"Si legge nelle antiche storie che in una città chiamata Fiorenza, e che già fu grande, maestra agli uomini di sapienza e di poesia, visse un tempo un mercante chiamato Lorenzo. I suoi avi erano discesi dal Mugello. La leggenda narra che essi erano venditori di farmachi e che dalle pillole, simbolo del loro mestiere, e dell'abilità con cui più tardi fecero inghiottire ai loro concittadini certe misure, fossero chiamati i medici.
Adottarono le pillole come insegna del loro casato, ma i Fiorentini, fieri e arguti, le chiamarono palle.
Lorenzo nacque da Piero, il Gottoso, che ebbe breve vita e minore operosità. Piero era nato da Cosimo che aveva assestato la sua posizione di privato mercante ricchissimo astuto e sapiente, a guisa di governo dei suoi concittadini.
Egli aveva fatto costruire una parte della città monumentale e commesso al nipote di fornir l'altra. Ma Lorenzo non aveva grandi attitudini al mercantato. Aveva ingegno poetico e nella sua anima capace bellezze del cielo e bellezze della terra.
Prediligeva Platone fra i filosofi e ne commise a Marsilio Ficinio la resurrezione della dottrina. Prediligeva fra i pittori il Botticello, Domenico Bigordi, e Filippino; fra gli architetti il venerando Michelozzo e Giuliano di San Gallo, fra gli scultori Andrea del Verrocchio, Antonio del Pollaiolo e Bertoldo conservatore del suo giardino di San Marco. Luca della Robbia e Leon Battista Alberti, ormai vecchi, gli furono assai cari. Tenne con sè Michelangiolo e gli fu padrino nel battesimo dell'arte. Agnolo Ambrogini, Luigi e Luca Pulci gli furono compagni in gloriose gare poetiche.
Perché Firenze era troppo piccola per tanta grandezza, spedì ai papi e al Moro, ai principi d'Este e d'Aragona il superfluo: Leonardo da Vinci, il Sansovino, i fratelli da Maiano, Luca Fancelli e il poeta Bernardo Bellincioni.
In cambio ospitò Pico, quello accolse in sè tutta la sapienza dei secoli.
Nella piccola città di Fiorenza promosse opere grandi, ma sopratutto la gaiezza di cui fu, nella poesia e nella vita, un restauratore. La corte di lui, privato cittadino, superò quella dei principi in splendore di opere e di spiriti.
L'estro spesso lo chiamava da quel curioso trono, sulla piazza, fra le comitive che cantavano i suoi canti, nelle case da signore in cui episodi del suo straordinario spirito conviviale, si alternavano a solitudini feconde di poesia e a divinazioni politiche che lui fecero il più saggio uomo di governo del suo tempo.
Immeromorabile ormai è l'epoca della sua nascita e della sua opera, ma la piccola città di Forenza, vive ancora di quella gloria e l'effigie di lui è ricordata nel tempio gastronomico dei Visacci, fra le grandi stature conviviali che co, Dante, Boccaccio, Leon Battista, Michelangiolo e Leonardo seppero gustare i piacere della tavola, e, nondimeno, offrire ai posteri il tipo dell'uomo universale".
COSMÈ da ALMANACCO DEI VISACCI - 1939 XVII
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