase una denuncia della situazione in cui si trovavano molti intellettuali durante gli anni in cui il fascismo andava affermandosi, non si può negare che questo influsso ci fu, ma sarebbe riduttivo fornire una chiave di lettura che voglia storicizzare le ragioni di questa espressione , depotenziando la grande portata esistenziale della poesia di Montale.
            La lirica inizia con una metonimia Non chiederci la parola, al posto di discorso Montale usa "parola" ma quello che anticipa il tono sconsolato dell'intero svolgimento è il non, a chi si rivolge la lirica? Al lettore e quel non chiederci rivela l'uso del noi al posto dell'io, un uso generazionale dell'epoca che prediligeva il pluralis maiestatis.
            Il poeta avverte il lettore dicendogli a chiare lettere non chiedermi niente non ho nessun messaggio positivo da darti, la meditazione è disperata, non abbiamo nessuna possibilità di esprimere noi stessi, siamo ciò che non siamo e che non volgiamo, non abbiamo nessuna possibilità di comunicare con gli altri perché c'è una muraglia che ci divide;


            Ah l'uomo che se ne va sicuro
            agli altri ed a se stesso l'amico,
            e l'ombra sua non cura che la canicola
            stampa sopra uno scalcinato muro


            ..che significa? Non abbiamo una facile risposta, Montale è criptico ma possiamo avanzare delle interpretazioni, una potrebbe essere questa:
            beato l'uomo che procede sicuro in pace con sè e con gli altri e non si preoccupa di niente, è una via da seguire, secondo Montale? Non sembrerebbe, piuttosto in questa frase c'è sia l'invidia nei confronti di coloro i quali procedono senza preoccuparsi ma anche il disprezzo e la pietà nei confronti di coloro i quali vivono senza interrogarsi di nulla.
            Farsi delle domande sulla propria ombra significa domandarsi sulla propria coscienza e sulla propria identità, quando questo non avviene, ciò appare come una condizione esistenziale che non ha alcuna giustificazione.
            Desolato appare il secondo avvertimento: non domandarmi lettore, formule magiche che possano spiegarti il mondo, io non ho queste formule magiche e guardati da coloro che dicono di averle, non esistono formule scientifiche, ricette, l'unica cosa che possiamo constatare nella nostra desolata solitudine è che ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
            Il lettore non deve avere nessuna legittima attesa perché è l'uomo (da qui la dimensione esistenziale) che è stretto dalle necessità, da un determinismo che lo schiaccia e nei confronti del quale, nulla può, qual'è dunque la strada indicata? (Il che appare una contraddizione viste le premesse)....non c'è una strada, c'è solo il comportamento del poeta che decide di resistere asceticamente al punto che nel 1926 in una nota lettera indirizzata ad Italo Svevo, Montale si definì in questo modo: "Sono un albero bruciato dallo scirocco anzi tempo" (1) una auto definizione dove prevale la disgregazione, il rinchiudersi in se stessi che è nel contempo resistenza a un male di vivere che solo in Leopardi raggiunse vette così alte: il rapporto contenente-contenuto è un esprimere attraverso la lirica il coraggio della tristezza ammettendo i propri limiti nel mondo che si contrappone alla natura servile e vigliacca della natura civilizzata.
            Ed è proprio la natura civilizzata che fa da paravento ai nostri limiti e che giustifica i nostri limiti, li nasconde fornendo l'alibi a chi cerca la bussola di un perchè che non esiste e che ognuno si sforza, illusoriamente di ricercare.
            Due motivi per leggere la raccolta:

            1. Il primo motivo è che con Montale assistiamo ad una rottura con il passato letterario così forte e potente che lui stesso si prefissò di torcere il collo all'eloquenza, con la lettura si apprende un linguaggio nuovo, stupendo che lo stesso Montale definì una controeloquenza (2) contrapposta alla vecchia lingua aulica.
            2. Il secondo motivo sta nel ritrovare le medesime sensazioni che possiamo provare dinanzi ad un quadro di Giorgio De Chirico o di un Carlo Carrà, ci si ritrova soli con se stessi dove lo spettacolo provoca quel naufragar m'è dolce in questo mare di leopardiana memoria.


            -----------------------------------------------------------------------------

            Note

            (1) Si tratta di due espressioni che lo stesso Montale formulò nel corso di una intervista del tutto immaginaria: E. Montale, Intenzioni. Intervista immaginaria, in Sulla poesia a cura di G.Zampa, Mondadori, Milano, 1976
            (2) Cfr. P.V. Mengaldo, Poeti italiani del Novecento, Mondadori, Milano,
            1978, pp 523-524.  Il libro della Mondadori contiene un saggio critico di P.V Mengaldo che ha curato numerose opere di grande pregio dando dei contributi scientifici molto importanti non solo nel campo della critica letteraria ma anche anche in quello della storia della letteratura.



             

             

             

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            Published by Caiomario - in Letteratura
            30 dicembre 2016 5 30 /12 /dicembre /2016 18:17
            Raffaele Corso Etnografo

             

            Spesso i protagonisti di un'epoca vengono dimenticati, questa sorte è toccata a Raffaele Corso uno dei più importanti studiosi di etnografia e di folklore che diede un forte impulso  allo studio delle tradizioni popolari e dell'etnografia. Le sue opere rimangono comunque una ricca miniera di informazioni che andrebbe riscoperta e valorizzata non solo nell'ambito ristretto degli studiosi delle discipline demologiche.

             

             

             

            Vi sono studiosi che hanno rappresentato nella storia delle idee degli importanti punti di riferimento e, per quanto riguarda le discipline etnografiche e folkloriche, una delle figure più rappresentative è stata senza dubbio quella di Raffaele Corso. Lo studioso calabrese è stato uno dei pionieri delle discipline demologiche in Italia ed ebbe rapporti culturali con i più importanti studiosi del suo tempo. Grazie alla sua formazione giuridica si prodigò, poi, in un'intensa attività di ricerca nel campo dei canti, dei proverbi e degli indovinelli continuando l'opera del suo maestro Giuseppe Pitrè e di Angelo De Gubernatis.  Il mondo accademico del periodo tra le due guerre ne riconobbe il valore intellettuale, ebbe infatti il prestigioso incarico di curare alcune voci dell'Enciclopedia Treccani ma dopo il periodo post bellico la sua figura ha subito una sorta di damnatio memoriae più per questioni di natura ideologica che per ragioni di carattere metodologico o disciplinare.

            Su questo indiscusso protagonista si segnala un'interessante monografia intitolata Raffaele Corso Etnografo scritta da Paolo Aramu , l'opera pubblicata in formato Kindle è distribuita da Amazon Media. Il saggio monografico ripercorre l'attività dello studioso calabrese tra le due guerre prendendo in considerazione una corposa produzione che si dispiega in un arco di tempo che copre circa un cinquantennio e che si è  contraddistinta per il carattere innovativo ed originale di molte ipotesi interpretative che hanno avuto implicazioni sul piano teorico nell'ambito delle discipline etno-antropologiche. 

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            Published by Caiomario - in Antropologia Culturale Folklore Etnografia

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