"L'invenzione della solitudine" di Paul Auster è uno di quei libri che segnano profondamente il lettore perchè uscendo fuori dalla logica del racconto di fantasia si addentra nell'esame dell'aspetto sensibile delle cose, di quelle cose che sono appartenute a qualcuno che faceva parte della nostra vita.
Proprio per questo motivo il libro è toccante perchè ci fa scoprire il lato nascosto che si trova dietro ad ogni persona che ha condiviso con noi una parte dell'esistenza o degli affetti importanti.
Il racconto prende spunto dalla morte del padre del narratore e dalla successiva visita nella casa di famiglia dove ogni cosa sembra parlare e ricordare un'assenza che si è fatta pesante al punto da provocare un viaggio nella memoria che ripercorre a ritroso i momenti più importanti del rapporto genitore-figlio, un viaggio che avviene nella dimensione della solitudine che è il vero tema di fondo dell'intero racconto-riflessione.
Trovarsi dinanzi ad oggetti appartenuti ad una persona scomparsa rappresenta un'esperienza che provoca disagio non solo per quanto riguarda il sentimento di aver perso qualcosa, ma anche e soprattutto di non aver conosciuto abbastanza quella persona e di non aver abbastanza vissuto con intensità un rapporto che inevitabilmente è sempre parziale e mai completamente pieno.
E' come se dietro ad ogni rapporto vi sia qualcosa che non solo non può essere conosciuto ma che rimane insondabile, un lato oscuro e segreto che ciascuno di noi si porta dietro e che non si può trasmettere, lo stesso rapporto con i genitori è fatto di momenti e di parole che rivelano solo una parte della personalità, quella che emerge mentre quella invisibile rimane nascosta nella solitudine di ciascuno.
Il libro è diviso in due parti: nella prima parte Auster ricostruisce, attraverso la tecnica del flash back letterario la personalità del padre e il suo rapporto con lui; nella seconda parte, la riflessione si incentra sul suo essere padre, del rapporto del figlio e della solitudine che dovrà sopportare nel momento in cui avverrà il distacco con il figlio stesso.
Nella prima parte, oltre ad una rievocazione della figura del padre, fatta con un affetto che il lettore percepisce fino a farla suo, ci sono numerose riflessioni tra cui quello sul significato delle cose e degli oggetti che di per sè non hanno valore, non parlano se non in relazione alla persona a cui sono appartenuti e in relazione a chi conosce la relazione tra quella cosa e chi la possedeva: prendiamo ad esempio un semplice arnese di lavoro, una zappa che è appartenuta ad un contadino che era anche padre, quella zappa non ha alcun significato per un estraneo, è solo un utensile, un arnese di lavoro, ma se quella zappa, appoggiata ad un angolo di un muro viene presa dal figlio del contadino assume un significato completamente diverso, da strumento inanimato diventa uno strumento capace di evocare momenti, istanti, quotidianità, pezzi di vita, di dolore e di amore..
E' particolarmente toccante, l'episodio che Auster racconta quando rinviene nell'armadio della camera da letto del padre centinaia di foto conservate all'interno di buste e accanto a queste, un album inutilizzato che avrebbe dovuto raccoglierle: perchè si chiede Auster quel disordine, perchè la presenza di quell'album mai riempito, chi lo aveva acquistato, forse la madre?
Ed una volta giunto a casa quelle foto vengono trattate come delle reliquie, gli rivelano particolari mai notati, verità nascoste al punto che la visione diventa un'attività febbrile dove non il protagonista narrante non vuole perdere niente, cercando di farle proprie al punto da esclamare:
"Volevo che nulla andasse perduto".
Altrettanto interessante è la riflessione che viene fatta sul significato del corpo di una persona, fino a che una persona è in vita noi identifichiamo il corpo con al personalità di un individuo, quella persona è il suo corpo, ma quando quell'individuo cessa di vivere il cadavere è separato completamente dall'idea che noi abbiamo di quella persona; Auster con grande acutezza osserva che noi non diciamo più "questo è tizio", ma "questo è il corpo di tizio".
E' una prospettiva tragica quella che emerge nella solitudine della riflessione di una memoria che riscopre pezzi di vita persi per sempre e illusorio appare il tentativo di recuperare brandelli di un'esistenza che non può ritornare se non nel ricordo della solitudine.
Vi invito a riflettere su questa frase:
"La vita si fa morte, ed è se come quella morte avesse posseduto questa vita da sempre. Morire senza preavviso. Come dire: la vita si interrompe. E può interrompersi in qualunque momento" (Paul Auster)
e vi invito anche a riflettere su questo mio pensiero:
dei grandi artisti rimane un'opera che sopravvive, imperitura alla loro esistenza, ma dei più che rimane? Niente...e questo è desolante.
Conclusione: Restare soli è il nostro destino