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15 marzo 2014 6 15 /03 /marzo /2014 04:53

 

 

 

 

 

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LA FAMIJA POVERELLA

 

Quiete, creature mie, stateve quiete:

sì, fiji zitti, ché momò viè tata.

Oh Vergine der Pianto addolorata,

provedeteme voi che lo potete.

 

Nò viscere mie care nun piagnete:

nun me fate morì cusì accorata.

Lui quarche cosa l'averà abbuscata

e pijeremo er pane, e magnerete.

 

Si capissivo er bene che ve vojo!...

Che dichi Peppe? Nun vòi stà a lo scuro?

Fijo, com'ho da fà si nun c'è ojo?

 

E tu Lalla, che hai? Povera Lalla,

hai freddo? Ebbè, nun méttete lì ar muro:

viè in braccio a mamma tua che t'ariscalla.

 

 

 

 

 

 

 

 

COMMENTO DI CAIOMARIO

 

Dalla sterminata produzione di Giuseppe Gioacchino Belli (1791-1863) che conta oltre 2000 sonetti non è agevole scegliere quello più significativo, molti sono infatti i sonetti "memorabili" che meriterebbero di essere riportati in evidenza per la loro capacità di sintetizzare in pochi tratti una scena, uno stato d'animo, una credenza  dalle quali emerge una plebe romana misera e affamata ma nello stesso tempo vitale e a cui rimaneva, spesso, solo una religiosità vuota fatta di riti e parole o l'insulto quale unica via per manifestare la propria insofferenza.

 

La plebe della Roma del Belli è pronta con l'espressione becera a sfogare la propria frustrazione e la propria incapacità di reagire ad un mondo che sembra immobile e sempre uguale a se stesso.

 

Ne "La Famija Poverella" emerge una figura indimenticabile, quella di Lalla, la bimba affamata e infreddolita che la madre invita ad avvicianrsi per riscaldarla.

 

Desolazione, povertà, miseria......condizioni che non appartenevano solo alla Roma reazionaria e bigotta di Gregorio XVI, periodo in cui visse il Belli,  ma anche all' Italia odierna comprata con tante promesse e pochi denari. Oggi, come allora, grava una cappa di cinismo che si serve dell'inganno per comperare il consenso...

 

 

 

Nella foto in alto è immortalato il Monumento eretto in memoria di Giuseppe Gioacchino Belli, monumento che si trova a Roma nel rione di Trastevere (fonte: http://www.flickr.com/photos/9084427@N07/5832932142 dall'album di Yellow Cat).

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Published by Caiomario - in Letteratura
13 marzo 2014 4 13 /03 /marzo /2014 16:06

"Tre cose solamente mi so' 'n grado..........

ciò è la donna, la taverna, e 'l dado".

 

CECCO ANGIOLIERI

 

 

IL COMMENTO DI CAIOMARIO

 

Cecco amava la sensualità e la vita godereccia ed essendo un convinto odiatore di ogni miseria materiale era un profondo sostenitore della carnalità quale unico valore in questo mondo. Il suo agire era sempre in opposizione ad ogni forma di spiritualismo astratto e di ogni mortificazione del corpo, nessuno dopo di lui seppe meglio esprimere quell'animo popolareggiante che da sempre contraddistingue le genti toscane.

 

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Published by Caiomario - in Letteratura
13 marzo 2014 4 13 /03 /marzo /2014 15:11

 

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I buoni parenti

 

I buoni parenti, dica chi dir vuole,

a chi ne può aver, sono i fiorini:

quei son fratelli carnali e ver cugini,

e padre e madre, figlioli e figliole.

Quei son parenti, che nessun sen dole,

bei vestimenti, cavalli e ronzini:

per cui t'inchinan franceschi e latini,

baroni, cavalier, dottor di scuole.

Quei ti fanno star chiaro e pien d'ardire,

e venir fatti tutti i tuoi talenti,

che si pon far nel mondo, nè seguire.

Però non dica l'uomo: "I' ho parenti";

che, s'e' non ha denari, e' può ben dire:

"Io nacqui come fungo a' tuoni e venti!"

 

 

IL COMMENTO DI CAIOMARIO

 

I veri parenti per Cecco Angiolieri sono i fiorini (la moneta di Firenze nell'epoca il cui visse l'irriverente senese) ma a condizione che uno può averne. I fiorini cioè i soldi sono i veri parenti di cui non si ha mai motivo di lamentarsi, essi ti procurano comodità di ogni tipo; e davanti ad essi si inchinano tutti: francesi e latini, nobili, cavalieri e dottori. Insomma  vale il detto latino che "pecunia non olet" per nessuno.

I soldi -ribadisce Cecco- fanno in modo che tu possa conseguire qualsiasi obiettivo materiale....ovviamente in questo mondo.

 

Conclude Cecco con un'osservazione caustica e cinica: Però non si deve dire  -Io ho parenti- pensando di trovare in loro un appoggio se non si hanno soldi; chi infatti non ha soldi dovrebbe dire:

 

Io nacqui solo come un fungo esposto alle intemperie".

 

Ancora una volta Cecco Angiolieri si dimostra beffardo e cinico, con una malizia ed una perfidia rarissima ma....ammirabile!!

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Published by Caiomario - in Letteratura
13 marzo 2014 4 13 /03 /marzo /2014 13:39

 

 

 

 

LIALA APPARTIENE A PIENO TITOLO ALLA NARRATIVA ITALIANA

Poche sono le recensioni sui libri di Amalia Liana Negretti Cambiasi in arte Liala quasi che ci si vergognasse di parlare di un'autrice che non solo ha scritto tanto ma è stata anche letta tanto.
Probabilmente l'aver etichettato Liala come autrice delle donnicciuole o come scrittrice di romanzi rosa, ha fatto declinare velocemente gli entusiasmi legati diffusione dei suoi libri che oggi sono ancora quelli letti dalle adolescenti, è pur vero che sono cambiati i tempi, le donne e gli uomini, ma il meccanismo degli amori vissuti con il contrasto rimane con tutto il suo fascino.

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Ma Liala appartiene a pieno titolo alla narrativa italiana ed è la più fedele continuatrice della sensibilità dannunziana, senza D'Annunzio non ci sarebbe stata la Liala che conosciamo e pur senza toccare le vette auliche del Vate, aveva un senso dell'estetismo molto sviluppato e una capacità di sviluppare trame sempre coinvolgenti pur indulgendo in una sorta di pettegolezzo letterario che rende lievi e attraenti le sue storie.
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Liala non si studia nella storia della letteratura e il pregiudizio intellettualistico della nostra critica appare spocchioso spesso troppo indulgente verso autrori/autrici che sarebbero dei perfetti sconosciuti se le spinte editoriali non collocassero i loro libri in spazi che non gli appartengono, sovente mi capita di leggere di autori del tutto sconosciuti e di opere di scarso valore letterario, Liala non ha scritto capolavori ma ha composto dei buoni libri.

DONNA DELIZIA

"Donna Delizia" è un libro di Liala che fu pubblicato per la prima volta nel 1944, è quella un Italia completamente diversa da quella attuale, il mito della "femme fatale" era così forte che da un lato la donna doveva essere madre e moglie ma dall'altra parte l'universo maschile guardava oltre e nel suo immaginario c'erano le attricette e le ballerine della rivista o le dive dei telefoni bianchi, o madre o femmina non c'era una via di mezzo e il seno di Clara Calamai rappresentava quanto di più erotico allora si potesse concepire.
Donna Delizia è un romanzo teso fra questi due estremi da una parte una ragazza, la protagonista che è una ballerina/attricetta dell'avanspettacolo che vive da femmina, da amante.
Non c'è in Liala nessun indulgere verso scene volgari ma il suo descrittivismo ben mette in evidenza le caratteristiche del personaggio comprese quelle di un linguaggio dove predomina il "permette signorina?", ne esce fuori un amore fatto di corteggiamenti e di attese, di aspettative, di donne discrete ma è l'amore visto con l'occhio della donna che vede l'uomo e della donna che è anche madre.
In questo sta la genialità di Liala che sembra raccogliere diversi generi condensandoli, riuscendo a captare i bisogni della donna, di ogni donna che non sa rinunciare al suo desiderio di maternità.
Quella descritta da Liala è una donna molto meno subalterna di quanto si possa credere, alcuni hanno parlato del fascino perverso di Liala per la sua capacità di saper attrarre lettori attraverso il sentimento ma leggendo Donna Delizia si rimane colpiti dalla freschezza e dalla vivacità dei sentimenti della protagonista.


Una vivacità fatta di educazione e di rispetto e perciò di eleganza ma anche di silenzi di attese e di umorismo, quello che più colpisce è l'attualità di Liala e non me ne vogliano le lettrici se c'è una perfetta corrispondenza tra la protagonista del libro e quello che è sempre stata una delle occupazioni preferite nel prinato della donna, Alberto Asor Rosa aveva parlato del gusto di Liala per "la descrizione accurata e minuziosa del quotidiano rito della toeletta" ma questo gusto era anche una straordianria capacità di saper descrivere l'universo femminile con le sue ritualità per niente spiacevoli.


Probabilmente anche la maternità descritta da Liala rientra in questa capacità di saper scoprire l'intima necessità di una donna che attraversa diverse fasi e se nel 1944 essere attricetta di rivista o diventare una diva dei telefoni bianchi, era comunque quello che sognavano le ragazze dell'epoca, oggi tale aspirazione non è cambiata, salvo poi di desiderare ardentemente di tornare ad essere mamma.
E' solo un malinteso ruolo di essere donna e madre che può fare condannare tale aspirazione come un atteggiamento remissivo, Liala non aveva questa intenzione........i problemi di cuore rimangono, oltre Liala.

I critici letterari non hanno capito niente di LIala e anche le femministe di quarat'anni fa alla fine hanno avuto problemi di cuore come la protagonista di Donna Delizia...oh che delizie di donne!!!!

 

 Donna Delizia ...........Donna e Delizia............Delizia di Donna

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Published by Caiomario - in Letteratura
13 marzo 2014 4 13 /03 /marzo /2014 12:40

 

Lettere al fratello Carlo

 

 

 

 

A QUEI TEMPI SI COMUNICAVA E SI SCRIVEVA

Di Giacomo Leopardi ci sono pervenute 931 lettere, un corposo epistolario che permette di ricostruire i rapporti con tutta una serie di personaggi dell'epoca e con i suoi familiari: il severo conte Monaldo, reazionario e conservatore che con il figlio ebbe sempre un rapporto freddo e distaccato, l'amatissima sorella Paolina e il fratello Carlo con il quale si confidava e cercava complicità e amicizia.

Le lettere leopardiane rivolte ai destinatari-familiari oltre a permettere di ricostruire la personalità del poeta, costituiscono un esempio di comunicazione settecentesca dove è prevalente non l'aspetto ideologico volto all'autorappresentazione di se stessi ma quello dialogico, autentico e genuino e in cui non vi è nessuna mediazione.

CARLINO MIO CARO

Tra le lettere scritte da Leopardi, assumono una grande importanza quelle scritte al fratello Carlo che rappresentò spesso la valvola di sfogo di Giacomo, non uso ad avere rapporti profondi con altre persone che non fossero della propria strettissima cerchia familiare.
La prima lettera rivolta al fratello Carlo, fu quella inviata da Roma dove Giacomo si trovava da appena due giorni, dalla lettera emerge tutta la delusione per l'ambiente romano e tutte le difficoltà conseguenti al viaggio dove scrive di avere sofferto tutto il soffribile ma di avere anche goduto del mutare di queste sofferenze.
Queste difficoltà proseguirono una volta giunto a Roma e furono causate dalla mancanza di conoscenza della città e di questo Giacomo si lamentava perchè a causa di ciò era costretto sempre ad uscire accompagnato da un familiare.

IERI FUI DAL CANCELLIERI QUEL COGLIONE........

Un Leopardi che usa il termine co****ne, è insolito e sicuramente non si studia a scuola, eppure con questo epiteto apostrofa Francesco Cancellieri, ecclesiastico edd erudito romano, studioso di archeologia e di cose letterarie e con cui Leopardi ebbe dei rapporti che oggi definiremo professionali.
La sua insofferenza nei confronti di Cancellieri è antipatia, totale discordanza di vedute al punto che, oltre alla parolaccia per apostrofarlo, lo definisce come "il più noioso e disperante uomo della terra" al punto che si confiderà con Carlo scrivendogli che l'unica cosa che gli rimaneva da fare era dormire.

IL SIGNOR PADRE E LE CANAGLIE IESINE E FABRIANESI

Un'altra curiosità riguarda il modo di rivolgersi al padre che viene sempre chiamato Signor padre, è noto che l'uso del voi sia stato diffuso in molte aree d'Italia anche in tempi recentissimi, eppure in quel "Signor padre" ci sono tutti gli indizi di un rapporto freddo e distaccato in cui il formalismo era perfettamente conseguente ad una estraneità totale tra Giacomo e il severo Monaldo.
Riguardo alle canaglie iesine e fabrianesi di cui parla Giacomo, sarebbe interessante sapere se le canaglie erano individui con i quali era entrato casualmente e così sembrerebbe perchè parla di un soggiorno in Umbria a Spoleto e di tavola, alludendo a un pranzo oppure se pensava tale epiteto sia simile a quello che taluni utilizzano per apostrofare qualcuno che ritengono essere disprezzabile come ad esempio quando si mette in evidenza la regionalità o il luogo di provenienza come fattori di discriminazione a priori; insomma non sapremo mai se Giacomo sopportava gli iesini e i fabrianesi...

"LE DONNE ROMANE ALTE E BASSE FANNO PROPRIO STOMACO E GLI UOMINI FANNO RABBIA E MISERICORDIA"

***Curiosa anche questa frase che esprime un giudizio secco e negativo sull'umanità che c'era a Roma ma quello che ancora più colpisce è lo sfogo di Giacomo che dice testualmente:

"Ho bisogno d'amore, amore, amore, fuoco, entusiasmo, vita"

Una frase che se non nascondesse una drammaticità a tratti commovente farebbe pensare al "Voglio una donna" che il personaggio intepretato da Ingrassia in Amarcord, urlava da sopra un albero.
Eppure Giacomo amava le donne ma non ne era ricambiato e le ragioni, senza fare dello psicologismo spicciolo possono essere tra le più disparate, certamente Giacomo non si presentava bene.
Un aspetto questo che è stato approfondito laddove si è potuto ricostruire la storia degli amori desiderati e non corrisposti e degli amori letterari.
In un articolo apparso sul quotidiano Repubblica a firma di Corrado Ruggiero viene riportato il giudizio impietoso che Fanny Targioni Tozzetti diede di Leopardi confidandosi con Matilde Serao alla quale spiegava le ragioni del perchè non ci si poteva innamorare, questa è la terribile frase:
"Mia cara puzzava"...


Eppure Giacomo sin da ragazzino cercò l'amore e forse il fatto di non essere corrisposto, lo portò a trascurarsi in un periodo in cui diventò adulto, tra gli amori lettrari non si può non ricordare quello con Gertrude Cassi Lazzari, sua cugina carnale della quale si innamorò quando lei andò a Recanati ospite della famiglia Leopardi.
Bellissima l'elegia che le dedicò intitolata "Il primo amore" e inserita nei Canti, un Giacomo proteso all'amore, tutto perso e trepidante.
La differenza tra quanto espresso nelle lettere e gli amori lettari sta tutta qui, con Carlo si confida e si sfoga, nelle poesie idealizza.

Il libro si compone di 128 pagine e permette di scoprire il vero Leopardi, quello che non traspare dagli scritti, un Leopardi fragile, dubbioso, deluso e amareggiato, tutto questo non può cambiare la grandezza del poeta ma ce lo fa sentire più vicino a noi, perche come noi poteva in un momento di sfogo dire una parolaccia.


Cinque stelle meritate all'iniziativa editoriale della Osanna Venosa:

Giacomo Leopardi, Lettere al fratello Giacomo, Osanna Venosa, 1997

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Published by Caiomario - in Letteratura
10 marzo 2014 1 10 /03 /marzo /2014 08:37

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Fonte: http://www.flickr.com/photos/7477245@N05/9282568940

 

 

 

 

 

46 PAGINE DI APPASSIONATO TRIBUTO AD UNA DONNA EROTICA: NINFA



Non vi è traccia nella letteratura di opere esplicative in cui un regista spiega le sue scelte filmiche, per questo motivo "Elogio Della Donna Erotica. Racconto Pornografico" scritto da Tinto Brass non è un libro che può essere assimilato alle migliaia di titoli che ogni anno vengono pubblicati e che rientrano nella narrativa "ordinaria"; è un libro brevissimo, unico e speciale che dovrebbe essere perlomeno letto da tutti coloro i quali parlano dei film di Tinto Brass senza cognizione né causa.
Tinto Brass racconta una donna erotica (Ninfa) e lo fa a modo suo con una prosa ricca di sfaccettature e mai allusiva; il punto di partenza e di arrivo è sempre la donna e non importa che si chiami Ninfa come la protagonista del racconto, in quanto potrebbe avere il nome delle protagoniste delle sue pellicole, magnificamente interpretate da attrici come Stefania Sandrelli, Serena Grandi, Claudia Koll e Debora Caprioglio; come potrete notare faccio riferimento a quelle attici che hanno caratterizzato circa un decennio della produzione cinematografica di Brass, ma non a tutte, quei film del provocatorio periodo erotico brasseriano li ho visti tutti e nessuno mi ha lasciato perplesso, anzi mi hanno ispirato!

Le magnifiche protagoniste femminili di Brass sono state tutte subissate da feroci critiche che i detrattori del regista veneziano hanno rivolto loro identificando le scelte professionali di ognuna con quelle del credo erotico di Brass; critiche beghine che sembra tengano in considerazione solo il cinema impegnato quasi che il genere erotico in Italia non possa essere visto attraverso gli occhi di un uomo, ma neppure attraverso quelli della donna che sceglie e che vuole fare sesso: dato che i conti con il pubblico ogni pellicola li deve fare al di là del giudizio dei critici, credo che il regista Brass abbia fatto benissimo a spiegare che cosa sia la donna erotica semplicemente raccontandone una, una donna che non è un semplice burattino ma una persona viva che ha con l'eros un rapporto speciale. Il sesso delle donne di Brass è uno dei fattori di emancipazione e non un atto subito per volontà del maschio ed è questa la filosofia di vita di Ninfa, la quintessenza della donna erotica che nel breve racconto meriterebbe un fiume di complimenti da parte chi ha il coraggio di parlare di libertà femminile senza indicarne la strada.

NINFA E VALENTINA: PARALLELO

Ninfa mi ricorda molto la Valentina disegnata da Crepax, come Brass anche il grande fumettista milanese che pur non poteva essere accusato di maschilismo venne criticato da un certo femminismo militante per avere dato vita ad una donna che si serviva della sua disinvolta femminilità per raggiungere i suoi obiettivi, ma bisogna riconoscere che è proprio quella disinvoltura che ha reso Valentina femminile e libera; se poi il personaggio è diventato un cult come le donne di Brass, questo dipende dal fatto che nell'immaginario maschile Valentina è colei che prende l'iniziativa e non colei che subisce l'effetto struggente delle insidie del maschio.
Esiste un modo di vestirsi vincente? Ai detrattori non è venuto mai in mente che Brass nel suo racconto pornografico non faccia altro che riassumere le caratteristiche leggere e nel contempo raffinate che deve avere la donna erotica? Io credo di sì, non dobbiamo pensare che vi siano delle ricette meravigliose sulla castità perché dalla parte di molte donne non vi è sempre questa vocazione, al contrario una donna che ha mille interessi e idee può vedere nel suo erotismo un prezioso strumento per scegliere autonomamente il tipo di piacere che preferisce.

TINTORETTO E LA CRITICA MALEVOLA

L'equivoco di molti sta nel credere che lo "sporcaccione" Brass sia uso praticare il genere pornografico, niente di più sbagliato, se il regista veneziano avesse voluto ingaggiare una qualsiasi pornostar per i suoi film ne avrebbe trovato a migliaia , ma in nessuna sua pellicola troverete una ripresa ravvicinata del pene come non troverete un rapporto sessuale mostrato in modo esplicito sotto il profilo genitale, questa è invece la caratteristica più evidente della pornografia ed è la sua ragion d'essere che è sempre disumanizzante, ripetitiva e degradante, al contrario Brass mette sempre in evidenza l'aspetto euforistico dell'eros.
Allora perché alcune militanti del femminismo antipornografico che non ha più nulla da vendere accusano Brass di voler rappresentare la donna come un oggetto privo di qualsiasi volontà di discernimento? Mettere sullo stesso piano "La Chiave" con uno dei tanti filmini pornografici che ammorbano il web, è secondo me un errore perché nega alla seduzione femminile dignità e la vede solo come una colpa. 

Troppi hanno copiato Brass, ma nessuno è riuscito a raggiungere la sua arte, è l'unico ad aver scritto un libro intitolato "Elogio al culo", un tributo al lato B femminile che spiega le sue scelte registiche comprese le inquadrature che mettono in evidenza le grazie delle varie monelle alla paprika ( tanto per usare alcuni dei titoli di alcune sue celebri pellicole).


Il mondo cambia, i maschi sembrano soccombere e molte donne sono lasciate sole, non sarebbe il caso di riscoprire l'erotismo come un legante che sia in grado di riconoscere a entrambi i generi il proprio ruolo?
Sbaglio o sono proprio le donne a lamentarsi del fatto che i maschi stanno scomparendo? La risposta a queste domande la si può trovare nel disinibito comportamento di Ninfa i cui sensi fremono in assoluta libertà.



CONCLUSIONE

Lettura consigliata da abbinare ad "Elogio al culo" pubblicato sempre da Tullio Pironti editore, altre 32 pagine da leggere tutte d'un fiato!!


SCHEDA DEL LIBRO

* Titolo: Elogio della donna erotica. Racconto pornografico
* Autore: Brass Tinto
* Pagine : 46 p.
* Editore: Tullio Pironti 


LA SCUOLA VENEZIANA E IL PRIMATO DEI SEDERI FEMMINILI (riflessione critico-artistica di Caiomario)

"Cinquanta sfumature di grigio" scompaiono davanti al trionfo multicolore della pittura di Tintoretto che ha sviluppato forme espressive nuove avvalendosi di una tecnica dalle molteplici possibilità: la cinematografia in cui la figura della donna appare la protagonista assoluta anche se è spesso circondata da un larghissimo repertorio di oggetti che hanno un significato simbolico. Solo l'apertura in primo piano non è rappresentata in prospettiva, nelle sue scene assumono un ruolo fondamentale i glutei femminili spesso inquadrati in controluce oppure appena illuminati mentre il resto si perde in sottofondo.

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Published by Caiomario - in Letteratura
10 marzo 2014 1 10 /03 /marzo /2014 05:21

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SCIASCIA E LA SUA SICILIA 

Accostarsi a questo libro significa scoprire un altro Sciascia che non è quello dell'impegno civile e della denuncia, quello noto de "Il giorno della civetta" o di "Todo modo" ma quello che riesce a trasmettere sicilianità e cultura, in uno stile asciutto,godibile che non obbliga comunque il lettore a condividerlo. 
Sciascia è sempre stato in bilico tra romanzo e pamplhet e per molti versi nella prima fase della sua produzione letteraria ha riecheggiato i temi cari al neorealismo postbellico che si richiama a Calvino, eppure nonostante questo avvio letterario comune ad altri intellettuali italiani, lo scrittore siciliano è riuscito a spaziare in generi diversi il cui comun denominatore fu una sorta di moralismo polemico che non sempre ha giovato alla sua figura di intellettuale spesso accusato di eccessivo spirito critico, eppure quello che per molti fu un difetto, per altri fu un pregio soprattutto per il fatto che Sciascia non fu mai un intellettuale organico e spesso espresse una forma di dissenso solitario. 

IL FILO COMUNE 

Esiste un filo comune che lega Sciascia a Verga e Pirandello ed è la sua attenzione verso l'antropologia siciliana che costituisce una sorta di metafora non solo della sicilianità ma anche dell'italianità, in questa serie di racconti scritti tra il 1959 e il 1972 e pubblicati la prima volta nel 1973 e poi ripubblicati nel 1996 da Adelphi, ritroviamo il Sciascia delle diverse fasi ma anche la sua puntigliosità analitica che tutto osserva sotto la lente di ingrandimento comprese le contraddizioni di una realtà umana e sociale che è anche uno straordinario laboratorio di antropologia culturale. 

Ogni racconto è un quadro dove Sciascia tratteggia le virtù e i limiti di una cultura, quella siciliana, in cui addirittura sembrano venire alimentati alcuni luoghi comuni ma si tratta di un'interpretazione ingenerosa perche Sciascia rappresenta delle piccole realtà e racconta delle piccole strorie dall'interno di quella cultura conoscendone bene vizi e virtù. la cultura di una società fatta di amori, passioni, matrimoni e dicerie. 

Tra i tredici racconti segnalo "Il lungo viaggio" che è una metafora dell'eterno ritorno, un gruppo di emigranti paga per emigrare in America ma invece di andare in America si ritrovano in Sicilia, a quanto pare la storia si ripete, un gruppo di eritrei paga per andare in Occidente, poi si ritrova abbandonata nel deserto ed è costretta a ritornare in Eritrea. 

Senza dubbio la tipizzazione dei vizi siciliani può essere un indulgere verso una descrizione limitata di una realtà che non può essere tratteggiata solo evidenziando le negatività ma quella che può essere per alcuni intesa come negatività, per altri è una necessità per dare riconoscibilità ai personaggi e alle situazioni che comunque si verificano sempre all'interno di un'intensa umanità. 
Questo è il punto qualificante di questa serie di racconti, la notazione che non è mai superficiale ma è sempre uno spaccato, un simbolo di un mondo pieno di contraddizioni e storture. 
Sciascia lo fa a modo suo, con curiosità, forse ancora con un intento polemico, ma la lettura è godibilissima e va fatta in piena libertà con tutti i vantaggi che offre il racconto breve. 

Il consiglio è di leggere il libro come Michelangelo guardava un pezzo di marmo, lui vedeva all'interno del marmo una statua, gli altri solo un pezzo di marmo. 

SCHEDA DEL LIBRO 

Titolo: Il mare colore del vino 
Autore: Sciascia Leonardo 
Editore: Adelphi 
Data di pubblicazione: 1996 
Pagine: 148

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Published by Caiomario - in Letteratura
9 marzo 2014 7 09 /03 /marzo /2014 13:05

L'IMPORTANZA DELLE PAROLE, L'INUTILITA' DELLE PAROLE.......

Nelle mie scorribande presso gli spazi riservati ai libri, oggi mi sono dedicato alla più bella attività che un appassionato di libri possa svolgere, prendere un libro e sfogliarlo, sono stato attirato da un piccolo libro (nel senso di sottile) di Italo Calvino intitolato "Il castello dei destini incrociati" , dopo qualche ora avevo letto le 112 pagine del racconto, ho quasi divorato ogni pagina avendo una sensazione di soddisfazione per il fatto che non devo rendere il libro in bibilioteca ma lo posso riporre nella mia amata libreria, la prima fase è stata la lettura, la seconda che seguirà sarà quella della catalogazione delle frasi più importanti, metodo che uso per non dimenticare il contenuto di un libro.

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Prima di procedere con la recensione, anticipo il giudizio che solitamente si mette alla fine: un bellissimo racconto, una favola per adulti affascinante e altamente didattica, un'esperienza che arricchisce il lettore e lo porta su di un terreno inesplorato e ricco di implicazioni.
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Il racconto breve non inizia con il classico "c'era una volta.." ma l'incipit descrittivo è quello della migliore tradizione narrativa dei favolisiti.. "In mezzo" - scrive Calvino- "a un fitto bosco, un castello dava rifugio a quanti la notte aveva sorpreso in viaggio. cavalieri e dame, cortei reali e semplici viandanti".
Lo scenario è quello classico da bella addormentata nel bosco, un castello in mezzo al bosco che si apre in mezzo ad una radura, la voce narrante che racconta di questo castello e di quello che trova dentro, una moltitudine di persone che sembrano fare parte di una ricca corte, un tavolo imbandito e illuminato con dei ricchi candelieri.
Tutti i commensali appaiono ben vestiti e sono soprattutto belli, eppure la sensazione non è tra le migliori perchè quelò castello che in un primo momento appare come una corte, è in realtà una taverna come quella- dice Calvino che si vede presso i castelli "per dare da bere a soldati e cavalcanti".
Eppure quando tutti incominciano a mangiare la voce narrante rimane sorpreso da un fatto che lo colpisce particolarmente. nessuno dei commensali parla, si intendono con dei gesti, così per chiedere di passare il sale, ad esempio, un commensale si rivolge al vicino semplicmente facendo un cenno e cosa più incredibile neppure la voce narrante riesce a proferire parola, come in un incantesimo tutti coloro che hanno attraversato il bosco e sono arrivati nel castello, hanno perso l'uso della parola, sono diventati muti.

SE NON SI PARLA, COSA SI FA DOPO CENA?

La domanda può suonare equivoca come la risposta scontata ma la domanda può essere posta anche in questi termini: se manca l'uso della parola, la conversazione e la comunicazione diventano impossibili?
Ed effettivamente lo scenario che vien a crearsi è surreale, il mutismo amplifica i rumori come la masticazione e "gli schiocchi nel sorbire il vino", i commensali restano muti e si guardano nel viso a questo punto....

ESCONO I TAROCCHI.

Questo è il punto più interessante del libro perchè oltre alla parte scritta è presente a margine del libro una raffigurazione delle varie figure presenti nelle carte che aiutano il lettore guidandolo nel significato di ogni carta e incomincia così la STORIA DELL'INGANNO TRADITO con la figura del cavaliere misterioso che ha un incontro d'amore con una giovinetta nel bosco, la giovinetta è la dea Cibele che viene subito dopo abbandoanta dal giovane cavaliere.

Il racconto è avvincente perchè ogni volta che viene scoperta una carta inizia un nuovo episodio, una nuova storia come quella, per esempio, intitolata "La storia d'un ladro di sepolcri", storia che viene evocata dal quadrato di carte: Morte, Papa,Otto di denari, Due di Bastoni.

CALVINO ED ARIOSTO, IL MODERNO CHE INCONTRA L'ANTICO

E' questo il racconto più semiologico di Calvino, quello in cui la storia fantastica è ricca di segni e significati, la scrittura di Calvino come quella di Ariosto non è mai sprofondata nella realtà, i riferimenti diventano ramificati, complicati, le parole sono il mezzo per spingere lo sguardo oltre la prospettiva della parola scritta, del resto questa è una costante che troviamo in molti dei racconti di Calvino come ne "Le città invisibili" dove gli elementi naturali sono solo ciò che sono e la città stessa viene presentata come un luogo non affolllato di cose ma di segni.
Come la città, il gioco dei tarocchi tra commensali muti è un solo grande segno a cui sono legate delle sottosezioni semiologiche, ogni segno ha quindi una valenza simbolica che invita il lettore a capire e a comprendere per evitare quel conflitto dei interpretazioni di cui lo stesso Calvino non fu mai completamente indenne.


***I capitoli intitolati "Storia dell'Orlando pazzo per amore" e "Storia di Astolfo sulla luna" sono scritti ispirandosi a quell'altro grande semiologo ante litteram che fu Ludovio Ariosto che è stato il maestro dell'arte poetica in chiave combinatoria e giocosa.
L'Astolfo di Calvino va sulla luna ma è definito il "Cavaliere del Gratuito" perchè decide di andare sulla luna per cercare le ragioni del mondo gratuito e sulla luna chi incontra il poeta ( Ariosto? ) "intento ad interpolare nel suo ordito le rime delle ottave, le fila degli intrecci, le ragioni e le sragioni".

L'ars combinatoria delle parole crea storie ed è possibile quindi giocare con le parole facendo nascere un universo linguistico che non ha più contatto con la realtà, questo meccanismo presente in molti romanzi finisce col soppiantare la realtà mistificando persino i sentimenti.
Una posizione quella di Calvino che pur essendo vicino ai movimenti neoavangardistici, ci fa comprendere come il romanzo sia un prodotto artificiale che nasce in laboratorio e parla di questo non condannando questa scelta ma sposandola e invitando il lettore a "seguire solo il procedimento della scrittura, il testo nell'atto dello scriversi", il testo diventa metanarrativa, il lettore un interprete attivo pronto a cogliere le strutture del linguaggio per carpirne segni e significati.

Segnalo inoltre:

**** I. Calvino, Il romanzo come spettacolo, in Saggi 1945-1985, a cura di M. Barenghi, Mondadori, Milano, 1995

**** M.E. Cariani, La lettura di Ariosto e di Calvino: un 'esperienza didattica, "la ricerca" 15 dicembre 1984

I. Calvino, Il castello dei destini incrociati, Mondadori, Cles, 2010

ISBN 978-88-04-39027-05

Prezzo di copertina Euro 8,50

******Oggi letto, assimilato e recensito by caiomario

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Published by Caiomario - in Letteratura
16 febbraio 2014 7 16 /02 /febbraio /2014 05:11

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Ne "Il fu Mattia Pascal" viene raccontato un episodio  che rientra in quella sorta di umorismo tetro e senza sbocchi di cui Pirandello è stato maestro impareggiabile. L'episodo a cui facciamo riferimento è quello della:

 

BIBLIOTECA BOCCAMAZZA

 

 

Mattia è alla ricerca di una lavoro e dopo vari tentativi il suo amico Pomino glielo trova presso la Biblioteca Boccamazza, la biblioteca è stata lasciata da un vecchio prete, Monsignor Boccamazza ed è in decadenza.

Il vecchio bibliotecario non se ne prende cura e tra libri polverosi e topi enormi che girano indisturbati, Mattia cerca di dare ordine al locale ma..... il signor Romitelli, il vecchio bibliotecario non ne vuole proprio sapere di lasciare. Solo la morte del Romitelli permetterà a Mattia di svolgere nel pieno delle sue funzioni il suo nuovo lavoro di bibliotecario.

 

MATTIA, I LIBRI E IL MARE

 

Il rapporto di Mattia con i libri è all'inzio conflittuale ma la vera causa del suo disagio non sono i libri, ecco come racconta Pirandello questo particolare:

 

"La prima volta che mi avvenne di trovarmi con un libro tra le mani, tolto così a caso. senza saperlo da uno degli scaffali, provai un brivido d'orrore. Mi sarei dunque ridotto come il Romitelli, a sentir l'obbligo di leggere, io bibliotecario per tutti quelli che non venivano alla  biblioteca? E scaraventai il libro a terra. Ma poi lo ripresi; e - sissignori - mi misi a leggere anch'io, e anch'io con un occhio solo, perché quell'altro non voleva saperne.

Lessi così un po', disordinatamente; ma libri, in ispecie, di flosofia. Pesano tanto: eppure chi se ciba e se li mette in corpo, vive tra le nuvole. Mi sconcertavano peggio il cervello, già di per sé balzano.

Quando la testa mi fumava, chiudevo la biblioteca e mi recavo per un sentieruolo scosceso, a un lembo di spiaggia solitaria."

 

Alla vista  corroborante del mare, Mattia ritorna alla vita ma non si  libera dall' oppressione intollerabile che lo attanaglia, è un'oppressione dovuta al "mal di vivere" e ai mille perché esistenziali che lo gettano nella disperazione fino a quando il mare stesso sembrò dirgli:

 

"Vedi, caro, che si guadagna a chiedere certi perché? Ti bagni i piedi. Torna alla tua bibloteca! L'acqua salata infradicia le scarpe; e quattrini da buttar via non ne hai. Torna alla biblioteca, e lascia i libri di filosofia. va', va'".

 

La lettura difficile non esiste, esistono invece le condizioni piscologiche della persona che, quando creano avvilimento e disperazione, sono la vera causa dell'oppressione intollerabile vissuta istante dopo istante.

 

Pagina memorabile in cui Pirandello racconta lo stato di angoscia dovuto ad una vita che non riesce a dare risposta ai mille perché.

 

 

Fonte foto: http://www.flickr.com/photos/12362665@N00/6171702293 tratta dall' "album di Albe!"

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Published by Caiomario - in Letteratura
1 dicembre 2013 7 01 /12 /dicembre /2013 13:16

CHI ERA SEXTUS IULIUS AFRICANUS?

C'è un Leopardi sconosciuto ai più che esce fuori dai circuiti scolastici, non il Leopardi di "A Silvia" e "L'Infinito" ma quello del Leopardi filologo e critico che ha un eccezionale valore anche per gli studi di filologia odierni. Conoscere, infatti, il pensiero di Giacomo Leopardi è possibile solo iniziando un percorso di ricognizione di quegli scritti che escono fuori dal circuito dei programmi scolastici ministeriali (vera e propria mortificazione di chi crede nella Cultura con la C  maiuscola), ma visto che la maggior parte dei lettori che si interessano di filologia Leopardiana non va oltre la lettura dello "Zibaldone", varrebbe la pena affrontare la lettura di scritti che vanno al di là del solito circuito per scoprire una personalità complessa e anticipatrice dei tempi quale fu Giacomo Leopardi.
Non volendoci addentrare nella strada percorsa infinite volte del "pessimismo leopardiano", preferiamo concentrarci sulla lettura delle opere che fanno parte di quell'immenso patrimonio che fa parte del Leopardi autodidatta.
Giulio Africano è uno degli studi che rientrano in quella particolare attività di Leopardi filologo, un filologo che non aveva titoli accademici e che oggi, in un periodo di grande mediocrità intellettuale, dovrebbe fare pensare molti improvvisati "insegnanti" che non vanno oltre al "Passero solitario" o a "Il sabato del Villaggio" (mala tempora currunt).
Leopardi fu un eccellente filologo e studioso della lingua latina, con gioia ed emulazione affrontò lo studio di "autori minori" in assoluta solitudine, al massimo si concesse lo scambio di alcune vedute con alcuni intellettuali dell'epoca a lui coeva come ad esempio il Cancellieri a cui si rivolse per raccogliere alcuni frammenti contenuti nei "Codici Vaticani".

Leopardi conosceva Senofonte, Porfirio e Demostene, senza dubbio la lettura di testi che potrebbero essere interessanti per critici e filologi, sono un poco ostici per lettori digiuni di "cose classiche".
La lettura del testo apre comunque degli interrogativi. perché ad esempio Leopardi decise di affrontare lo studio di un autore del III secolo che solo gli specialisti conoscono? Probabilmente ( è solo un'ipotesi) la biblioteca del conte Monaldo (suo padre) solleticò un interesse che oggi è poco comprensibile per un adolescente della nostra epoca.
L'opera comunque (al di là delle curiosità storiche) è l'occasione per conoscere questo personaggio (Giulio Africano) la cui opera è stata in gran parte perduta, le note di commento di Leopardi sono di particolare interesse e sono l'occasione per conoscere un mondo (quello romano) ignoto ai più.
Giulio Africano era un siriano cristiano, ma al tempo di Roma le distanze erano molto più brevi dei tempi attuali,  la società romana fu infatti una società multiculturale che comprendeva tutto quello che entrava nel suo dominio e questo accadde anche nel periodo in cui il Cristianesimo si andò diffondendo.
Leopardi affrontò la lettura e lo studio dei cosiddetti "Cesti" di Giulio Africano, un'opera che lui stesso definì "corrotta", Leopardi che non fece scuole regolari ma conosceva benissimo il latino e il greco, tradusse questi Cesti, ma quel che colpisce il lettore attuale è il rigore filologico applicato da Leopardi che era ben consapevole delle difficoltà  che avrebbe affrontato.
Le discussioni letterarie c'erano allora come ci sono oggi e Leopardi, pur essendo un fine studioso, era comunque un irregolare seppur diligentissimo, tuttavia godeva di una certa fama tra gli uomini colti dell'epoca: bibliotecari, bibliofili, studiosi di lingue classiche, eruditi.

Giulio Africano rientra negli anni della formazione, anni fondamentali anche per la successiva produzione dell'arte leopardiana. Non bisogna dimenticare che il giovane Giacomo attinse il suo materiale di studio dalla biblioteca paterna e fu proprio in quella grande offerta libraria di proprietà del conte Monaldo che Giacomo coltivò l'amore per il latino e il greco dimostrandosi un eccellente filologo.
Un'altra occasione per conoscere il Leopardi filologo ci può essere dato dalla lettura dello Zibaldone, un'opera incompiuta ricca di note, osservazioni e commenti; tra le altre opere che riguardano l'attività critica vanno segnalate, infine, "Crestomazia italiana. La prosa" e "La Crestomazia italiana. La poesia".


Autore:Giacomo Leopardi
ISBN 8815061266
Editore: Il Mulino
Pagine 352

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