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Scritta nella primavera-estate del 1887 durante la permanenza a Sils Maria nella Alta Engandina, la "Genealogia della morale" è l'opera più provocatoria di Nietzsche, quella che mette in discussione e condanna tutta la morale e che segna il passaggio a quella trasmutazione di valori che contraddistingue l'intero impianto della filosofia niciana.
Dopo la lettura di quest'opera, niente può essere come prima, il lettore potrà anche scandalizzarsi ma molte delle sue certezze verranno messe in discussione se si lascerà travolgere dal contenuto del testo.
Nella prefazione del libro, Nietzsche consapevole di avere scritto un'opera che non può lasciare indifferenti scrive:
" - Se per qualcuno questo testo sarà incomprensibile e sgradevole all'ascolto, la colpa, mi sembra non è da attribuirsi necessariamente a me. Esso risulta bastevolmente chiaro, preuspponendo, come presuppongo, che siano precedentemente letti, non senza una certa fatica, gli altri miei scritti, perché in realtà essi non sono di facile accesso. Per quello che riguarda il mio "Zarathustra", non considero suo conoscitore nessuno che non sia stato mai una volta profondamente ferito o profondamente esaltato da ognuna delle sue parole, sola allora infatti. egli potrà godere del privilegio di partecipare rispettosamente dell'elemento alcionio da cui è nata quell'opera, dalla sua solare chiarezza, della sua lontananza, ampiezza e certezza" (1)
Oltre allo spirito provocatorio il lettore dovrà cercare di decifrare il contenuto espresso in forma aforistica, verso la quale -osserva il filosofo tedesco- occorre possedere l'arte dell'interpetare sulla quale così ragiona:
"È chiaro che per esercitare così la lettura come arte, è necessaria soprattutto una cosa al giorno d'oggi si è disimparata più di tante altre - e perciò, per arrivare alla "leggibilità" delle mie opere, ci vorrà ancora tempo - una cosa, cioè, per cui si deve esssere piuttosto simili a una vacca e in nessun caso a un "uomo moderno": il runminare" (2).
SAGGIO PRIMO
Il primo bersaglio di Nietzsche sono gli psicologi inglesi che fanno discendere l'origine del concetto di bontà da coloro ai quali "viene mostrata bontà"; il concetto di buono al contrario è stato elaborato dai nobili, dai potenti e dagli uomini superiori, in altre parole da coloro che detenevano il potere e non da quelli che erano sottomessi.
La creazione dei valori risiede quindi storicamente nella necessità egoistica di inventare dei valori per dominare e non come pensavano gli psicologi inglesi come un'azione generosa verso coloro che stavano sotto.
"Il pathos dell'aristocrazia e della distanza, come ho detto, il duraturo e dominante sentimento totale e basilare nei confronti di una specie inferiore, di un "sotto", questa è l'origine dell'opposizione tra "buono" e "cattivo".(Il diritto signorile di imporre nomi, risale così indietro nel tempo, che si sarebbe autorizzati a ritenere l'origine della
lingua stessa come espressione di potenza di chi era al potere: essi dicono "questo è questo e questo e con un suono impongono il loro sigillo a cose e avvenimenti, e così facendo se ne impossessano). Si deve a questa orgine il fatto che il termine "buono" non si ricollega di necessità sin dagli inizi, ad azioni non "egoistiche" come crede la superstizione di questi genealogisti della morale" (3)
Se la teoria degli psicologi inglesi è falsa, altrettanto lo è quella elaborata da Herbert Spencer il quale che il concetto di "buono" è analogo a quello di "utile" e di "funzionale" in quanto ciò che è utile è "valido al massimo grado".
Il concetto di buono nasce nella distinzione rispetto al non buono; buono era l'uomo della guerra in quanto il guerriero nell'antica Roma rappresentava la bontà. Anche il termine tedesco "Gut" è da intendersi in questa direzione così come il termine arisotcratico che significa letteralmente "il potere del migliore".
L'origine del concetto del buono inteso come superiorità politica si risolve sempre nell'idea della superiorità spirituale della casta dominante, quella guerriera. Le cose cambiano quando si afferma la casta sacerdotale che fa coincidere il buono e il cattivo con il puro e l'impuro da cui discendono tutte quelle prescrizioni e coercizioni che mortificano la vita.
Scrive il filosofo tedesco:
"La stessa umanità soffre ancora per gli effetti di queste sacerdotali ingenuità terapeutiche! Basti pensare, per esempio, a certe prescrizioni dietetiche (evitare la carne), al digiuno, alla continenza sessuale, alla fuga nel deserto.......; e ancora a tutta la metafisica dei preti, ostile ai sensi e fatta per l'accidia e la raffinatezza, alla loro autoipnosi alla maniera di fachiri e bramini....(4)"
Il buono e il cattivo sono quindi diventati i criteri in base ai quali valuta la casta sacerdotale, questo è il momento in cui nasce la morale che si impone a tutto discapito della casta cavalleresca-sacerdotale. Dal tronco di questo albero è scaturito il senso di vendetta e di risentimento nei confronti dei "nobili ideali".
"Il popolo ha vinto -ovverossia gli "schiavi" o la "plebe" o il "gregge".......I signori sono stati spazzati via: la morale dell'uomo comune ha vinto". (5)
La rivolta degli schiavi ha inizio con la morale dove prevale il ressentiment nei confronti di chi è aristocratico, ogni azione degli schiavi è in realtà una reazione animata dalla vendetta, mentre l'azione degli aristocratici è contraddistinta dall'affermazione di sè.
Su questo punto il pensiero di Nietzsche è chiaro: gli aristocratici possono sbagliare e avere un criterio di valutazione errato nei confronti del basso popolo, ma il sentimento che alligna nel gregge è quello dell'odio arretrato, della vendetta dell'impotente che aggredisce.
"Mentre l'uomo aristocratico vive se stesso con fiducia e chiarezza (γενναίος, «di nobile nascita» sottolinea la nuance «onesto» e anche «ingenuo ») l'uomo del ressentiment non è né onesto, né ingenuo, né vero con se stesso"(6)
L'uomo nobile concepisce il proprio nemico come l'altro da sè nel pieno rispetto trattandolo da pari a pari, l'uomo del ressentiment, invece, lo concepisce come il "nemico cattivo". Gli aristocratici elaborano il concetto di buono in modo spontaneo e solo in un secondo tempo si creano il concetto di cattivo.
L'EQUIVOCO DELLA BESTIA BIONDA
Scrive Nietzsche:
"Alla base di tutte queste razze aristocratiche non si può non riconoscere l'animale da preda, la trionfante bestia bionda che vaga alla ricerca della preda e della vittoria; questo fondo occulto, di tanto in tanto ha bisogno di scaricarsi, l'animale deve uscire di nuovo alla luce tornare alla vita selvaggia, - nobiltà romana, araba, germanica, giapponese, eroi omerici, vichinghi, scandinavi - si assomigliano tutti in questo bisogno" (7)
Frainteso e manipolato il concetto di "bestia bionda da preda" espresso dal filosofo tedesco non va inteso come un tipo umano in senso biologico ma come un'aristocrazia dello spirito umano che accomuna etnie differenti definite "razze nobili" che si contraddistingono per l'audacia e per il loro "disprezzo per la sicurezza, il corpo, la vita, le comodità.
In tempi più recenti il concetto di aristocrazia dello spirito sarà ripreso ed elaborato da Julius Evola anch'egli accusato in modo strumentale di essere un teorico del razzismo biologico.
Qual'è il ragionamento che fanno i buoni? Nietzsche osserva che alla base del comportamento dei cosiddetti "buoni" vi è l'idea del "trionfo della giustizia" che si realizza con la "vittoria di Dio, del Dio giusto sugli empi" che si realizza con quella "fantasmagorica....anticipazione di una beatitudine a venire" che chiamano "giudizio universale" e nell'attesa della realizzazione del regno di Dio vivono nella fede, nell'amore, nella speranza.
Roma è stata sconfitta dal sentimento di risentimento proprio del popolo sacerdotale per eccelleza, gli Ebrei e nella stessa Roma il dominio dei Cesari venne sostituito da una "sinagoga ecumenica" chiamata Chiesa.
In tempi più recenti la Rivoluzione Francese ha visto trionfare gli istinti popolari del risentimento, eppure proprio nel momento storico in cui questo trionfo ebbe il suo culmine, vi fu un ritorno in carne e ossa degli ideali antichi:
"Con l'ultima indicazione dell'altra strada apparve Napoleone, l'uomo più singolare e più tardivamente apparso che mai sia esistito, e con lui l'incarnazione del problema dell'ideale aristocratico in sè -si faccia bene attenzione a che tipo di problema sia mai questo. Napoleone, questa sintesi di non-uomo e di superuomo..."(8)
L'EVOLUZIONE DEI CONCETTI MORALI
Alla fine del primo saggio è presente una nota in cui Nietzsche pone una questione non secondaria e quanto mai attuale e che riguarda il compito della filosofia per quanto concerne gli studi sulla morale al punto da auspicare l'introduzione di una serie di concorsi accademici nelle facoltà di filosofia che abbiamo come oggetto di studio proprio la morale.
La necessità di avere una chiarificazione e un'interpretazione delle "tavole di valore" deve poi essere esaminata secondo il contributo delle varie scienze compresa quella medica.
Sotto questo punto di vista Nietzsche, il folle, si dimostra modernissimo in quanto pre-vede il compito futuro dei filosofi "compito che consiste, per il filosofo, nel risolvere il problema del valore, nel fissare l'ordine gerarchico dei valori."
SAGGIO SECONDO
Nel saggio secondo Nietzsche affronta l'origine del senso di colpa e della cattiva coscienza, per comprendere come si formi il senso di colpa è necessario prima di tutto capire cos'è la memoria: l'uomo in quanto animale ricorda tutto ciò che gli procura dolore, la durezza delle pene patite ha generato nell'uomo quel senso di colpa che scatta ogni qual volta egli si discosta dalle regole imposte.
Tutte le religioni, senza alcuna eccezione, hanno marchiato l'uomo infliggendogli torture e sacrifici ed è proprio attraverso le pene più atroci che l'uomo ha sviluppato una memoria istintiva verso il senso di colpa eleborando i concetti di buono e cattivo.
Il senso di colpa è ricnonducibile ai rapporti contrattuali che si sono determinati tra il creditore e il debitore, quest'ultimo promette la restituzione di quanto ha avuto dando in pegno "il proprio corpo, la propria donna, la libertà o anche la propria vita" (9).
Il corpo diventa il bersaglio verso il quale il creditore rivolgeva ogni genere di offesa, è qui che si sviluppa il dirittto signorile, il diritto della crudeltà che rende il dolore una sorta di compensazione per il debito, un dolore partecipato e condiviso da chi lo subiva.
LA MALA PIANTA DELLA CATTIVA COSCIENZA GERMANICA
L'ipotesi di Nietzsche sull'origine della cattiva coscienza si fonda sul concetto degli isitinti repressi; l'uomo imprigionato nella magia della società e della pace venne ridotto ad essere infelice costretto a calcolare cause ed effetti per non incorrere in pene e crudeltà, gli istinti però non possono essere repressi e non potendosi rivolgere all'esterno, si rivolgono all'interno, vengono interiorizzati.
L'uomo non riuscendo a vivere la propria libertà, incominciò a sentirsi disperato, torturandosi, punzecchiandosi, maltrattandosi e diventò così l'inventore della "cattiva coscienza".
Il processo venne completato con la nascita dello "Stato" che nella sua forma più antica apparve come un meccanismo terribile e stritolatore; un gruppo di dominatori, "un branco qualsiasi di biondi animali da preda" prese il sopravvento abbattendo le sue "orribili zampe" su una popolazione superiore per numero ma priva di forma. Inizialmente essi ignorano cosa sia la colpa, poi quando il loro istinto di libertà venne represso e frenato si sviluppò quella che Nietzsche chiama la "mala pianta" della cattiva coscienza.
Nietzsche, al contrario di quanto vuole fare credere una certa vulgata malevola e volutamente distratta, non parteggia per la razza dei biondi animali da preda, anzi ritiene che proprio in questa razza di dominatori crebbe e si sviluppò quel senso di colpa verso il proprio passato che è stata capace di inaudite crudeltà ma anche di "nuove sorprendenti bellezze"(10).
Paradossalmente l'altruismo, l'abnegazione, l'autosacrificio sono tutti proodotti della cattiva coscienza, l'uomo che sostiene il non egoismo è un uomo che si deve fare perdonare le crudeltà inflitte agli altri oppure perché ha degli obblighi verso chi lo ha preceduto.
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NOTE
(1) Nietzsche F., Genealogia della morale, Newpton, 1992, p. 46
(2) In op.cit. p. 46
(3) Ibidem p.49
(4) Ibid. pp. 53-54
(5) Ibid. p. 57
(6) Ibid. p.59
(7) Ibid. p. 61
(8) Ibid. p.71
(9) Ibid. p 80
(10) Ibid. p.101
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