LA FAMIJA POVERELLA
Quiete, creature mie, stateve quiete:
sì, fiji zitti, ché momò viè tata.
Oh Vergine der Pianto addolorata,
provedeteme voi che lo potete.
Nò viscere mie care nun piagnete:
nun me fate morì cusì accorata.
Lui quarche cosa l'averà abbuscata
e pijeremo er pane, e magnerete.
Si capissivo er bene che ve vojo!...
Che dichi Peppe? Nun vòi stà a lo scuro?
Fijo, com'ho da fà si nun c'è ojo?
E tu Lalla, che hai? Povera Lalla,
hai freddo? Ebbè, nun méttete lì ar muro:
viè in braccio a mamma tua che t'ariscalla.
COMMENTO DI CAIOMARIO
Dalla sterminata produzione di Giuseppe Gioacchino Belli (1791-1863) che conta oltre 2000 sonetti non è agevole scegliere quello più significativo, molti sono infatti i sonetti "memorabili" che meriterebbero di essere riportati in evidenza per la loro capacità di sintetizzare in pochi tratti una scena, uno stato d'animo, una credenza dalle quali emerge una plebe romana misera e affamata ma nello stesso tempo vitale e a cui rimaneva, spesso, solo una religiosità vuota fatta di riti e parole o l'insulto quale unica via per manifestare la propria insofferenza.
La plebe della Roma del Belli è pronta con l'espressione becera a sfogare la propria frustrazione e la propria incapacità di reagire ad un mondo che sembra immobile e sempre uguale a se stesso.
Ne "La Famija Poverella" emerge una figura indimenticabile, quella di Lalla, la bimba affamata e infreddolita che la madre invita ad avvicianrsi per riscaldarla.
Desolazione, povertà, miseria......condizioni che non appartenevano solo alla Roma reazionaria e bigotta di Gregorio XVI, periodo in cui visse il Belli, ma anche all' Italia odierna comprata con tante promesse e pochi denari. Oggi, come allora, grava una cappa di cinismo che si serve dell'inganno per comperare il consenso...
Nella foto in alto è immortalato il Monumento eretto in memoria di Giuseppe Gioacchino Belli, monumento che si trova a Roma nel rione di Trastevere (fonte: http://www.flickr.com/photos/9084427@N07/5832932142 dall'album di Yellow Cat).