"Le Confessioni di un italiano" è un libro che, nonostante sia stato scritto tra il 1857 e il 1858 e che per questo possa apparire datato, mantiene ancora oggi tutto il suo valore emotivo perché permette di capire che, ben prima dell'Unità d'Italia si era formata una coscienza nazionale a livello collettivo e che questa aspirazione non era semplicemente una sorta di velletarismo patriottico fine a se stesso ma una volontà ferma che vedeva coinvolti interi settori della società civile dell'epoca.
Possiamo inquadrare l'opera entro il genere del "romanzo storico", ma mentre in questo tipo di narrazione venivano seguite le linee guida indicate dal Manzoni e si riproponevano ambientazioni di età lontane (Medioevo, Rinascimento) con Nievo abbiamo un romanzo storico che parlava dei fatti a lui contemporanei dove la figura femminile svolge un ruolo da protagonista come del resto accadrà per molte altre donne che vissero il periodo risorgimentale.
TRAMA
Il romanzo è l'autobiografia immaginaria di un patriota veneziano, Carlino Altini che, ormai ottuagenario, rievoca i momenti più salienti della sua vita immersa in un periodo denso di avvenimenti storici dopo aver vissuto gli ultimi momenti di un mondo feudale in sfacelo. Carlino rievoca le tappe salienti della sua esistenza mentre assiste ai fatti della Rivoluzione Francese, alle invasioni delle armate napoleoniche, ai moti carbonari e alla prima guerra d'indipendenza; è il periodo vissuto da Nievo che, quando concepì il romanzo, era poco più che trentenne.
Il romanzo ha inizio nel castello di Fratta dove il protagonista ha vissuto la sua infanzia mal tollerato dai parenti ricchi; il racconto inizia con una descrizione minuziosa dell'ambiente nel quale si svolgono le vicende narrate nei primi capitoli.
Con ironia Nievo rievoca quei tempi e i personaggi che animavano quell'ambiente, la narrazione è anche la descrizione del crollo di una grandezza materiale che rivela una decadenza ormai irreversibile e che dimostra tutta la sua inadeguatezza difronte ai nuovi impulsi e ideali che si andavano affermando in tutta Europa.
Il giovane Carlino vive in questo castello come nipote indesiderato perchè anni prima la mamma, dopo essersi invaghita di un gentiluomo veneziano che aveva sposato, era morta e, in seguito a questa improvvisa dipartita, il bambino venne allevato come un trovatello dalla zia.
L'unica consolazione per il piccolo Carlino è l'affetto che lo lega ad una sua cugina di nome Pisana.
Quello della Pisana è il personaggio che più affascina nel romanzo: ha un indole capricciosa, ribelle dove alterigia, volubilità e generosità si mischiano dando orgine a una figura fortemente passionale che si distingue dalla sorella maggiore che già da bambina appariva rassegnata e di indole mite.
In questo castello il giovane Carlino resterà sino a vent'anni quando le armate napoleoniche invaderanno la vecchia Repubblica e abbatteranno il castello di Fratta che sarà saccheggiato e distrutto.
Il giovane Carlino si rifuggerà a Venezia mentre sua cugina, la Pisana, sposerà, anche per fare dispetto a Carlino, un vecchio nobile veneziano.
E' questo il momento in cui la storia d'amore tra Carlino e la Pisana si mescola alle vicende della storia d'Italia: Carlino combatte nel 1799 per la Repubblica napoletana, dopo esser fuggito andrà prima a Genova, poi a Bologna e infine ritornerà a Venezia.
Ammalatosi gravemente, la Pisana lo curerà e vorrà per lui un'esistenza serena convincendolo a sposarsi con una giovane che nel frattempo si era innamorata di lui.
Una volta guarito Carlino che crede profondamente nei valori del Risorgimento, andrà a combattere sotto Guglielmo Pepe, catturato, dopo aver scampato per la seconda volta la morte, andrà esule a Londra.
Il momento più drammatico dell'opera può essere individuato nel momento in cui Carlino sarà costretto a rifugiarsi Londra, la Pisana lo seguirà e per mantenere il cugino, provato dalle sofferenze, farà i lavori più umili fino a chiedere l'elemosina, quando sfinita dagli stenti, morirà.
Carlino ritornerà a Venezia, presso la sua famiglia coltivando insieme ai valori risorgimentali il ricordo dell'unico grande amore della sua vita.
La figura della Pisana è sicuramente quella che più affascina perchè non è la classica figura idealizzata dell'eroina che da corpo ad una vita fantastica ma è una donna, una donna vera che vive con i suoi impulsi, le sue passioni, una donna che può apparire spregiudicata ma che rivela in realtà una grande generosità e un'umanità intensa.
Nievo ha affrontato il romanzo storico in modo completamente diverso rispetto a quella che era stata una tendenza delineatasi in tutta Europa con autori importantissimi come Water Scott ( Ivanhoe del 1820) Massimo D'Azeglio (Ettore Fieramosca del 1833), Alessandro Dumas ( I tre moschettieri del 1844 e Il conte di Montecristo del 1850); Nievo non rievoca con minuzia il passato, ma si cala in quel passato come protagonista che lo ha vissuto: ne esce fuori un romanzo dove la memoria si fa affetto, emozione e i toni appaiono struggenti e poetici.
Anche come lettori moderni, non possiamo che esprimere un giudizio positivo su un romanzo che non appare mai datato proprio per la straordinaria emozione che riesce a comunicare.
Scritto da me espresso anche altrove e parzialmente modificato rispetto alla stesura iniziale.
Titolo Le confessioni di un italiano Autore Nievo Ippolito, Editore Giunti Demetra (collana Superacquarelli).
Giorgio Bassani è conosciuto soprattutto per "I giardini dei Finzi Contini" ma un'opera altrettanto intensa ma no meno pregevole è "L'odore del fieno", una raccolta di novelle pubblicata nel 1972 dove al centro di ogni racconto c'è la sua citta d'origine: Ferrara.
In tutte le opere di Bassani, Ferrara è il centro di ispirazione e l'ambientazione di molti dei suoi racconti è quella di una provincia che vive i suoi ritmi monotoni e blandi durante il periodo del fascismo.
Tutte le novelle hanno in comune il fatto che Bassani racconta l'ordinarietà mai banalizzando personaggi e situazioni ma sempre arricchendo la storia comune di forti implicazioni storiche: è il caso per esempio della novella "La necessità e il velo di Dio" esemplare per la sua semplicità e che quindi può essere presa a modello per capire lo spirito del libro.
La storia ha la sua ambientazione nella Ferrara degli anni della guerra e narra le vicende della ricca Egle che ha sempre rifiutato il matrimonio, fino a quando non è stata attratta da un giovane ebreo fuggiasco, dal volto selvaggio e dallo spirito ribelle.
Per inciso bisogna ricordare che a Ferrara vi era una comunità israelita molto numerosa che prima della guerra contava parecchi elementi ed era tra le più unite d'Italia, venne dispersa in seguito alle persecuzioni, oggi si è ricostituita come comunità nonostante le ferite che le furono inferte.
Egle quindi è un personaggio paradigmatico, probabilmente esistito come poteva esserci nella Ferrara di quegli anni: ricca, israelita, religiosa ma anche affascinata dalle immagini dei giovani che facevano parte dello squadrismo padano; cosa questa non assurda perchè ad esempio Margherita Sarfatti, ebrea e amante di Mussolini fu determinante nello sviluppo del fascismo almeno sul piano del culto dell'immagine del Duce.
Questa storia quindi non è semplicemente una fantasia letteraria ma poggia fatti realmente accaduti come quelli sul giovane ebreo fuggiasco che verrà inghiottito nei campi di sterminio ma ( e qui rientriamo nel racconto) facendo in tempo a lasciare ad Egle un figlio.
Alla donna è rimasto quindi un figlio che ha i tratti del padre: bello e selvaggio, tanto da apparire la personificazione della vita e che così Bassani descrive:
".....la personificazione stessa della vita che in eterno finisce e rincomincia."
Un bel libro che pur nell'amarezza riesce a infondere speranza tentando una meditazione sulla condizione umana che appare sempre eguale a se stessa..nonostante il passare delle generazioni.
Riccardo Bacchelli è stato un autore che si è distinto nella letteratura per un'attività quanto mai feconda e rivolta a molteplici interessi che hanno spaziato dalla narrativa alla poesia, dalla critica letteraria al teatro sino alla critica musicale.
Basterebbe questa affermazione per intuire che Bacchelli non fu solo l'autore de "Il Mulino del Po" e sarebbe senz'altro riduttivo ricordarlo solo per questo.
Certamente "Il Mulino del Po" è il libro più impegnativo della vasta opera letteraria di Bacchelli ma non è l'unico che merita attenzione e considerazione dal punto di vista letterario.
Molto abile nella redazione di romanzi storici non si può non menzionare "Il diavolo al Pontelungo", un romanzo uscito nel 1927 e che si colloca nel filone dei romanzi dell'Ottocento ispirati a fatti e accadimenti del Risorgimento, l'impianto del romanzo è quello classico: l'eroe che combatte per un ideale e ne è vittima, ma chi è questo eroe?
L'eroe è il ribelle anarchico, il nichilista una figura a tratti tragica e a tratti bizzarra che si muove sullo sfondo delle prime lotte sociali.
Tra tutti questi personaggi spicca il principe anarchico Bakunin ma troviamo anche figure di molti altri rivoluzionari come Andrea Costa o Abdon Negri del quale apprendiamo molte notizie dallo stesso Bacchelli che lo descrisse come il più deciso di tutti.
Esaurire una rassegna di tutte le opere di Bacchelli è cosa impossibile in questo spazio, tuttavia per i lettori che vogliano avvicinarsi alle opere del grande intellettuale bolognese una cosa deve essere tenuta a mente: Bacchelli fu una delle personalità più feconde e senza dubbio indirizzate a interessi moteplici grazie alla sua straordinaria preparazione storica e più ampiamente culturale , prova ne sono i numerosi saggi di critica musicale tra i quali spiccano: "La congiura di Don Giulio d'Este" e "Rossini e i saggi musicali", opere che no sono certamente minori ma semplicemente meno note.
Probabilmente il grande successo cinematografico e poi televisivo de Il Mulino del Po, ha contribuito a mettere in secondo piano le altre opere di Riccardo Bacchelli che è un autore ancora oggi tutto da scoprire, un autore che ha certamente un posto di rilievo tra gl scrittori del Novecento Italiano.
Segnalo oltre all'opera "maggiore" e più nota, due opere di pregio:
Sono due opere che permettono di vedere come Riccardo Bacchelli riuscisse con disinvoltura a raccontare accadimenti diversi, ambientandoli in periodi storici distanti tra loro ma che hanno un comun denominatore: ogni opera è preparata con cura, i riferimenti ai fatti storici sono sempre precisi e il romanzo non è solo un'opera letteraria ma l'occasione per conoscere fatti e circostanze che spesso la grande Storia ignora o non ritiene importanti.
Scritto pubblicato parzialmente anche altrove
Beppe Fenoglio è stato uno dei molti italiani che, all'indomani dell'8 settembre 1943, dopo un iniziale sbandamento, decisero di fare delle scelte irreversibili che in molti casi furono drammatiche e avrebbero segnato tutta la loro vita.
Molti giovani di quel drammatico periodo decisero, nel bene e nel male, di arruolarsi nella RSI, Fenoglio, invece, decise di diventare partigiano e lo fu sui colli del suo paese, nei luoghi che conosceva a menadito: le Langhe, tra il Tanaro e gli Appennini.
Alla fine del secondo conflitto mondiale incominciò a frequentare quel gruppo di intellettuali che si raccoglievano intorno alla Casa editrice Einaudi e che hanno costituito l'avanguardia letteraria che si è maggiormente contraddistinta nel periodo del dopoguerra.
Quando venne pubblicata questa serie di racconti nel 1952, erano passati solo 7 anni dalla fine della guerra e i ricordi erano vivissimi nelle menti dei protagonisiti tanto da apparire quasi delle cronache scritte il giorno dopo.
Ne "I ventitrè giorni della città di Alba" Fenoglio narra un celebre avvenimento della lotta di liberazione: la conquista da parte dei partigiani delle Langhe piemontesi; durante quel breve periodo i partigiani si insediarono nel governo della città per ventitrè giorni sino a quando le milizie fasciste non riconquistarono la città costringendoli a darsi nuovamente alla macchia sulle colline intorno ad Alba.
Fenoglio partecipò a quell'impresa e ciò ha una grande imprtanza per capire lo spirito del libro dove il racconto procede tra l'ironico e l'amaro e dove sorprendentemente l'autore non usa un tono celebrativo per raccontare l'impresa che a distanza di pochi anni gli appare nelle sue giuste dimensioni.
Quando Fenoglio afferma:
"Alba la presero in duemila e la persero in duecento"
mostra tutta l'amareza di chi si rende conto di come nel bene l'adesione sia sempre massiccia e come nelle situazioni avverse, il consenso cali con gli opportunisti che cercano strade e approdi più sicuri: succedeva anche dalla "parte sbagliata".
Il racconto è drammatico, storicamente ineccepibile: una guerra dove le armi erano poche e i rischi tanti ( almeno all'inizio); Fenoglio riesce a descrivere con grande intensità ed efficacia tutta la vicenda degli ultimi partigiani che si ritirarono da Alba, arretrando casa dopo casa, infangati, demoralizzati e privi di qualsiasi punto di riferimento.
Quei partigiani non avevano addestramento, nè preparazione ma con la forza della disperazione e dell'incoscienza spesso affrontavano quegli altri italiani che quanto a coraggio e a ferocia non erano da meno: se la diedero di santa ragione e da entrambe le parti, i morti furono parecchi, fu una guerra civile cruenta e senza esclusione di colpi. Molti innocenti pagarono con la vita solo per il fatto di essersi trovati nel posto sbagliato nel momento sbagliato. E' bene sempre non dimenticarlo.
In conclusione possiamo dire che "Una questione privata. I ventitrè giorni della città di Alba"sono due romanzi che meritano di essere letti non solo perché storicamente ci forniscono la testimonianza di uno dei protagonisti di un'epoca contrastata come fu quella della Resistenza, ma anche perché la loro lettura è l'occasione per conoscere la guerra partigiana senza la retorica da ricorrenza istituzionale che da sempre falsa ogni avvenimento.
Scritto già pubblicato altrove, ampliato rispetto all'originale.
Merita senz'altro un giudizio positivo questo esilarante libro scritto da Nick Hornby, si tratta del classico libro che una volta che si è letta la prima pagina, induce a tuffarsi immediatamente nella lettura delle pagine successive per capire come la storia andrà a finire.
Il titolo "Un ragazzo" potrebbe essere fuorviante dal momento che non si riesce a comprendere chi sia il ragazzo: l'ultra-trentacinquenne Will Freeman o il dodicenne Marcus, solo ad un certo punto del libro si comprende che i veri protagonisti del libro saranno due ragazzi: lo stesso Will e la madre di Marcus, una giovane ex ribelle sessantottina che vive da hippy.
Will è uno scapolo che appare molto superficiale, che vive campando delle royalties che gli derivano da una canzone scritta dal padre e intitolata "Quando passa la super slitta di Babbo Natale"; Hornby non cade mai nel moralismo però traspare (almeno nella prima parte del libro) tutto il suo giudizio negativo nei confronti di un personaggio incapace di assumersi qualsiasi responsabilità. Marcus, invece, è la figura di un preadolescente molto comune ai nostri giorni: è cresciuto con una madre separata e dimostra tutta la sua incapacità di vivere la propria età per via di un carattere stralunato che gli impedisce di capire la realtà e di relazionarsi con i suoi coetanei.
Insomma entrambi per diversi motivi sono incapaci di avere delle relazioni consone alla loro età al punto che la distanza di età tra i due si annulla quando si incontrano.
La parte narrativa che descrive l'incontro è una vera e propria trovata di humor e di comicità che si basa sul classico schema degli equivoci: il nullafacente Will ha la buona idea di farsi passare per un ragazzo-padre con l'obiettivo di entrare a fare parte di un'associazione costituita da ragazze-madri che rappresentano per lui delle possibili "prede" facili e disponibili. Questa è almeno la sua rappresentazione di questo tipo di donne viste come donne disponibili e senza troppe pretese. E' proprio in occasione delle frequentazione di questa associazione che Will conosce Fiona la madre ex sessantottina di Marcus. Dal loro incontro nascerà una storia d'amore che aiuterà entrambi a trovare delle motivazioni vere e a tentare di costruire una vita in comune.
Il merito di Hornby è di aver posto in modo divertente una storia meno banale di quanto possa sembrare e lo fa scrivendo con uno stile lieve, piacevole per il lettore che riesce ad apprezzare anche la capacità di saper porre diverse situazioni con una comicità che non scade mai nella volgarità.
Bel libro d'evasione, da leggere rilassati!
Il rischio di parlare e di scrivere sul malaffare italiano corre sul filo del rasoio dell'indifferenza specialmente quando ci si abitua a tutto, è come la morte in guerra,alla fine a forza di vedere massacri, i morti ammazzati sono solo un conteggio statistico.
L'assuefazione è l'arma più potente che il potere, qualsiasi potere, utilizza senza sparare un solo colpo, una trappola insidiosa che ammorba le coscienze e le getta nello sconforto, la normalità dei nostri tempi è così sconfortante che l'impotenza è la situazione in cui anche i più intraprendenti si trovano, loro malgrado, a sperimentare.
Tutto questo vivere in mezzo al lezzo non tocca il singolo fino a che ciascuno non sperimenta su se stesso questo stato di cose ed è solo allora che per breve tempo l'ipnotizzato acquista un pò di lucidità ma solo un po', l'ammorbamento dopo riacquista forza e la narcosi di ognuno diventa una vera e propria narcosi collettiva.
Ero bambino quando ho sentito parlare per la prima volta di scandali, parole come Lockheed o Antilope Cobbler, non mi dicevano niente, poi quando un minimo di consapevolezza l'acquistai, capii che questi due nomi erano legati ad un'altra parola a cui ci siamo abituati: corruzione.
Sarebbe però un errore pensare che solo il Palazzo sia coinvolto in questa maxi rapina, il Palazzo è l'espressione di una società che è fatta anche da finanza,imprese, burocrazia, in parole più semplici, la nostra cultura (?) è quella del malloppo, la malloppite elevata a sistema dove gli sfruttati sono sfruttatori di altri sfruttati.
Il malloppo (minuscolo) scritto da Giampaolo Pansa è un bestiario in cui
Probabilmente in futuro con la legge sulle intercettazioni telefoniche, il giornalismo d'inchiesta subirà una battuta d'arresto e non solo articoli ma anche libri come questo saranno solo un ricordo che contribuirà a rafforzare la narcosi collettiva, non sapendo avremo più tempo per essere come Gianni e il suo profumo dell'ottimismo, un perfetto coglione ne che le beve tutte e che è contento di non sapere perchè dopo una giornata di lavoro uno non vuole sentire cose pesanti, magari questo coglione quando andrà in banca scoprirà che i suoi soldi si sono volatilizzati perchè sono stati investiti in titoli spazzatura come quelli della vecchia Parmalat...'''il Malpaese malloppiero''' ringrazia!
E' lo stesso Pansa a spiegarci il motivo di questo titolo:
Perchè il malloppo?Sulle prime, volevo intitolare questo libro La Tangente e, se avessi fatto così, non avrei dovuto spiegare nulla. La tangente è ormai il cancro abituale della nostra società politica, un male che non viene più curato tanto appare inguaribile.L'affarismo partitico, del resto, non indigna più nessuno,anzi, è nobilitato come l'unico fine pratico dell'attività pubblica,un motore che, quando gira, fa girare tutto. E' così mi son detto:sì, sbattiamo la tangente in copertina, il lettore capirà subito da che parte tirino molte pagine di questo racconto.
Poi, via via che costruivo il libro, mi sono accorto che alla malattia del tangentismo se n'era affiancata un'altra, assai più diffusa e devastante: la malloppite, la voglia sfrenata di malloppo. Che cosa sia il malloppo non è facile
a dirsi in due parole. E' il bottino. E' la refurtiva. E' il risultato dell'arraffa-arraffa. (1)
Purtroppo questa storiaccia la viviamo da decenni e si è trasformata in un dramma che gronda di sangue, di stragi e di misteri volutamente lasciati tali, è la cultura del malloppo che permette a camorra, 'ndragheta e mafia di perpetuarsi,
E in questo assalto alla diligenza ci sono dei responsabili (che hanno nome e cognome): i rappresentanti di una politica che è affaccendata in tutt'altre faccende:garantirsi il malloppo.
Pansa è consapevole del fatto che ogni volta che si toccano certi argomenti, i malloppieri o presunti tali lanciano degli strali e delle invettive accusando chi denuncia le loro malefatte di moralismo e di qualunquismo.
* il qualunquismo è l'atteggiamento di chi è indifferente ad ogni questione o azione politica, in quanto ha la convinzione che essa sia estranea ai suoi interessi personali.
* il moralismo è l'atteggiamento di colui giudica le azioni degli altri con eccessiva severità e rigidezza.
Anche in questo caso l'accusa è impropria perchè l'unico attteggiamento che conta è il rispetto verso l'Italia che crede ancora nella moralità del lavoro, che non incassa tangenti, che non lucra fondi neri, che non si fa ossessionare dal soldo che tira il carro anche per i malloppisti, l'Italia dei Cipputi in tuta, dei manager e non degli smanager, dei banchieri non bancarottieri, dei finanzieri onesti, dei politici per bene e degli sceriffi rientrati nel Far West. (2)Non avevo mai pensato a Roberto Calvi partendo dalle scarpe, scarpe nere d'altissima classe, eppure il ritratto che ne fa Pansa permette di comprendere meglio un personaggio che la maggior parte delle persone ricorda soprattutto per il macabro falso suicidio inscenato con un'impiccaggione sotto il ponte dei Frati Neri a Londra.
Dalla descrizione che ne fa Pansa, Calvi indossava delle scarpe nere, fatte a mano, supremamente lucide e perennemente osservate, in un incontro (inaspettato) avvenuto presso il suo ufficio, ne esce fuori un quadro quasi surreale: un Calvi sospettoso che non vuole registratori, ne blocchetti per prendere appunti che riceve Pansa e mentre parla osserva continuamente la punta di queste scarpe nere e lucidissime, dalla pelle ben conciata e sagomata quasi che....Pansa delinea un ritratto di Calvi ben diverso da quello che ci viene rappresentato dalle cronache, è un personaggio solo, sospettoso di tutto e di tutti, arroccato nel suo ufficio, dieto una scrivania d'epoca che sembra un oggetto apotropaico, attento e misurato nelle parole e con un colore del viso grigiastro, tipico di chi lavora al chiuso e lascia l'ufficio la sera tardi (4)
Se si può in parte capire il personaggio da quello che dice a Pansa, questo lo si può vedere da quello che Roberto Calvi pensava a proposito di se stesso e del ruolo svoloto come banchiere, disse infatti, a tal proposito:Guardi che noi non siamo mica qui per niente. No, non siamo benefattori.Stiamo qui per lavorare, per far fruttare i soldi agli azionisti dell'Ambrosiano(5)
L'altro punto che mi ha particolarmente colpito è il Calvi-pensiero a proposito di coloro che producono e coloro che consumano, Calvi fa una divisione dell'Italia in due categorie, coloro che consumano meno di ciò che producono e coloro che invece, consumano di più, i parassiti(6), una divisione che potrebbe apparire bizzarra e che sembra derivare dal ruolo ricoperto da chi è abituato a fare fruttare i soldi ma non è una concezione affatto bizzarra bensì è tipica di coloro che negli affari si sentono investiti da una missione, quasi di stampo protestante nella sua accezione calvinista, un concetto generale che detta regole e norme di condotta individuale e che si può riassumere con una parola: vocazione, quella che Max Weber indicava con il termine Beruf (7).
Non sappiamo se Calvi fosse animato anche da fede, virtù, umiltà e temperanza ma una cosa è certa, Calvi nel suo ribadire la sua onestà, dicendo noi non siamo benefattori. Siamo soltanto professionisti d'una professione che tiene in piedi il mondo: far denaro in modo onesto. Onesto, le ripeto, onesto(8) dichiarava anche la sua vocazione, una vocazione verso interessi e gruppi che lo coinvolsero ben oltre le sue intenzioni.
Ventisei giorni dopo l'intervista con Pansa, il 20 maggio 1981 esplose lo scandalo della P2, nell'elenco dei piduisti oltre ai nomi noti di Silvio Berlusconi, Licio Gelli, Fabrizio Cicchitto, Maurizio Costanzo, Roberto Gervaso e altri meno noti, c'era anche quello di Calvi Roberto, tessera 1624, scritto dal 1 novembre 1977, quote versate
per il periodo dal 1977 al 1982, grado'3° ossia quello di maestro(9).
Lo scandalo del Banco Ambrosiano scoperchiò un cesso maleodorante nel quale avevano defecato tutti i malloppieri d'Italia, politicanti grossi e piccoli, sempre affamati di denaro, e dunque disposti a prendere le difese, in ogni momento e in ogni luogo, del povero banchiere perseguitato da una banda di magistrati irrsponsabili.(10)
Il vaso di Pandora dello scandalo del Banco Ambrosiano fece venire fuori il peggio di questa Italia che non riesce a risollevarsi: avvocati pilateschi, massoni attivi e in sonno,usurai, mafiosi, bancarottieri di professione, agenti segreto,Pansa descrive Calvi come un uomo arrogante e vittimista ed incapace di distinguere tra un amico e un ricattatore, una cosa è certa Calvi era depositario di segreti sconvolgenti , alcuni sono presenti nelle carte processuali, di altri non sapremo niente, se li è portati via Calvi, impiccato sotto il ponte dei Frati Neri il18 giugno 1982.
Viviamo in un incantesimo storico che sempre di più appare un'espressione geografica, cambiano i nomi dei protagonisti ma i loro cloni, come d'incanto, si materializzano con gli stessi tic, le stesse abitudini, le stesse frequentazioni e non si tratta di figli dei figli (di....) ma di emuli che usano le stesse armi e sotto i cui colpi cadono anche quelli che si credono i più scaltri.
E' di qualche anno fa lo scandalo Parmalat con i suoi migliaia di risparmiatori gabbati, sempre con lo stesso metodo negli anni '80 entra quello che sarà il protagonista assoluto del più grande sfascio al livello mondiale di cui stiamo pagando le conseguenze: il dottor Atipico, anzi, il dottor Atipico, della distinta famiglia dei Fondi Immobiliari.
Ecco che Pansa racconta di questi personaggi che assunto il ruolo del Gatto e la Volpe hanno gabbato il gonzo di turno: nel 1984 esplose quello che può essere definito il più straordinario marchingegno acchiappasoldi mai inventato quello a cui tutti i mallopieri guardano con ammirazione, il famigerato programma Europrogramme: 75 gonzi gabbati che nel migliore dei casi hanno perso la metà del loro capitale, interessi compresi, naturalmente!
Ma non finisce qui, dopo Bagnasco e Cultrera esce fuori un altro personaggio il cui ritratto Pansa pennella in poche righe, descrivendolo come un tipo massiccio e barbuto, anellone con rubino al dito, bocchino d'oro, diamante all'occhiello, di nome Luciano Sgarlata il suo campo degli Acchippacitrulli si chiamava Overseas Trade Center che aveva 800 emissari che rastrellarono con metodo la provincia italiana, dietro la promessa di tassi che andavano dal 25 al 27,50 %: le cronache riportano che 1800 miliardi di lire vennero sotterrati nel campo degli Acchiappacitrulli, non hanno rivisto più niente.
Sgarlata venne accusato di appropriazione indebita, falso in bilancio
(cancellato come reato), truffa e associazione a delinquere.
Di cricche l'Italia è sempre stata piena, compagni di merenda malloppieri che si sono spartiti la torta e di cui le cronache sono zeppe, ma c'è stato anche chi all'interno di questo sistema ha cercato di contrastare l'andazzo del malloppo partitico, come Giuseppe Azzaro che ebbe l'ardire, lui democristiano, di scrivere:
I malloppieri di ieri parlavano di costi della politica, quelli di oggi, sempre abbronzati e con belle figliole ( le figlie di quelle di ieri), parlano di casi isolati.
e di fatti accaduti a loro insaputa, quellli di ieri avevano una logica. comandavano e rubavano e più rubavano, più comandavano, quelli di oggi dicono che la colpa è della magistratura e che si tratta di persecuzioni giudiziarie, quelli di ieri erano la Banda Bassotti, quelli di oggi sono più raffinati e tra di loro non esiste neppure la figura del corruttore pentito.
Pansa fa riferimento anche alle scappatelle dei politici e degli industriali riferendosi a Michele Sindona rispettato, onorato, venerato fino a quando non si conoscerà il vero Sindona soprattutto in seguito al fallimento della sua banca; quando si arriva a questo fallimento è un trauma ma un trauma con qualcosa di più perchè Sindona è un personaggio unico nella storia del paese perchè mette insieme relazioni profonde, relazioni non qualsiasi con il mondo finanziario, con il mondo industriale, con il mondo politico e con la malavita organizzata - intendiamoci rapporti di politici o di uomini dell'economia con la mafia o con la malavita oppure con ambienti corrotti del loro stesso mondo o di mondi limitrofi se ne conoscono a decine, sono stati passati al setaccio, alcuni sono finiti sotto processo- ma un personaggio che racchiuda ad un tempo mafia, politica, affari, come è stato Sindona e che poi sia passato attraverso una vicenda giudiziaria complessa e comunque nel modo tragico in cui è finita, è un personaggio unico, ha una sua unicità difficilmente ripetibile.
La cosa che colpisce di questa vicenda e che fa si che il suo antagonista Ambrosoli passerà alla storia con un ruolo crescente,( secondo me è cresciuto molto ultimamente rispetto a quando fu ucciso ma è destinato a crescere fino a diventare uno dei più grandi eroi della storia d'Italia); Ambrosoli si mosse con determinazione contro questo mondo quando già era chiaro di cosa si trattasse, il povero Ambrosoli da solo prese la sua forza morale, le sue competenze e andò a combattere cone un San Giorgio contro il drago, trovare la morte in un qualcosa in cui si sa già dall'inizio che si rischia la vita è più grave che incontrare la morte per caso perchè ci si è imbattuti senza saperlo in qualcosa di mostruoso, in tutto questo sta la grandezza(nel male) di Sindona ma sta anche la maggiore grandezza di Ambrosoli.
CHI VUOLE UN AMARO?
Il perchè c'è e sfocia nel patologico di un costume a cui Marziale avrebbe così risposto:
Percidi,gaudes, percisus, Papyle ploras
A farti fare il culo tu ci godi,
Papylo, ma poi piangi. Ti lamenti
d'aver quel che hai voluto e pentimento
dell'oscena prurigine ti prende?
O invece non sei sazio e perciò piangi?
Depenalizzano, condonano, mettono il bavaglio, riabilitano i malloppieri, fanno il legittimo impedimento, .....come Papylo poi piangono..... ma di piacere.
(1) Giampaolo Pansa, il malloppo,Rizzoli, Milano, 1989, p.7
(2) Ibidem,p.8(3) Ibidem, p.9
(4) ibidem, p.11(5) Ibidem, p.11
(6) Ibidem, p.13(7)Max Weber, L'etica protestante e lo spirito del capitalismo, Sansoni Editore, Firenze, 1983, pag 138-163
(8) in op. cit. p.15(9) ibidem, p.15
(10) E' l'inizio dell'attacco alla magistratura e della difesa della P2, vedi Silvio Berlusconi che ospite della trasmissione televisiva "Iceber" dell'emittente privata Telelombardia del 6 marzo 2000, dichiarò: Io non ho mai fatto parte della P2. E comunque, stando alle sentenze dei tribunali della Repubblica, essere piduista non è titolo di demerito, sul fatto di aver negato di aver fatto parte della loggia massonica P2 si veda l'elenco reso pubblico dalla Relazione Anselmi, tale elenco è anche pubblicato in http://it.wikipedia.org /wiki/Lista_appartenenti_alla_P2, per quanto riguarda il fatto che non è un demerito l'avere appartenuto alla P2, ognuno faccia le sue considerazioni.(11) L'espressione in corsivo è di Pansa, notare che il libro è stato pubblicato nel 1989, e non nel 2009, a quanto pare taluni malloppieri sono recidivi.
(12) in op. cit. p.17(13) ibidem, p.39