BECCARIA E LA LEGISLAZIONE PENALE
Nel 1764 uscì in Italia il trattato "Dei delitti e delle pene" di Cesare Beccaria, un libro che viene spesso citato per una sua presunta attualità ( ed in parte è vero) ma che venne concepito dall'autore avendo davanti il modo in cui erano amministrate le leggi penali nel Settecento.
LA CONFUSIONE
Beccaria aveva ben compreso ciò che era sbagliato nelle leggi penali dell'epoca, prima di tutto regnava una confusione dovuta al fatto che in quella che era la fonte principale, il diritto romano, si era avuta l'influenza di nuove leggi che avevano profondamente alterato lo spirito originario del codice penale; proprio questa confusione aveva ingenerato un'arbitrarietà tale che in sede di giudizio i magistrati sceglievano una pena che era prevista per altri delitti, in altri casi era presente una previsione di legge per quanto riguarda alcuni delitti ma il giudice poteva aumentare o diminuire la pena a sua discrezione.
LA CRUDELTA'
Quello che ispirava la legislazione civile era essenzialmente un criterio che si rifaceva al principio biblico della legge del taglione, una legge che provenendo direttamente dal Dio di Abramo, di Isacco etc. non poteva essere modificata; non era possibile quindi alcuna revisione.
Aggiungiamo il fatto che tutta la società era dominata da una superstizione che faceva si che imbastissero numerosi processi per essersi dedicati alle arti magiche e alla stregoneria.
Oggi riteniamo che il suicidio sia una forma di autolesione che l'individuo infligge a se stesso per i più svariati motivi, nel diciottesimo secolo non c'era differenza tra reato e peccato: il suicidio era una colpa condannata dalla religione cattolica e quindi la giustizia si rivolgeva addirittura agli eredi confiscando i beni del suicida e infliggendo al cadavere i più gravi oltraggi.
IL DIRITTO D'ASILO
E' arcinoto l'episodio di Fra Cristoforo, narrato da Alessandro Manzoni nei "Promessi Sposi" dove viene raccontato che in seguito alla uccisione in un duello di un nobile, Lodovico (poi Fra Cristoforo) trovò rifugio in un convento di frati Cappuccini; il riferimento letterario è utile per sapere che nel diciottesimo secolo era una pratica accettata dal diritto dell'epoca il cosiddetto "diritto d'asilo", chiunque avesse varcato la soglia di un edificio sacro non poteva essere perseguito dalla giustizia ordinaria.
Questa sorta di privilegio ecclesiastico portava a delle conseguenze che sarebbero inaccettabili dalla cultura e dalla sensibilità moderna: un assassino e un ladro potevano trovare rifugio all'interno di un edificio ecclesiastico e con loro la refurtiva.
Nel caso descritto i religiosi che accoglievano l'assassino o il ladro non potevano essere perseguiti dalla giustizia civile, addirittura non era infrequente il caso che un malvivente che avesse commesso un furto, per non essere imprigionato, uccidesse qualcuno nelle vicinanze di una chiesa per poi precipitarsi all'interno dell'edificio e ricevere il diritto d'asilo.
IL CARCERE
Oggi sentiamo parlare delle condizioni dei detenuti nelle carceri a causa del sovraffollamento, all'epoca in cui Beccaria scriveva la sua opera, il carcere era la migliore delle ipotesi (qualunque fossero le condizioni) in quanto quasi tutti i reati venivano puniti o con la pena di morte o con la mutilazione.
La fustigazione era praticata regolarmente così come il taglio della lingua, la mutilazione del naso o di altre parti del corpo che dovevano essere immediatamente visibili da tutti.
ARONNE PIPERNO E LA BERLINA
Ne "Il Marchese del Grillo" vi è un ampio spazio dedicato alla storia dell'ebreo Aronne Piperno, l'ebanista accusato e condannato ingiustamente alla berlina, questa pena era riservata a coloro i quali si macchiavano del reato di falso giuramento o di corruzione altro che gogna mediatica!); nella piazza principale di un paese o di una città veniva eretto una sorta di marchingegno dove il condannato doveva in appositi buchi infilare le braccia e il collo, dopodichè chiunque passava davanti poteva schernirlo, riempirlo di ortaggi e uova marce, insultarlo.
Addirittura a Roma le berline venivano erette sulle scale del Campidoglio e ai malcapitati veniva riservato un trattamento particolare: il volto veniva ricoperto di miele per attirare le mosche e provocare ancora più sofferenze.
LA PENA DI MORTE: TANTI MODI DI APPLICARLA
I colpevoli di gravi reati venivano condannati alla pena di morte e le modalità erano in relazione al tipo di reato:
- I colpevoli di eresia (si poteva venire accusati di questo reato facilmente anche per una semplice opposizione al potere ecclesiastico) venivano condannati al rogo ( famoso è l'episodio di Giordano Bruno di qualche secolo prima del '700 che venne condannato al rogo nella piazza di Campo dei Fiori a Roma).
- Lo squartamento era praticato con diverse modalità: si utilizzavano dei cavalli (da tiro) che tiravano il malcapitato uno dalle braccia l'altro dalle gambe, oppure delle leve che smembravano letteralmente il reo che dopo essere svenuto per le lussazioni, veniva tagliato in due pezzi.
- La ruota: altro strumento mortale finalizzato allo smembramento degli arti.
- Pena di morte speciale: in casi particolarmente gravi si ricorreva all'impalamento, al malcapitato veniva infilato un palo nel retto e lentamente questo veniva fatto scorrere fino a farlo uscire dalla bocca.
- Stivaletti: Voltaire ci racconta questa terribile tortura applicata a un certo Damiens reo di aver ferito con un coltello il re di Francia. Il malcapitato venne preso e torturato con lo scopo di estorcergli il nome di eventuali complici, poi venne portato nei sotterranei della prigione e gli vennero applicati degli "stivaletti" che venivano resi sempre più stretti con delle inserzioni di cunei. Dopo questa tortura, il povero Damiens venne portato nella piazza pubblica principale e gli venne bruciata con dello zolfo incandescente la palma della mano con la quale aveva tenuto il coltello che aveva ferito il re. Nel frattempo il carnefice, aprendo delle ferite vi buttò dell'olio bollente mentre la folla gridava e alla fine le estremità degli arti vennero legate a quattro cavalli che opportunamente frustati smembrarono il povero Damiens.
L'agonia durò circa un'ora e mezza.
Non contenti di ciò la GIUSTIZIA del re inflisse l'oltraggio al corpo, le braccia, le gambe e il torso vennero gettate tra le fiamme.
Ma in tutta Europa (compreso lo Stato della Chiesa) pena di morte e tortura erano praticate ed in uso, queste condanne erano poi ancora più libere, per esempio i colpevoli di alto tradimento venivano trascinati nel luogo in cui si doveva eseguire la condanna a morte, legandoli alla coda di un cavallo, dopo aver eseguito l'impiccaggione i boia di Sua Maestà strappavano le viscere le gettavano nel fuoco e facevano letteralmente a pezzi il corpo del colpevole.
TORTURA
*Tortura ordinaria:faceva malissimo ma manteneva in vita il colpevole che rimaneva il più delle volte mutilato.
*Tortura complessa: era praticata per portare alla morte il colpevole dopo indicibili atrocità.
*Tortura preliminare: era preparatoria ad una confessione che si riteneva facile da estorcere.
*Tortura definitiva: venivano applicati i metodi più raffinati e più dolorosi.
NEL DIRITTO(?) INGLESE NON ESISTEVA LA FORMA SCRITTA:
Le leggi scritte erano poche e pochi erano coloro i quali vi potevano accedere, il diritto alla difesa non esisteva e il giudice coondannava nel più assoluto arbitrio.
In più il torturato doveva sottoscrivere un documento in cui ammetteva le sue colpe e solo in seguito a questa sottoscrizione, potevano essere confiscati i beni della famiglia, molti, stoicamente accettavano la torura in silenzio preferendo la morte alla confessione per evitare che i beni di famiglia venissero confiscati.
QUESTO ERA IL MODO IN CUI VENIVA AMMINISTRATA LA GIUSTIZIA PENALE QUANDO CESARE BECCARIA SCRISSE "DEI DELITTI E DELLE PENE"
Cesare Beccaria economista, filosofo, letterato
Nel diciottesimo secolo non esisteva la figura del giurista così come la intendiamo noi, la legge come tecnica era un concetto del tutto estraneo alla cultura dell'epoca, per cui non era affatto insolito che un filosofo o un letterato scrivessero di legge.
Beccaria è ricordato soprattutto per l'opera "Dei delitti e delle pene" nella quale egli prende in considerazione la corretta amministrazione della giustizia (penale).
UN PRINCIPIO SEMPRE VALIDO (ora più che mai)
Per Beccaria un sistema penale che possa definirsi giusto ed efficace richiede un legislatore che definisca nella maniera più precisa la relazione tra condanna e reato per evitare qualsiasi arbitrio e dall'altra parte che la giustizia sia rapida e certa (certezza della pena)
La condanna dei malvitosi non deve essere una vendetta che come abbiamo visto era applicata dai sistemi giudiziari dell'epoca, ma doveva servire per scoraggiare i reati prevenendoli.
*Il potere dello stato nei confronti di un reo non deve essere visto solo dal punto di vista della capacità di infliggere una pena ma anche dal punto di vista dell'utilità sociale: più una condanna è inflitta prointamente, più è utile alla società.
Una giustizia rapida è una giustizia utile anche al colpevole perchè si limita il periodo di privazione della libertà.
In un paese civile per Beccaria bisogna distinguere il carcere preventivo da quello definitivo che si infligge in seguito ad una condanna definitiva.
La pena come il delitto è un male pertanto il diritto penale non deve accrescere questo male a danno della società.
Il ritardo tra pena inflitta e reato commesso è da inquadrare in quella mentalità tipicamente illuminista che vedeva l'utilità sociale come il fattore più importante per la coesione sociale, una condanna che arriva in ritardo, secondo Beccaria ha un duplice aspetto negativo: da una parte diminuisce l'effetto del rapporto con la colpa da parte del colpevole e dall'altra l'opinione pubblica stessa può essere portata ad essere più indulgente nei confronti di un reato commesso molto tempo prima e di cui non si percepiscono emotivamente i sentimenti di riprovazione.
Una tardiva esecuzione, quindi, ingenera un altro pericoloso effetto nei confronti dell'opinione pubblica che è portata a creare un senso di errore generico invece di porlo in relazione a quello specifico delitto.
In ultimo vi parlo di una parte che di solito non è affrontata da nessun commentatore ed è quella che riguarda:
*I DELITTI DI PROVA DIFFICILE
Cosa sono i delitti di prova difficile? Sono quei delitti "che sono nel medesimo tempo frequenti nella società. e difficli a provarsi:Tali sono l'adulterio, l'attica venere, l'infanticidio."
- L'adulterio è un delitto che deriva da due ragioni: le leggi variabili degli uomini e l'attrazione sessuale.
Per Beccaria questo tipo di delitto (attenzione che nella legislazione penale italiana fino a pochissimo tempo fa l'adulterio era considerato un reato, si ricordi il noto caso di cronaca che vide coinvolto Fausto Coppi e Giulia Occhini, la cosiddetta "dama bianca" che venne addirittura condannata e messa in carcere per adulterio) è un elemento fondatore dell'umanità ed è rintracciabile in un bisogno costante e universale di tutta l'umanità.
E' ineliminabile ma è contenibile.
- L' attica venere: cos'è l'attica venere? E' l'amore omosessuale che secondo Beccaria si diffonde soprattutto "in quelle case" (si riferisce a conventi e seminari) dove gli impulsi dell'ardente gioventù sono repressi per cui trovano sfogo in quello che c'è più vicno.(?)
- L'infanticidio: "è parimenti l'efffetto d'una inevitabile contraddizione in cui è posta una persona che per debolezza o per violenza abbia ceduto", qual'è il modo migliore per prevenire questa infamia? Quello di prevenire con leggi efficaci la debolezza contro la tirannia che favorisce il vizio invece di prevenirlo.
UN CONSIGLIO AL LETTORE
Chi voglia leggere l'opera di Beccaria sappia che non è facile leggere l'italiano del Settecento, è simile al nostro ma è anche molto diverso in quanto è frequente l'utilizzo di termini obsoleti e caduti in disuso.
Ci sono in commercio diverse edizioni che offrono un buon apparato critico utile dal punto di vista didattico e che aiutano a comprendere concetti non sempre di facile comprensione.
Oggi è comunque possibile reperire edizioni meno datate e collegate alla sensibilità culturale dei giorni nostri.
Conclusione: A misura che le pene divengono più dolci, la clemenza e il perdono diventano meno necessari